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    Prosegue da qui.



    Decollarono, infine. Abbandonarono il crocevia tra mondi ove il loro incontro s'era consumato, ove avevano rischiato d'uccidersi a vicenda, per poi decider d'avere una meta comune e che da alleati, sarebbero stati meglio che da nemici.
    Un nome se l'erano dato, dopotutto, e per quanto Luna avesse dato voce alla propria ritrosia nel fornirne uno a quell'uomo, eran state le sue labbra a forgiare il titolo con cui avrebbe continuato a chiamarlo. Ronin, dopotutto, indicava ciò che si sentiva ma non ciò che era. Bastardo non era meglio, probabilmente, ma perlomeno la bambola sapeva di averlo scelto lei. E solo i martiri sapevano, quanto ella sapesse essere gelosa di ciò che le apparteneva.
    Sorrideva ancora, mentre guidava il Nido che s'era scelta verso il vuoto cosmico che l'attendeva lungo i balzi tra un mondo e tutti gli altri. Innanzi ai vetri che non mostravano altro che nero infinito, eccezion fatta per la lunga e sottile sagoma di quella che pareva una galassia lontana, scarlatta come sangue e pulsante come una ferita, apparsa il giorno in cui aveva appreso per la prima volta cosa la Lama fosse, e divenuta da li in poi via via più nitida...v'era un nuovo pezzo d'arredo per la sua spoglia, spartana casa. Una targa d'ossidiana, dall'anima dorata. La rappresentazione di colui che nel suo petto ancora ruggiva, e nei suoi sogni ancora la stringeva...un dono il cui valore non avrebbe saputo esprimere a parole, e del quale perciò avrebbe ringraziato nell'unica maniera che le era stata tramandata.
    Stavano andando a caccia, dirigendosi verso uno Sfregio aperto nel costato stesso di quel nugolo di realtà selvagge, di cui Luna aveva assistito al riemergere. Per cercar informazioni, per testare la propria forza. E perchè non v'era altro vero modo per chi desiderava condividere una parte del proprio tragitto, per verificare quanto dell'altro si sarebbe potuto fidare.
    Erano in viaggio da minuti, ed il bastardo se l'era lasciato indietro, a pochi metri e qualche scalino di distanza, la dove l'ambiente principale del Nido ospitava un tavolo occupato da cianfrusaglie, frattaglie e resti metallici, ed il divano ove già una volta l'aveva adagiato l'avrebbe atteso.
    In quegli attimi di pace, in quei minuti di sosta dopo la battaglia che aveva rischiato di vedere lei assassina, e l'altro vittima. Una nuova idea aveva messo radici nel terreno un tempo sterile della sua mente, perchè a ciò che il bastardo aveva interrotto col suo arrivo Luna non aveva intenzione di rinunciare. I materiali posti sul tavolo le sarebbero serviti, ma forse grazie allo straniero giunto a chiedere la carità alla sua porta, avrebbe potuto ottenere qualcosa d'ancora meglio...aveva sentito un'aroma su di lui, un puzzo fetido di morte e radiazioni, quand'egli era collassato sull'uscio di quella casa. Di mostri come quelli che lo emanavano, Luna ne aveva uccisi ed aveva straziato i loro resti in cerca di quanto le avrebbe permesso di costruirsi un supporto, che avrebbe reso la sua carne veramente in grado di sostenere ed incanalare il potere di cui era erede, ma che mai aveva imparato a gestire davvero...ma forse non era ai loro corpi che avrebbe dovuto guardare, quanto più alla loro essenza. Estrargliela non sarebbe stato facile, ed il suo corpo era in grado d'ospitare ed espellere cuori appartenenti ad altri solamente per periodi limitati. L'uomo che aveva invitato nel proprio Nido, però, forse non aveva simili limiti nel suo specchiare ciò che mai gli sarebbe appartenuto?
    Se non erano ancora giunti, se il cielo non era già divenuto scarlatto, come se l'aspettava la dove sarebbero approdati. Non era perchè il Nido non era abbastanza rapido, la sua natura di navicella superflua per chi fin dalla nascita, sapeva solcare il cosmo con nient'altro che la mente.
    Quanto piuttosto, perchè se davvero la strada sarebbe stata pericolosa come la credeva, allora ciò che andava forgiato avrebbe dovuto completarlo prima. Così da poterlo mettere alla prova, una volta giunta a terra. Così da scoprire se davvero, Raksaka avrebbe potuto di nuovo camminar tra i vivi con un passo degno del suo retaggio. O se anche quel desiderio non sarebbe rimasto altro che un miraggio, l'ennesima illusione a cui persino chi era nato senza cuore, doveva aggrapparsi pur di proseguire il proprio viaggio.

    « Mi hai chiesto se ci saremmo incontrati, alla Lama. »


    Decise di prenderla alla larga...decise di concedersi del tempo, perchè l'evento di cui pronunciò il nome distava ancora molto, e non v'era fretta di gettarsi nella mischia a fianco di qualcuno a cui temeva ancora, di dover fare da balia.
    Decise che v'era un dubbio cui voleva trovar risposta che non riguardava se stessa, prima di domandare all'uomo mascherato il favore di cui avrebbe avuto bisogno. Uno che la mentalità barocca del bastardo le aveva negato di conoscere, nonostante la sua capacità d'espandere la propria mente fino a toccare quelle altru.

    « Hai accettato di seguirmi, nel mio voler scoprir di più a riguardo. »


    Spezzò il silenzio allora, lo fece senza voltarsi, mantenendo il controllo di una nave che volava unicamente perchè lei desiderava tempo, e comandarne la rotta le dava una buona scusa per concederselo. Della persona che aveva accolto sapeva poco, dopotutto, se non guizzi riguardo la pazzia che aveva rischiato a causa della natura di ciò di cui era capace e sprazzi su genitori, cui aveva dato importanza marginale essendone sempre stata lei stessa priva.
    L'aveva fatta ridere...aveva modellato per lei un monile più prezioso di quanto probabilmente non si rendesse conto, e solo perchè lo sguardo di Raksaka l'osservava più di quanto non l'avesse fatto dal giorno della sua dipartita, ella aveva trovato la volontà d'insistere nella creazione di ciò che l'aveva già frustrata tanto.
    Il minimo che poteva fare, era interessarsi un poco a lui. Ed in fin dei conti, curiosa lo era davvero. Lei sapeva perchè la Lama non era mai stata un dubbio nel suo futuro...conosceva bene la ragione che l'avrebbe spinta in qualsiasi arena di tale prestigio, al punto da sapergli dare un nome.
    Ma s'era chiesta fin dal primo istante, cosa avrebbe potuto spingere altri a far lo stesso. Delle ragioni con cui s'era risposta, il bastardo non sembrava incarnarne neppure una. E se c'erano cose di cui aveva imparato ad andar ghiotta, erano proprio idee che nonostante tutto, la sua mente da sola non avrebbe potuto partorire.

    « Ma non so ancora il motivo per cui vorresti partecipare. »

     
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    Era la prima volta che viaggiava tra i Mondi da passeggero.
    Scrutando il vuoto cosmico oltre i vetri, provò una sensazione di vertigine e una lieve nausea. Abituato com’era a lasciarsi sbalestrare dalle onde di quel sentiero che di volta in volta lo arenavano su nuovi lidi, trovò insolito solcare quegli stessi flutti a bordo di una nave e non alla deriva da naufrago – così come si sorprese di poter soffrire di mal di mare tra le correnti astrali di cui normalmente era in balìa! Tuttavia non permise a quello stupore di traboccare all’esterno insieme ad altri tipi di reflussi, perché non ci teneva a fare la figura del viaggiatore imberbe né voleva rischiare d’imbrattare quel Nido in cui era finalmente ospite e non più intruso. Modulò il respiro e cercò di distrarsi dagli abissi al di là dei finestrini, osservando meglio gli interni di quella navicella tanto piccola quanto confortevole.

    Passò in rassegna il mobilio essenziale e le strumentazioni avveniristiche - incuriosito più dalla loro forma che dall’effettiva funzionalità - e riconobbe come quell’alloggio fosse modellato su misura della sua proprietaria, a tal punto che soppesando i suoi spazi sentiva di poter apprendere qualcosa in più sull’algida e lunatica compagna di viaggio che lo stava scarrozzando verso una Via non Lattea bensì Sanguigna. Trofei e souvenir di avventure passate addobbavano gli ambienti e solo a vederli trasmettevano qualche scampolo delle innumerevoli peripezie di cui erano stati testimoni. Ancora una volta il Rōnin si trattenne dal rischiare l’invadenza perché - sebbene per ciascuno di essi gli sarebbe piaciuto ascoltare le storie che li avevano generati - il nostro faticava ancora a tracciare una linea tra l’interesse e l’impicciarsi, perciò per il momento si accontentò di una carrellata sommaria.

    Non nascose però la soddisfazione nel notare l’ultimo di quei ricordini esposto in bella mostra, poiché quell’omaggio portava la sua firma e saperlo parte di una collezione così ricca era senza dubbio motivo d’orgoglio. Fece a malapena in tempo ad accorgersi del ciarpame accatastato sul tavolo da lavoro quando la voce della pilota lo raggiunse dalla cabina, chiedendogli qualcosa su cui lui per primo ancora doveva riordinare le idee, perciò approfittò dell’occasione per farlo ad alta voce.

    «Hai visto l’Arena che porto nel cuore.»

    Quel surrogato di casa che si erano lasciati alle spalle, destinato a erodersi e crollare in sua assenza nonostante la perizia con cui l’aveva scolpito. Stava ancora riflettendo sulle parole che si erano scambiati al suo interno prima di prendere il volo, e su come non ci fosse paragone tra l’accoglienza di quel nido di metallo e la fredda austerità del colosseo d’ossidiana. Cosa rendeva una Casa veramente tale? E quale dimora avrebbe mai potuto trovare nel suo presente da vagabondo? A queste domande ancora sentiva di non poter dare risposta, perciò virò altrove col pensiero.

    «Tanto tempo fa, Eroi e Titani si affrontarono tra le sue sabbie per decidere chi avrebbe ereditato il mondo.»

    Era stata una battaglia cruenta entrata nella storia e poi nella leggenda, di cui probabilmente era l’ultimo a conservare la memoria, perché nemmeno le gesta più epiche erano davvero immortali e ogni mito prima o poi ritornava all’oblio quando non restava più nessuno a tramandarlo. Pur covando dentro di sé un frammento di uno dei guerrieri che militarono contro quella titanica invasione, non riusciva a percepirla meno distante di un lontano ricordo, eppure i suoi strascichi ancora lo tormentavano, appesi alla sua cintola e sibilanti sotto il magma con cui tentava invano di soffocarli.

    «La lama a cui sono vincolato cadde in quell’occasione, strappata dalle grinfie della sua precedente proprietaria, ma non fui io a raccoglierla.»

    Helshezag era il testimone di una staffetta di cui lui era solo il più recente corridore, non il più veloce e perciò forse nemmeno l’ultimo incaricato di tagliare il traguardo. Non era stato lui a reclamarla come bottino di guerra, né gli era stata affidata dai guardiani che la custodirono nei secoli successivi al suo cambio di proprietà. Era un fardello che si era caricato sulle spalle a sua insaputa, quando ne aveva afferrato l’elsa per fuggire da un limbo dell’oltremondo e così tornare a camminare tra le infinite strade che si dipanavano nella realtà. Non aveva scelto d’impugnarla più di quanto un animale in trappola non scelga d’istinto una via di fuga, ignaro dei pericoli che potrebbero attenderlo una volta scampato alla minaccia iniziale.

    «Voglio dimostrarmi degno di brandire questa spada, pertanto non posso esimermi dal richiamo della battaglia.»

    Per questo avrebbe combattuto e rischiato tutto, perché con un’arena nel petto e un’immeritata spoglia al fianco sentiva di doversi mettere alla prova nel crocevia dei destini per cercare di rispondere alle domande che lo perseguitavano. In ogni lama che nel clangore si sarebbe incrociata… in ogni sguardo che nel silenzio si sarebbe incatenato… forse avrebbe trovato un frammento della Verità. Ogni tessera del mosaico aveva un significato, ogni scheggia era un passo verso la comprensione, e forse - proprio come i resti che accarezzò distrattamente passando una mano sul banco - potevano essere forgiati in qualcosa di nuovo, per trasformare il passato in un futuro diverso.

    «Tu cosa speri di trovare?»

    Infine si arrischiò a chiederle qualcosa, anche a costo di sembrare indiscreto, perché se davvero voleva coltivare quel legame non poteva certo lasciare che fosse a senso unico. Sbilanciarsi verso gli altri era l’unico modo per consentire a quell’altalena di dondolare, e quindi ci avrebbe provato pur rischiando di cadere di faccia, perché in fondo ruzzolare per terra era comunque meglio che giocare da soli.

     
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    « Nulla. »


    Avrebbe voluto avere qualcosa di migliore, da dirgli. Il ruolo a cui era assurta durante il loro scontro, quello di guida e di maestra, lo stesso che il bastardo le aveva implicitamente chiesto di vestire, quando disperato e ridotto a pezzi era giunto alla sua porta...le sarebbe piaciuto, l'avrebbe inteso come parte della propria crescita, perchè pur non avendolo mai desiderato l'uomo per cui muoveva ancora la maggior parte dei propri passi l'aveva recitato a lungo, e bene, forgiando una guerriera a partire da una bambola.
    Non se ne sentiva degna, non credeva di avere insegnamento alcuno da impartire, persa come lei stessa si trovava la maggior parte delle volte in un cosmo che puniva chi di scopo non ne aveva alcuno, perchè libertà infinita significa anche infinita responsabilità.
    Eppure nemmeno Raksaka aveva mai creduto di poterlo essere. Anche lui si era sempre ritenuto pessimo, inetto, pur non pronunciando tali epiteti perchè il suo ego non avrebbe retto una simile pressione.
    Luna aveva molte voci in lei, cuori differenti la cui sintesi avrebbe certamente distillato consigli migliori. Eppure quando l'uomo alle sue spalle le disse il suo motivo, s'accorse di come il proprio non fosse poi granchè diverso.

    « Ma lui ci sarebbe andato. »


    Doveri atavici, retaggi di cui dimostrarsi degni, il suo caso era più diretto di quello del Ronin perchè l'eredità che aveva ricevuto non era un'arma od un'arena, qualcosa d'inanimato e immobile il cui significato andava scelto, perchè l'ossidiana è muta e non può deciderlo per se...ma un cuore di tempesta, il nucleo avvelenato che aveva scandito i passi dell'uomo che viveva solamente nei suoi ricordi e nei suoi atti.
    Eppure quella differenza, capiva vivesse soltanto nel suo sguardo. Eppure immaginava che nei suoi panni si sarebbe sentita ugualmente vincolata, ugualmente legata alla necessità di dimostrare ciò che sapeva di non possedere, ma che avrebbe guadagnato solo provandoci.
    Non aveva saggezza da condividere con lui, nulla di diverso dal cenno di assenso che gli rivolse quando egli rispose al suo quesito, e ne pose uno simile. Rispose sinceramente, perchè aveva passato la battaglia che avevan condiviso a chiedergli di far lo stesso. E tacque ogni avvertimento, ogni avviso, che la debolezza di quell'uomo le avrebbe fatto pronunciare, non si fosse trovata a capir bene che per lui la morte in battaglia, sarebbe stato un fato migliore del procedere senza uno scopo.

    « Quindi, ora tocca a me farlo. »


    Un sorriso a Raksaka, alla targa che lo rappresentava, come se rivolger sguardi ad un pezzo di vetro nero potesse confermare a chi viveva nel suo petto come non ce l'avesse con lui per quell'obbligo, ma ne fosse in realtà grata. Non aveva trovato altro modo per dar significato alla sua esistenza, che seguir le orme di coloro che in lei riuscivano a marcare un segno...per lui aveva imparato a maneggiar Thamaja, per lui era divenuta forte e temibile almeno parte di quanto lo era stato lui. Per Jacob aveva seguito Alice nella tana del bianconiglio, aveva portato a termine la sua storia o forse ancora stava facendolo, perchè il tempo dei sogni è complicato...poi era stato il turno di Selene, della caccia alle sue eredi, a cui un Ronin simile a quello che ospitava ed al contempo tanto diverso da faticare a riconoscerlo, aveva preso parte durante il loro primo incontro.
    Che toccasse di nuovo a Raks, forse era giusto. Forse era il solo modo che lei aveva, per non perdersi nel nulla in cui già a volte le capitava di fluttuare troppo a lungo...di tutto ciò che aveva fatto, di tutto ciò che era divenuta. Doveva pur farci qualcosa. Partecipare ad una caccia di sangue e lacrime, marciare in un'arena che piedi più piccoli dei suoi avrebbero calcato con orgoglio ed eccitazione, era un modo migliore di altri d'impiegare ciò che il tempo le aveva fatto guadagnare.

    « Puzzavi, quando mi hai raggiunta. »


    A tal riguardo, perchè non volle pensarci oltre, sopendo istinti che sapeva appartenere solo a lei e che parlavano del giorno, in cui aveva strappato a morsi ed inghiottito la carne d'un dio, e della fame sconfinata che il sol pensarci ancora sapeva risvegliar nelle sue viscere. Tornando pragmatica, perchè l'azione le avrebbe permesso d'ignorare un richiamo che avvertiva come pericoloso, perchè il trauma d'esser stata resa serva del Leone Nero e ciò che era accaduto a Thamaja quando l'aveva immersa nel suo sangue e nelle sue lacrime eran parti di se con cui ancora non era scesa veramente a patti, ed a cui per questo dedicava parole e pensieri ben meno volentieri.
    Luna impostò una rotta, premette tasti e tirò leve, poi s'alzò quando certa che il Nido avrebbe continuato a volare stabile verso la direzione che aveva scelto, anche senza lei alla guida. Non sarebbe giunto, finchè lei non l'avesse voluto. Ma neppure avrebbe rischiato di naufragare in altri mondi, strappandola anzitempo alla pausa di cui aveva bisogno, per compiere ciò di cui forse finalmente si sarebbe dimostrata capace.

    « Portavi l'odore delle bestie conosciute come Stabiugen Sturm. »


    Lasciò la cabina di pilotaggio, s'avvicinò al Ronin nella sala principale del suo Nido, poggiando le braccia allo schienale d'una sedia e guardandolo negli occhi mentre pronunciava il nome dell'unica ragione per cui all'inizio, non aveva posto fine alle sue sofferenze con un fendente di Thamaja.
    Quell'aroma, quel tanfo di radiazioni e morte, energia infinita ed infinita fatica. L'avevano fatta esitare, le avevano dato il tempo di riconsiderar le proprie azioni, scegliando un approccio diverso, che infine le aveva fatto guadagnare forse qualcosa in più che vana, temporanea compagnia. Ma una maniera per forgiare, ciò di cui il suo corpo aveva bisogno per poter reggere ciò che non era mai stato fatto, per incanalare.

    « Ne hai mai incontrata una? »


    Volle saperlo...volle capire se ne aveva mai viste, o se la sua capacità di imitazione prescindesse dagli incontri che faceva, da ciò che i suoi occhi avevano davvero visto. Scettica riguardo la prima ipotesi, perchè per quanto il bastardo si fosse mostrato abile nel combattere, dubitava le capacità che le aveva mostrato fossero capaci di farlo sopravvivere all'incontro con un tale, monumentale disastro.

    « O stavi incarnandone il riflesso, prima di cercarmi? »


    Ma era una curiosità superflua, una velleità che non avrebbe fatto alcuna differenza, nella richiesta che a breve gli avrebbe fatto. Strinse lo schienale della sedia a cui aveva affidato il proprio peso, cercò di contener l'eccitazione, lieta per una volta che il suo viso mostrasse unicamente una maschera di ghiaccio, a chi non fosse in grado d'interpretarne le minuscole espressioni. In attesa d'una risposta. Ma anche del quesito che sarebbe seguito, e che forse avrebbe liberato la via per una grandezza, che non s'era mai sognata di poter realmente sfiorare.
     
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