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Marry the night

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    dalla stella che brilla di meno...un BUCO NERO O_O

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    Prosegue da qui!


    C'è un posto a Bludd da cui ormai tutti girano alla larga. Un tempo era li che i più fortunati, i più abbienti ed affamati consumavano i banchetti migliori. Quelli più succulenti, quelli più chic, perché il nome era Cannibal Coco e cosa c'è di più delizioso in un luogo ove ogni corpo è venduto un tanto al chilo di poterlo consumare nella maniera più totale, viscerale, primitiva.
    Ne è passata d'acqua sotto i ponti da allora. Flussi rossi dal sapore metallico, carcasse nere di coloro che guidati da una donna con la chitarra credettero di potersi lasciare alle spalle l'appetito perché era lei ad averlo organizzato, ad averlo chiamato Carnevale della Mezzanotte, senti un po' che nome figo. E ad averli delusi tutti, e ad essersi fatta ammazzare come una cagna, e ad aver spinto la sgualdrina con cui condivideva il letto che altri non era che quella stessa Coco che aveva fatto sognare il palato di tanti a darsi alla macchia, ad andarsene e non farsi vedere mai più, lasciando che del proprio ristorante non rimanessero che rovine.
    Normalmente qualcuno sarebbe arrivato a rilevarne la proprietà, a sciacquarne via i vecchi ricordi, a trasformarlo in un parcheggio o un sex shop o un set su cui girare porno al limite del decente e del legale. Ma sapete come funzionano questo genere di cose no? Le voci corrono veloci, e l'idea che Coco avesse segreti da nasconder giù in cantina divennero ancor più rapide quando qualcuno giurò d'aver visto un fantasma aggirarsi dietro le finestre vuote e tra i tavoli in rovina. Uno spettro senza faccia o forse un diavolo o uno zombie, lo spirito vendicativo di tutti quelli che eran stati sgranocchiati da altri fino all'osso o piuttosto un fratellino oscuro sopravvissuto all'ecatombe in cui il Carnevale s'era concluso.
    Era diventata una piccola leggenda allora, la casa degli orrori di quartiere, quella in cui i figli di papponi e prostitute si sfidavano ad entrare quando gemiti e grugniti li stancavano e dovevano cercare un brivido più autentico per riempir le proprie notti. Di loro erano tornati in pochi e nessuno aveva gli occhi. Folli, perlopiù, nessuno aveva dato retta al loro sbiascicare di tizi con le corna e del sangue e delle Verità che aveva insegnato loro. E tutti avevano smesso di parlarne e persino di rivolgere lo sguardo a quell'edificio sempre più decrepito, sempre più sinistro. Tranne quando di tanto in tanto urla o ringhi potevano essere uditi echeggiare tra le sue sale, assieme ai cigolii dei vecchi strumenti con cui per anni Coco aveva fatto a pezzi poveri cristiani per servirli con patate e salse alle folle adoranti.
    Nnngggh!
    Era una di quelle notti, perché Sheol era un uomo impegnato ed a casa non ci passava tanto spesso. Eppure quando l'ultimo bastardo trovatello l'aveva costretto a catapultarlo nelle tenebre, eppure quando senza di lui il suo mondo interiore aveva iniziato ad andare in pezzi, un'arena nera sbriciolata e pronta a cadere finalmente nel buco nero sul cui margine aveva orbitato troppo a lungo. In che altro buco avrebbe mai potuto portare la carcassa di quello sfortunato bastardo, quale altra tana avrebbe potuto scavarsi nella trama del caos dove potersi rifugiare per leccarsi le ferite, slinguazzarsi anche quelle dell'altro, ottenere finalmente l'unica cosa avesse mai voluto da lui?
    E' verso casa che il cuore tende ed il diavolo non ne aveva mai avuta un'altra perché la fogna da cui era strisciato fuori non meritava quel nome, e perché Emme aveva reso tale il ristorante di sua moglie per tanti come lui prima d'essere tradita da uno di loro. C'era della poesia nel fatto che fosse proprio tra le macerie del suo sogno che Sheol avesse scelto di piantare i semi per il suo sequel, perché l'idea della rockstar non era male ma chi meglio di un diavolo avrebbe potuto smussarne gli angoli e renderla migliore.
    E tutto iniziava così, trascinandoci a forza il bastardo che aveva inseguito nei suoi stessi deliri e strappando a forza dal suo petto la lastra di vetro nero che era stato lui a ficcarci dentro, perché si parla molto meglio quando si smette di provare ad ammazzarsi a vicenda. E quando uno dei due è alla totale mercé dell'altro, perché a giocare al buon samaritano il bendato non era mai stato tanto bravo e certo, quel maledetto Ronin l'aveva salvato. Ma non era mica detto l'avesse fatto soltanto per poterlo ammazzare di nuovo.
    Allora.
    La sala era buia, puzzava di sangue e per una volta non era nemmeno colpa sua. Su una parete una grata a coprire le lente ali d'un grosso ventilatore industriale, era da li che luce purpurea filtrava dall'esterno dove un tempo venivano aspirati gli effluvi mefitici che scaturivano dall'enorme fosso ai suoi piedi. Uno scivolo metallico, segnato da tracce che altro non potevano essere che le unghiate di chi aveva disperatamente tentato di non giungerne sul fondo, sovrastava un tritacarne i cui denti incrostati di rosso lasciavano ben pochi dubbi riguardo ciò che un tempo gli veniva gettato in pasto. Fu li che Sheol buttò la scheggia di vetro nero che aveva estratto dal petto del suo nuovo ospite. E sul ciglio di quel baratro che mollò il Ronin stesso, prima d'indietreggiare e lasciarsi cadere pesantemente su una sgangherata sedia posta innanzi a quella che pareva essere la console da cui tutto il meccanismo veniva controllato.
    Ci siamo divertiti, ah?
    Lui una lastra d'ossidiana in petto l'aveva ancora e Superbia maledetta se faceva male, se dava fastidio, se grattava ad ogni parola ed ogni respiro dandogli una voglia matta di dare al bastardo che gliel'aveva spinta dentro la spintarella che sarebbe bastata a fargli fare una fine orrenda.
    Forse l'avrebbe fatto davvero subito dopo aver tirato un calcio alla leva che azionò il tritacarne, riempiendo la sala dello stridere lancinante dei suoi meccanismi e delle scintille oscure che l'ossidiana scagliò prima di finir tritata in sottile sabbia. Non fosse stato per il suono che entrambi udirono solo un istante prima che a coprirlo giungesse il chiasso di quelle fauci metalliche, simile all'eco d'un disperato ed infantile pianto.
    Ora, però.
    Il piano, il piano, doveva restare concentrato sul maledettissimo fottutissimo piano. Lo stesso per cui da tempo s'era messo in testa di cercare i poveri orfanelli del Silenzio, lo stesso per cui l'Uomo Nero in persona avrebbe dovuto baciargli i piedi, lo stesso che stava pian piano trasformandolo, perché se anche affascinante come Emme non avrebbe mai potuto esserlo ci si stava davvero mettendo d'impegno a non ficcare una mano in pancia a quei pazzi infami e lasciarli a crepare nella loro stessa merda.
    A darmi retta per due fottutissimi minuti.
    Il piano, il piano di Sheol, il piano tanto difficilmente partorito dalla sua testa marcia e rotta, Sheol ed il suo piano. Lo stesso per cui forse quel Ronin non sarebbe servito più a nulla, perché l'ultimo trucchetto con cui aveva tentato di ammazzarlo lo conosceva essendo stato lui a crearlo e per questo sapeva bene cosa gli mancasse, quanto cieco fosse divenuto, ed a tal riguardo s'apriva un bel quesito a cui rispondere.
    Quando uno dei figliocci abbandonati dal Silenzio perde gli occhi, cos'è che succede? La sua fame diventa ancora più grande, il suo stomaco brontola ancora di più, e questo si che gli sarebbe stato utile. Oppure scorda d'averne mai visto l'ombra, dimentica d'averci mai parlato. E crepa di fame e di stenti senza nemmeno poterne capire il motivo, nel qual caso gli avrebbe volentieri risparmiato la sofferenza?
    Di gente capace di legger nella testa degli altri Sheol ne aveva conosciuta e cazzo se li invidiava. Perché finché non avesse imparato, finché il suo sguardo non si fosse fatto lungo a sufficienza. L'unica maniera per scoprire tutto ciò di cui aveva bisogno era parlare con quei mentecatti, e cazzo se la cosa gli faceva schifo.
    Ce la possiamo fare, tesoro?


    Baro ~ E ALLORA MI LASCI GIOCARE O NO HAI CAPITO STAI GIOCANDO SOLO TU E MI HAI PROPRIO ROTTO I COGLIONI HAI CAPITO MI HAI ROTTO I COGLIOOONI PERCHE' NON SONO UN'AUTOMA SONO UNA PERSONA AD UN CERTO PUNTO TE LO DEVO PROPRIO DIRE: VAFFANCULO! VAAAFFAAAANCUUULO! VI A EFFE EFFE NGUUULO! TU IL TUO GIOCO IL TUO REGOLAMENTO DIMMERDA MI FAI SCHIFO, STROOOONZOH! Si ok in pratica la tecnica va castata assieme ad un'altra e permette a Sheol di ignorarne un limite imposto dal regolamento e dalla sua descrizione, mutandone l'effetto o le specifiche sulla base della potenza che vi applica; essendo basata sul rompimento di maroni e la cazzimma di Sheol necessita e consuma un 30% di carica di BlackMaw per essere utilizzata e comunque 'fancuuuulo!

    Wunjo ~ Un'offesa ad ogni passo, un furto ad ogni respiro. Sheol non avrebbe mai dovuto esser qua. Non avrebbe mai dovuto esser libero ne avere un fato diverso dal crepare male assieme ai disperati tra cui è nato, utili soltanto affinché altri potessero splendere dopo aver scaricato su di loro la propria sporcizia. Ed a voi non sembrerà, perché che volete capirne di chi ha visto angeli peggiori d'ogni diavolo e scorto la verità dietro cui tutti loro si nascondono. Ma di tutto questo egli è grato, di tutto questo egli è euforico. Abbastanza da non volerla smettere d'essere tra noi. Abbastanza da accettare ogni male pur di non doversene mai andare: succede quando dovrebbe subire danni, succede quando alla morte dice no. Trasformando ciò che dovrebbe subire in catene che si pone sulle spalle, bloccando le proprie stesse abilità - per un massimo di 10 turni - fino a pareggiare quanto subito perché non gli importa d'essere speciale, non gli importa d'esser unico ma soltanto di respirare ancora, di continuare a viaggiare ancora. Oltre gli orizzonti che gli sarebbero spettati se il Silenzio non l'avesse mai abbracciato, e poi ancora un po' più in la.


    ALLORA CARISSIMO - e carissimi, perché iniziamo in due ma poi si aggiungeranno altri - , ecco il seguito di The Sound of Silence ma non solo, perché qualche nodo sparso in giro in varie scene inizierà a venire al pettine a partire da qua u.u
    Per cominciare la scena parte come diretto seguito di quella citata e quotata, ed alla domanda che mi facesti Jira riguardo i danni subiti dai pg nella scorsa ti direi che No, non scompaiono al cambio scena, ma a quelli del Ronin ci pensa Sheol: tramite Baro utilizza la tecnica Wunjo su di lui anziché su se stesso, nella versione in cui permette di tramutare danni in malus di sigillo sulle abilità, motivo per cui il Ronin si ritroverà per i prossimi 8 turni senza le sue abilità (poi magari a seconda di come va la scena se c'è qualche piccolo time skip più avanti li accorciamo pure xD), ma in compenso curato dal 230% di danno che s'era pigliato u.u e anche davanti ad un tritacarne gigante ma quello vabbèèè che sarà maii
    Dopo l'intro con solamente loro due vediamo di recuperare gli altri partecipanti u.u
     
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    Nella lunga vita di quel padre sconosciuto da cui aveva ereditato le memorie, il Rōnin aveva già visto episodi simili. Scene da film dell’orrore, con aguzzini in pieno controllo della situazione e vittime inermi alla loro mercé, a stento ancora aggrappate alla vita con le unghie. Conosceva il copione e le battute, perché anche il suo predecessore amava giocare all’intimidazione mafiosa con le sue prede, lasciandole sull’orlo del precipizio per vedere fino a che punto si sarebbero spinte pur di non cadere. Ci provava gusto a mettere alla prova quei disgraziati, tenendoli alle strette per scoprire di che pasta erano fatti sotto la scorza d’ipocrisia di cui s’ammantavano. Non dubitava che anche il suo rapitore provasse qualcosa di simile nell’azionare il trituratore dopo avergli scongiurato una ferita mortale, illudendolo che ci fosse una salvezza solo per frantumarla subito nei dentelli di quel morso rullante. Aveva come l’impressione che il suo vecchio e quel demonio sarebbero andati d’accordo, se fossero sopravvissuti ai primi raptus omicidi che un loro incontro avrebbe inevitabilmente suscitato.

    «Certo che, per essere un portavoce del Silenzio, ne hai di voglia di blaterare.»

    Ma lui non era suo padre, non più. Da quando aveva capito che in lui albergava un’anima presa in prestito, da quando si era reso conto che non aveva un nome perché la sua esistenza era sbagliata e pertanto nessuno si era disturbato a battezzarlo. Da allora aveva capito che, per quanto si sforzasse di fingere, non avrebbe mai vestito i suoi panni o camminato per la sua strada.

    «Sprechi però il fiato, Sheol.»

    Lo disse mentre cercava di riprendere il proprio, di fiato, perché farsi sbalestrare dall’incubo del proprio Ego ai bassifondi della puttana cosmica era davvero troppo anche per lui, e - per quanto cercasse di atteggiarsi a stoico prigioniero - il dislivello esistenziale che aveva attraversato gli faceva ancora pulsare le tempie e affannare il respiro. Era troppo scosso per chiedersi perfino come facesse a conoscere il nome del suo persecutore, proferito all’interno della sua testa e pertanto rimasto impantanato nei ricordi surreali del loro scontro.

    «In fondo non ho più quello che ti serve per il tuo “grande piano”, dico bene?»

    Uno scontro che aveva concluso col botto, bruciando una facoltà che a malapena intuiva di possedere pur di annichilire una versione di sé che aveva tradito la sua stessa identità – che detta così sembrava soltanto un brutto trip allucinogeno in cui aveva fatto a botte con la propria inadeguatezza, e forse non era così lontano dalla verità. Di qualunque droga si fosse fatto, adesso era infine sveglio e per la prima volta da tempo immemore non sentiva più lo sciabordio delle onde che gli scrosciava nelle meningi. Non aveva più un sentiero da percorrere, perché aveva sacrificato l’ispirazione che gli consentiva d’immaginarlo.

    «Tanto vale farla finita subito.»

    Gettò la sua lama ai piedi del carnefice, perché ormai anche portare una spada alla cintola era inutile se la sua via era preclusa. Forse si sarebbe lasciato cadere nel tritacarne, forse avrebbe commesso seppuku nell’ultimo scoglio su cui si era infine arenato, o magari avrebbe lasciato al Diavolo il piacere di sventrarlo e fare della sua carcassa ciò che preferiva.

    Ormai la pantomima era finita.
    Non restava che calare il sipario.

     
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    Puttana di quella Superbia...
    La fronte pulsa, le tempie battono come tamburi da guerra. Stringerle in una mano non basta per zittirle e sai cos'è, forse centra la lastra di vetro che hai in petto. Forse invece no e bastano davvero le stronzate che escono dalla bocca di quell'idiota a farle rimbombare, echeggiando abbastanza da raggiungere meandri di se che Sheol di norma non toccherebbe neppure da lontano con un tubo arrugginito.
    Perché il fatto non è che c'abbia sprecato una giornata a rincorrerlo nel mezzo dei suoi deliri perché quanto tempo ha già buttato via, quanto ancora getterà consapevolmente nello sciacquone per nessun altro motivo che non poterlo fare. Ne gli importa davvero d'avercelo dovuto trascinare fuori a ceffoni che alla fine ci si è pure divertito, nella misura in cui riesce a farlo un impiegato che frega il sistema giocando a solitario durante l'orario d'ufficio. E neppure che sia un fallimento perché dai, di che cazzo credete siano piene le cantine di quel posto se non dei bastardi con cui ha già tentato e che già l'hanno deluso?
    Il Silenzio non è per tutti e le Verità che nasconde tantomeno, avesse voluto la vita facile si sarebbe messo a succhiarlo a qualche nobilotto con la s sibilante e tanti saluti.
    Ma lui ce l'aveva, mannaggia a tutto. Lui ne era stato toccato davvero e questo li rendeva simili, questo li rendeva fratelli, perché così Emme chiamava gli altri mostri del suo club e nello scegliere se ereditare quell'abitudine o la destrezza con la chitarra Sheol aveva evidentemente pescato la pagliuzza corta.
    Ed un conto è dar la colpa al marcio che uno c'ha in testa, un colpo è quando son le voci dell'inadeguatezza a parlare dall'angolo più polveroso e misero dell'ego d'un bastardo. Ma dal suo petto era uscito, dalla sua testa era riemerso, era lui davvero lui che aveva di fronte in quel momento.
    Eppure delle cazzate di suo padre era ancora talmente pieno da non saper far altro che continuare a vomitarle.
    Non dovrebbe essere proprio questo il cazzo di punto?!
    Se tanto doveva morire, se tanto doveva ammazzarlo, se tanto alla fine è sotto terra che finiamo tutti e tanti o pochi occhi a quanto pare frega solo a chi apparentemente non ne ha nessuno. Che stesse almeno a sentirlo allora, che fosse il testimone dello sclero che stava montando da un bel po' o forse da sempre ed a cui nessuno avrebbe dato retta volontariamente, ma guarda un po' a lui toccava farlo perché l'alternativa era finire carne trita.
    Ce l'avevi, l'hai buttata via. Buuu-huuu, poverino!
    La voce alta, il tono caustico, s'alzò dalla fottuta sedia e finalmente si strappò via dal petto quella scheggia di vetro nero perché 'fanculo, non gli serviva saper scrutare l'animo per aprirgli la testa a cazzotti se era li che dovevano davvero andare a parare. Un bel lancio per fargliela passare ad un soffio dalla capoccia, in realtà lo mancò d'un metro ma chissenefrega che canestro lo fece comunque nel tritatutto che finì per inghiottirla in una cacofonia stridente d'urla e graffi. Quel fottuto bambino non la smetteva mai di piangere, era l'unico a sentirlo ancora? Certamente non aiutava il suo umore ne la voglia d'esplodere che gli metteva quel bel faccino da fesso, perché un altro l'avrebbe capito. Uno che di speranze non ne avesse mai avute, uno nato nella bambagia o nell'oro che certe cose non aveva mai dovuto chiedersele.
    Invece lui l'aveva fatto ad una certa, invece lui qualcosa l'aveva intravisto di ciò che a Sheol faceva paura e dunque aveva bisogno d'illuminare prima di decidere se affrontarlo o arrendersi come quell'altro stava facendo. Ed eccolo comunque li a frignarsi addosso, a volerla fare facile. Disposto a morire piuttosto che far quello che evidentemente doveva essere un'idea da pazzi, se solo un diavolo e l'unica donna avesse mai davvero amato erano riusciti ad arrivarci.
    E quindi adesso t'ammazzo, ti lasci ammazzare? Finita qua, partita chiusa, baci baci?
    Camminava avanti e indietro, le braccia larghe ed i muscoli tesi, le dita piegate come artigli perché la tentazione di ficcarli nella pancia di quel rifiuto e farla finita era più forte a ogni respiro. Un calcio alla stessa sedia su cui s'era riposato appena gli capitò di nuovo sotto tiro, la mandò a schiantarsi contro il muro in un chiasso infernale facendosi un male cane allo stinco e neppure gli servì per distrarsi dal dolore alle tempie, anzi.
    Quello passò solo l'attimo dopo, quando pronunciò finalmente ciò che davvero voleva chiedere.
    Perché cazzo non la rivuoi.
    Perché lui aveva fame, cazzo. Perché l'aveva sempre avuta, ancora prima che babbo Silencio passasse a dargli la manina e condurlo nel parco giochi dei grandi e che altro deve fare chi ha lo stomaco che brontola se non pensare a come riempirlo?
    E invece quello che aveva appena vomitato, e invece quello che avrebbe dovuto essere il più affamato di tutti quanti. Faceva finta di niente, come avesse buttato via una vecchia scarpa e non la possibilità di visitare almeno uno spicchio di quei diecimila riflessi che erano i mondi in cui i viaggiatori sapevano scivolare.
    E dunque non avrebbe mai saputo cos'è che riflettevano davvero. Ne perché lo facessero, ne perché fossero tanti anziché uno. Nessuna risposta per le domande che Sheol si faceva fin da quando era stato costretto a capirlo e neppure per quelle che era troppo scemo per formulare ancora. E gli andava bene così, o almeno fingeva bene che lo facesse. Abbastanza da convincere il diavolo ad avvicinarglisi, a farlo anche pure troppo, finché i loro visi non furono a pochi centimetri di distanza col fiato dell'uno ad estinguersi in quello dell'altro. E ripeterglielo, sussurrando anziché gridando. Quelle che avrebbero potuto essere le ultime sillabe che avrebbe sentito in vita, le stesse che Sheol pronunciava per la prima volta ad alta voce dando alito a ciò che davvero, fin dalla sua prima ora di libertà, gli aveva sempre impedito d'essere altro che un mostro per i dannati orbi a cui la fuori stava bene navigare senza conoscere nulla del mare in cui lo facevano.
    Perché cazzo non la rivuoi?



    Wunjo ~ Un'offesa ad ogni passo, un furto ad ogni respiro. Sheol non avrebbe mai dovuto esser qua. Non avrebbe mai dovuto esser libero ne avere un fato diverso dal crepare male assieme ai disperati tra cui è nato, utili soltanto affinché altri potessero splendere dopo aver scaricato su di loro la propria sporcizia. Ed a voi non sembrerà, perché che volete capirne di chi ha visto angeli peggiori d'ogni diavolo e scorto la verità dietro cui tutti loro si nascondono. Ma di tutto questo egli è grato, di tutto questo egli è euforico. Abbastanza da non volerla smettere d'essere tra noi. Abbastanza da accettare ogni male pur di non doversene mai andare: succede quando dovrebbe subire danni, succede quando alla morte dice no. Trasformando ciò che dovrebbe subire in catene che si pone sulle spalle, bloccando le proprie stesse abilità - per un massimo di 10 turni - fino a pareggiare quanto subito perché non gli importa d'essere speciale, non gli importa d'esser unico ma soltanto di respirare ancora, di continuare a viaggiare ancora. Oltre gli orizzonti che gli sarebbero spettati se il Silenzio non l'avesse mai abbracciato, e poi ancora un po' più in la.


    Essendo l'ultimo turno di Othala, che aveva permesso a Sheol di tankare i danni subiti a costo di peggiorarli nel tempo, finalmente si strappa via la lastra d'ossidiana e li sopprime con la stessa tecnica che ha permesso al Ronin di sopravvivere u.u essendo che da 200 son diventati 320 per via di Othala si blocca per 10 turni Diploplia, per altrettanto la Verità Rossa e per 2 turni BlackMaw!
     
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    L’escandescenza del diavolo fu uno spettacolo davvero pietoso.
    Tanta collera e bile da fondersi il fegato in una pappetta fumante, e tutto perché il suo nuovo giocattolo non voleva saperne di stare al gioco. Cominciò a capire cosa provassero le vittime del suo vecchio sottoposte a simili scleri, e non fu una bella sensazione. Tutta quell’ansia di dimostrare qualcosa, di rompere tutto perché non funzionava niente, di prendere a picconate il muro di stoicismo o nichilismo che i prigionieri erigevano attorno a sé come gesto di estrema autodifesa. Era tutto fin troppo patetico, e si fece schifo da solo per averne anche solo fatto indirettamente parte.

    Lasciò che il carceriere facesse la sua sceneggiata e gli arrivasse a una spanna dalla faccia – non che avesse poi tanta scelta a riguardo quando arretrare comportava un tuffo tra le lamiere. C’era solo una maschera d’oni a fare da barriera tra loro, o forse nemmeno quella, perché era talmente sfibrato che in tutta onestà non sapeva se ce l’avesse ancora pigiata in volto. Non che importasse davvero, davanti a chi l’aveva scrutato più in profondità di chiunque altro e che, nonostante ciò, non aveva ancora capito nulla di lui.

    «L’hai detto anche tu: “quella non è la meta, quella è la chiave”.»

    Scimmiottò il suo tono graffiante e fissò quell’ammasso di bende che forse celava un viso o forse solo uno scherzo della natura. Era sbalorditivo pensare a quanto fossero simili e a quanto si fossero letti vicendevolmente in quella fusione di cervella da cui erano riemersi insieme. E malgrado tutto non riuscivano proprio a comprendersi, perché alla fine non c’era peggior cieco di chi non voleva più vedere, e buona fortuna a capire il prossimo con gli occhi bendati o una facciata saldata al muso.

    «Forse ciò che c’è dietro la porta non vale davvero la pena di forzare la serratura.»

    A furia di brancolare nel buio era finito a sbattere contro i battenti chiusi e chissà se aveva sbirciato attraverso la toppa, per poi restare deluso da ciò che aveva intravisto, voltando così le spalle alla soglia chiusa. Ma davanti a sé aveva un topolino esagitato che pretendeva l’uscio aperto a suon di bestemmie a Superbia e a tutti i santi del Giardino del piacere costruito sulle fogne che si dipanavano sotto i loro piedi, e quindi gli toccava pure spiegare le proprie ragioni.

    «Sei sicuro di non confondere il mezzo con lo scopo, Sheol? Sei sicuro che la tua fame non sia fine a se stessa?»

    Perché eccome se la sentiva ancora quella brama che gli rivoltava le membra, e figurarsi se non avrebbe agguantato la prima cosa a forma di conchiglia per schiacciarsela sull’orecchio pur di sentire ancora il rumore delle onde a cui aveva appena rinunciato. Però lui la fame aveva imparato a ignorarla, o almeno di questo si era convinto. Perché in quanto uomo sarebbe sempre stato affamato – di attenzione, di affermazione, di amore, che qualcuno gli dicesse che era abbastanza. E dio se l’avevano lasciato a digiuno nell’ultimo quarto di eone, ma cos’altro poteva fare se non tacciare quella sete d’acqua salata, che più ne avrebbe bevuta e meno si sarebbe dissetato? Quale altra via restava se non rinnegare l’infinità di Mondi che gli avevano rammentato di come lui non ce l’avesse e non lo meritasse un posto in quel vasto Multiverso?

    «Io potrei uscire e cercare di ricostruirmi una vita in quest’ultimo lido che non posso più lasciare. Non sarebbe facile, ma ci proverei.»

    S’illuse ancora di potersi ritagliarsi un fazzoletto di spazio, che nell’improbabile evenienza in cui l’aguzzino cornuto l’avesse rimesso allo stato brado avrebbe potuto addomesticarsi nella città di squallore in cui era capitato – o almeno sarebbe crepato nel tentativo. In fondo perché calcare migliaia di orizzonti da esule invece di ammirare il tramonto da una sola casa? Con un prisma al posto del cuore aveva capito che la luce era sempre la stessa, rifratta in diverse sfaccettature ma non per questo diversa. Che l’unico spettro ancora invisibile era quello dentro di lui, e che alla fine il suono del mare in una conchiglia era solo il sangue che gli scorreva nelle vene per ricordargli che era vivo.

    «Tu saresti in grado di fare lo stesso o moriresti d’inedia?»

    Uno sguardo non di sfida ma di genuina curiosità, perché nel gioco del Silenzio le parole erano sempre insufficienti e solo negli occhi si leggevano le verità taciute.

     
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    Arrendersi.
    Arrendersi.

    Una mano sul suo collo.
    Artigli rossi sulla giugulare.
    Stringere sarebbe facile.
    Strappare sarebbe facile.
    Troppo per concederglielo.
    Troppo dopo ciò che ha detto.
    Troppo dopo ciò che ha suggerito.


    Chiudere gli occhi a tutto questo.
    Chiudere gli occhi a tutto questo.

    Chi cazzo lo farebbe. Chi cazzo s'illuderebbe di poter scordare.
    Il sole è ancora alto.
    I giochi sono infiniti.
    Sheol non vuole tornare a casa.
    Sheol vuole correre.
    Sheol vuole ridere.
    Sheol vuole esplorare.
    La vallata è enorme, i colli son lontani.
    Parte del cielo, parte dello sfondo.
    Non è l'unico a vederli.
    Allora perché è il solo a volerli superare?


    No!
    No!
    No.
    No alla via di fuga che cerca, non a quella di cui si dice disposto ad accontentarsi. No a tutto perché lui ha vinto, l'altro ha perso, quindi è lui a decidere perché è così che funziona.
    Lo lascia andare. Lo butta a terra anziché indietro, lo getta sul pavimento e non nel cigolante abisso che avrebbe voluto dire la sua fine.
    La rabbia...la rabbia c'è ancora, la rabbia ci sarà sempre, Sheol non ha passato un giorno da che è nato senza provarne abbastanza da ingozzarsi.
    Ma non è lui il problema, non è lui la soluzione. Potrebbe strappargli gli occhi, potrebbe mangiarseli, potrebbe farne perle da tenere alla cintura e divorare quando il mondo fa paura ed è tuffandosi che il diavolo ha imparato a esorcizzarla.
    Ma a che pro se tanto sarà solo. Ad ascoltare quel fottuto bambino che piange nella sua testa, e chiedersi ancora ed ancora quanto in la si dovrà spingere perché altri vedano ciò che lui una volta sola ha spiato.
    Sei libero, Ronin.
    Sa cosa gli ha fatto. Sa perché le vene bruciano, perché il cuore lo martella, perché la poca luce in quella stanza brilla oltre le bende come cento e mille aurore.
    Fa un po' quel cazzo che ti pare.
    Gli volta le spalle lo stesso. Lo stesso lo lascia li, perché ha morso la sua mano.
    Se quel giorno lui avesse fatto lo stesso. Se avesse interrogato il Silenzio anziché seguirlo, anziché fidarsi.
    Anziché vedere in lui quell'ombra che l'aveva sempre accompagnato, che gli aveva insegnato a parlare con fango e sangue.
    Forse l'Uomo Nero avrebbe agito allo stesso modo?
    Forse gli avrebbe parlato. Per dirgli che il segreto era quello, che avrebbe dovuto restare anziché sognare?
    Vattene.
    Non si sopravvive con i ma.
    Neppure con i se.
    Ci son domande più interessanti da porsi, del tipo. Ora che il Ronin ha addosso la stessa luce che un tempo aveva liberato un diavolo, avrebbe avuto le stesse visioni?
    Oppure avrebbe scoperto mondi nuovi...Verità diverse. Il suo cuore sarebbe bruciato per altro. O avrebbe finito per inciampare e cascar da solo verso la fine che Sheol non era stato clemente abbastanza da dargli?
    Sempre che tu ne sia capace?
    La porta è vicina, il diavolo ci si aggrappa. Cigola dannatamente forte quando la apre, gratta i timpani e sfregia l'animo nonostante sia nient'altro che lamiera e ruggine. Saranno le fauci di un mostro per lui? O una lama che gli trafigge il cuore e glielo strappa, perché che cazzo se ne fa chi ha scelto d'abbandonare ogni ricerca?
    Hahah...
    Ride finalmente, dovrebbe esser bello. Invece è più spaventoso d'un grido perché è l'isteria a spingerlo a farlo, e per un attimo li rimpiange.
    Quei primi giorni di delizia, di giubilo, d'irresponsabile e spensierata libertà.
    Prima che si mettesse in testa di dovere far qualcosa con ciò che ha ricevuto. Prima che un'idea sbocciata nella mente d'una strega lo contagiasse, mettendo radici in lui, seppellendo un seme nel suo petto e pretendendo fosse lui ad innaffiarlo d'ora in poi.
    Si ferma prima di chiudere quell'uscio. Prima d'abbandonare il Ronin per qualche ora, o qualche giorno. Magari per sempre o finché da laggiù non fosse riemerso come qualcosa di diverso, o forse solamente carne pesta.
    Lo guarda, lui che avrebbe potuto dirgli tutto. Accettare il suo invito, rifiutarlo, fargliene uno anche migliore.
    E invece ha scelto il nulla. Ed in cambio ha avuto tutto, ovunque. Ed ogni cosa nello stesso istante.

    HAHAHAHAH!





    Hematemesis ~ Vene recise, cuori aperti, fiumi scarlatti in piena. Un diavolo ridipinge i mondi con rosse pennellate, imbratta la loro falsa perfezione e spegne la loro luce impura perché è sul falso che tali regni son stati eretti e ciò che impregna le fondamenta urla per salire in superficie, e chi meglio d'un rifiuto senza bocca per incanalar la loro voce? Mamma ve lo diceva un tempo, non basta nasconder lo sporco sotto il Tappeto perché questo svanisca. E quando ad esser occultata non è polvere ma cadaveri a miliardi, mondi interi dati in sacrificio perché voi possiate prosperare, non sorprendetevi se gli spettri di coloro che avete usato e dimenticato torneranno a tormentarvi: Sheol aprirà loro la via e vi ritroverete affogati dai vostri peccati, da oceani d'un sangue sempre più cattivo ed impossibile da fermare, coi 2Lv extra che questa tecnica donerà - per la durata di 5 turni - all'abilità Omen.


    Gear ~ Sopravvivere è l'imperativo. Non importa se bisogna strisciare, non importa se il mondo è freddo e crudele, non importa se ci si può sfamare solo con fango ed il proprio sangue. Forse sarebbe meglio non esistere, non dover sopportare il peso di tutto questo, ma non importa: nessuno ha mai detto che è giusto o saggio, ma nonostante tutto non vuoi morire. Se hai un'arma usala, in ogni modo possibile.
    Gli unici poteri di Sheol sono il sangue e la pazzia, ma chi si aggrappa alla vita scopre come usare al meglio il poco che ha: tramite questa tecnica ne potrà ricavare tanti supporti quanto la sua mente saprà immaginarne, guadagnando per 2 turni una velocità straordinaria accelerando il sangue nelle sue stesse vene, o una resistenza sovrumana ricoprendosene come fosse un'armatura, o la capacità di volare formandovi ali da predatore...e così via, senza limiti. Il prezzo da pagare è la potenza perché una varietà così esagerata riduce l'efficacia degli Status che guadagna, che conteranno come se divisi su tre turni anziché due.



    Sheol usa Hematemesis per pompare Omen a Lv5, e poi usa Gear per darne il Lv alla Verità Rossa: questa era stata azzerata dal cast di Othala ma grazie a questo power up torna a Lv5, e la manipolazione del sangue assicura che questo resti addosso al Ronin per causare l'effetto psichico di follia.
    Che a questo livello è totale ed assoluta, delirio nella sua forma più completa e devastante, e lascerei completamente a te riguardo forma e conseguenze così da movimentare un po' la situazione u.u potrebbe essere una nuova apoteosi, potrebbe essere un delirio propedeutico a decidere qualcosa, o solamente delirio e basta finché Sheol non tornerà giù a controllare - se si ricorderà di farlo. Di base dovrebbe durare due turni ma sul tempo mettiamoci pure d'accordo e/o dimmi te che in caso è plausibile che Sheol la allunghi continuando a castare gear, in caso ci sentiamo su discord se serve una mano. A te caro!
     
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    Di colpo, mi sono svegliato.
    La stanza è buia, filtra solo la luce di un lampione dalla persiana. Mi fischiano le orecchie. Sento una pressa sulla testa e sul petto. Mi manca il fiato. Cerco di ricordarmi come si respira ma l’aria è così leggera e io mi sento così pesante. Mi alzo dal letto, magari mi passa. Vado in cucina, mi verso un bicchiere d’acqua dal rubinetto. Haah, va un po’ meglio ora. Provo a ripensare a cosa stavo sognando, ma i ricordi sfumano insieme alle ombre di mezzanotte. Pazienza, tornerò a dormire.

    Rientro in camera, camminando scalzo sul pavimento. Fa freddissimo, devo fare in fretta prima di congelarmi i piedi. O prima che i miei occhi si abituino all’oscurità e a ciò che nasconde. Se solo questo maledetto fischio non mi perseguitasse ancora. Voglio solo coricarmi e farlo tacere. Raggiungo il letto, però mi blocco. C’è qualcuno sdraiato al mio posto. Una sagoma infagottata nelle coperte e rivolta contro il muro, come un penitente che cerca di espiare le proprie colpe. Una cosa appiattita sulla parete che non può essere una persona perché è troppo patetica. Arretro di un passo.

    Questa non è casa mia. Quello non è il mio letto. E quello non sono… Dove mi trovo? Cosa stavo sognando prima? Vi prego fate smettere questo cazzo di fischio perché è una tortura. Devo andarmene da qui, subito. Prendo la mia roba e corro verso l’uscita. Inciampo, cado per terra, bestemmio. Intravedo qualcosa sgattaiolare sotto al tavolo di fianco a me. Due occhi verdi si aprono nel buio e mi fissano. Io non dovrei essere qui. Cerco di rialzarmi, ma la testa mi fa troppo male.

    Sento un rumore dalla porta d’ingresso. Una chiave inserita, comincia a girare nella serratura. No, non può essere. Clac, una mandata. Il fantoccio nel letto sussulta. Clac, due mandate. Cado in ginocchio, la creatura zampetta verso la soglia. Clac, tre mandate. La porta si apre, la luce taglia il buio. Non è vero, non è vero, non è vero! Io non posso più stare qua, ma l’uscita è bloccata. Porto la mano al fianco e afferro qualcosa d’impulso… è un coltello.

    Senza pensarci due volte me lo ficco in pancia. Fa un male atroce. Spingo più forte, più in profondità. Digrigno i denti fino a spaccarli e trascino la lama con uno strattone. Sento l’addome gonfio che s’irrigidisce. Qualcosa di viscido esce dallo squarcio. Mi accascio sul pavimento, immerso in un bagno tiepido. Respiro sempre più piano. Finalmente sento la testa più leggera, anche se con un po’ di vertigini. Non importa, presto finirà tutto quanto. Ora posso tornare a dormire.

    I suoni si fanno ovattati, le grida distanti. Mi sembra di sentire qualcosa di morbido e umido sfiorarmi la guancia, ma forse è solo un’impressione. Mi aspetta un sonno senza sogni, da cui non mi sveglierò più di soprassalto. Ah, finalmente il fischio è sparito.

    L’unica cosa che sento ora è…
    Silenzio.

    刃の墓 - [Ha no haka]
    Ibrido tra un wakizashi e un coltello tantō, leggermente più lungo e massiccio della media, pensato per un bushi di grande prestanza fisica… o forse, non del tutto umano. Odora di tomba e di terra, il metallo così opaco che nessun olio sarà mai in grado di ridargli splendore. Il filo consumato e irregolare lascia ferite slabbrate e inclini all’infezione: quasi mordesse la carne della vittima, piuttosto che tagliarla. Idoneo per essere portato nel daishō e letale nelle forme a due spade. C’è un’incisione sul fodero, vecchia e scolorita, nel linguaggio delle antiche terre del Nihon. Dice “Va' oltre la Morte, poi chiedi informazioni”. Nella lama sono presenti i resti di un’antica tecnica di Seppuku: incidendosi il ventre con la punta dell’arma e spostandolo verso destra, lo spirito del guerriero sarà libero di lasciare la scena in atto col suo onore ancora intatto. Esso si reincarnerà al sicuro, con il coltello stretto in pugno, pronto a gettarsi in una nuova battaglia. Bada Rōnin, la tecnica scomparirà per sempre una volta utilizzata… non ti verrà mai concessa una seconda possibilità.
     
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    dalla stella che brilla di meno...un BUCO NERO O_O

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    HAHAHAHA...HaaHAhaaa...
    Era tutto più bello un tempo. Quand'era appena scappato dall'inferno...quando ogni boccata d'aria era un dono, ogni secondo speso a far altro che piangere e tremare il fottuto paradiso.
    Ricorda bene quei giorni. Ricorda bene come la sua fame fosse diversa allora, perché certo gli occhi degli altri eran tutti belli ma c'erano tante diverse meraviglie ancora da esplorare. Il diritto a scivolare da un sogno all'altro...il permesso di visitare ciò che mai e poi mai i suoi piedi sozzi avrebbero dovuto insudiciare, e ridere nella consapevolezza di quanto ogni respiro fosse una bestemmia ed ogni battito del suo cuore uno sputo in faccia a chi l'aveva voluto affamato e solo.
    Sa quand'è cambiato tutto, sa di chi è la colpa, esita a dargliela perché l'ha amata o perché il fatto che l'abbia già uccisa significa non potersela più prendere con lei?
    Emme ridacchia da qualche parte nella sua testa, Sheol batte il pugno contro la lamiera che s'è appena chiuso alle spalle perché altrimenti le dita se le ficcherebbe su nel naso fino a raggiungerla e strapparsi quel pezzo infame d'inutile, marcia materia grigia.
    AaahHAaahh...ah.
    Quella era la sua vendetta, perché ciò che provava per lei non l'aveva mai ricambiato. Per questo aveva dovuto ucciderla...o perché tanto così sarebbe andata a finire comunque, anche se quegli occhi l'avessero mai guardato come qualcosa di diverso da un fratellino ritardato?
    Il bambino piange, continua a farlo, continuerà per sempre o forse solo finché non uscirà frignando dalle gambe di sua madre. Allora griderà piuttosto, allora maledirà il mondo come il padre. E lo farà a causa sua perché non è mica per niente che sta tenendo entrambi rinchiusi in una sala che non visita se non per ingozzarla a forza di sangue così che il loro pargolo cresca sano e forte?
    Il Carnevale della Mezzanotte era stata un'ottima idea. Non era vero, era stata un'idea del cazzo, ma lui si che era sveglio ed aveva trovato una maniera di migliorarlo. Emme era sempre stata troppo stupida...no, falso. Troppo umana si però, e questo voleva dire essere un po' idioti...perché se l'ombra che li aveva liberati era crudele quanto tutti loro concordavano che fosse, allora significava che per essergli simile avrebbero dovuto intraprendere la stessa strada?
    Dovrebbe accorgersi del silenzio alle sue spalle...dovrebbe accorgersi del fatto che il bastardo che ha inseguito tanto a lungo se ne sia andato. Ammazzandosi o forse no, rinunciando alla vita pur di ritrovare ciò che aveva finto di non volere più...ma di lui Sheol ne aveva avuto fin sopra le corna, e col cazzo che avrebbe sprecato altro fiato prima che la Vera follia lo facesse ragionare.
    Non era l'unico dopotutto...non era l'unico, non era l'unico, non era l'unico. A cui fosse stato lui ad aprir le porte per il buio, oltre le quali poteva intravedersi l'intero reale spettro della luce. A cui il diavolo in persona avesse spalancato gli occhi a forza forzando il contatto con quell'Uomo Nero che con lui non ci parlava più ma che con altri poveri stronzi invece si, ed uno che deve fare se l'unico a cui guarda si rifiuta di ricambiar lo sguardo se non offrirgli chiunque cazzo voglia in sacrificio.
    Se lo disse, lo ripeté una volta e poi un'altra e poi altre dieci, lo fece finché non si calmò e quella rabbia non fece finta almeno per qualche attimo di quietarsi abbastanza da permettergli di vivere. Era vero, era così...aveva bisogno d'altri per fare ciò che andava fatto, e prima ancora per l'esperimento che aveva in mente perché quando si ha un solo colpo non lo si può sprecare e prima di rischiare urgeva assicurarsi che ciò che aveva intuito non fosse l'ennesima delle sue troppe stronzate.
    La pappa alla baldracca dal ventre gonfio l'aveva data appena prima di partire a caccia, erano passate ore o forse giorni? Poteva resistere ancora un po', non l'avesse fatto gli avrebbe dato la migliore scusa per mandar tutto a puttane e tornare a vivere spensierato e libero com'era stato fin troppo senza chieder scusa a nessuno.
    Perché era tutto più bello un tempo, lo era davvero. Ma se indietro non si poteva tornare allora toccava andare avanti, e se nessun luogo l'avrebbe mai davvero fatto stare meglio perché non grattare ancora sotto la crosta dell'universo per cercare di strappargli anche i suoi ultimi segreti?
    Il coglione in maschera si sarebbe piegato...o sarebbe morto, e nessuno al mondo l'avrebbe pianto. Sheol pensò ad un'altra allora...qualcuno che era stato più facile convincere, qualcuno che dopotutto aveva sentito parecchio più affine. Forse l'avrebbe aiutato anche non le avesse nascosto per cos'è che gli serviva la sua irritante compagnia? Forse odiava il mondo almeno quanto lui e l'idea di poterlo accoltellare le sarebbe piaciuta abbastanza da convincerla senza bisogno delle menzogne che lo stesso le avrebbe versato nelle orecchie fino a far poltiglia del suo cervello?
    Sheol inspirò, espirò, rilassò i muscoli e si lasciò cadere nelle ombre calde ed umide in cui era costretto a strisciare ogni volta che voleva che il mondo cambiasse attorno a lui. L'odore di quella bambina lo ricordava bene perché gli aveva ricordato il suo...la decadenza, la speranza soffocata, la sporcizia accumulata ad ogni angolo e le lacrime di coloro che in quella merda erano convinti di meritare di starci. Lo guidarono via dalle rovine del Cannibal Coco e sentire il pianto del poppante che gli perforava i timpani giorno e notte affievolirsi alle sue spalle bastò a farlo stare subito meglio...a restituirgli un bel sorriso, visibile oltre le bende per chiunque avesse imparato a capir qualcosa dal suo viso. A ridar vigore alla sua voce, a permettergli di riempirla di miele anziché veleno, mentre sgusciando fuori dall'ombra d'un vicolo colmo di tossici ed altra spazzatura si sgranchiva come si fosse appena svegliato da un brutto sogno in cui gli toccava vestire i panni d'un coglione rancoroso, anziché quelli fantastici d'un diavolo a cui niente di niente importava poi davvero.
    Nami oh Naaami?
    La chiamò, cantilenò il suo nome, pronto a cercarla in lungo e in largo per le strade maleodoranti di quell'undercity in cui il desiderio di rivederla l'aveva condotto. Chissà se ricordava bene quanto lui il loro primo incontro...chissà se ne andava altrettanto fiera, perché che cazzo di serata magnifica era stata quella.
    Di sicuro ricordava la sua voce, perché non giungi alle porte del silenzio senza fare incubi riguardo chi ti c'ha portato...e quella il demone esibì ancora, gridando ad alta voce così che ovunque fosse lo sentisse, ed arrivasse ad abbracciarlo o accoltellarlo o tutte e due le cose insieme; perché amore ed odio son due facce della stessa patetica medaglia. E perché grazie a chi l'aveva accolta nel giro più lurido e losco del creato, c'era un lavoro che le sarebbe toccato fare.
    Dove sei, mia cara sorellina?
     
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    sono arrabnbiata issima cont utt9i suojl rave à vkiposdhf

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    Era arrivata da poco nel negozietto di Tank, lo stronzo che in teoria doveva riparare gli oggetti, in pratica se poteva ti fregava i soldi e poi se li pippava tutti, dal primo all'ultimo.
    Ma a lei ormai non poteva più farla, visto che forniva la sua materia prima per vivere. Non faceva più tanto il simpatico con le balle del tipo eh no, non puoi sistemarlo, devi buttarlo, dai che ti vendo questa cosina nuova...

    Oh, eccola! Come va, biondina?

    Nami si avvicinò al bancone e, senza dire una parola, lo fissò seria mentre sbatteva sul bancone una cosa che un tempo era un vibratore, ma ora aveva la plastica un po' sciolta. La sua serietà avrebbe fatto ridere di gusto un negoziante qualsiasi, ma a Tank veniva l'ansia ogni volta che la vedeva nei giorni in cui sapeva bene che non arrivava la polvere delle stelle.

    Uh, diciamo che è un po' consumato.
    D'istinto il primo pensiero fu: lo avrà lavato almeno?

    Ma non poteva fare una domanda del genere, doveva stare calmo, fare il suo lavoro e non dire niente di fuori dal normale. Metti che poi per vendetta mi consegna meno roba o che mi alza il prezzo, si sa mai.
    (Si sa eccome, l'aveva già usata come leva minacciosa diverse volte)

    Mi vuoi dire cosa gli è successo?
    La biondina appoggiò i gomiti al bancone e continuò a fissarlo seria, mentre l'uomo si rigirava il pezzo di plastica tra le mani.

    Guarda, non sono proprio cazzi tuoi. Sistemalo. Domani mi serve.
    AH, DOMANI? Voglio dire...certo, sì, passa pure domani mattina, cara.

    Il suo sorriso striminzito lasciava intendere l'ansia mortale che avrebbe avuto, come poteva sistemare un danno del genere? Lo avrebbe ricomprato nuovo, facendole credere che era lo stesso vibratore, ma che solo grazie a lui funzionava perfettamente. Doveva sistemarlo, non poteva perdersi una cliente importante come lei. Non poteva, cazzo. Ogni volta, però, aveva una richiesta sempre più assurda, come la volta in cui pretendeva che riattaccasse l'antenna radio sul tetto di casa sua, lui non era mica un operaio, era un artigiano.
    E ormai gli artigiani erano la peggio monnezza di Sakuni, lo sapeva bene.

    Dopo aver lanciato altre occhiate terribili al buon vecchio Tank, Nami uscì dalla porta, sbattendola. Che mossa da dura, da tipa tosta che ha bisogno del suo cazzo di vibratore. In quei casi era contenta di vendere le polveri, visto che poteva guadagnarci qualcosa di più utile dei soldi.

    Fece due passi verso casa, quando sentì una voce inquietante, che le fece venire l'urto ed il fastidio. All'inizio pensò di essersela immaginata, forse era troppo nervosa e iniziava a sentire voci che non c'erano. Poi, però, sentì di nuovo chiamare il suo nome.
    Ed era la voce di quello stronzo.
    Cosa ci faceva lì? Era davvero lui?
    Sheol?

    Cazzo vuole questo adesso?

    Ovvio, non sapeva dove fosse e come fosse possibile che una voce tanto fastidiosa arrivasse in ogni angolo di Sakuni, ma lo sentiva e stava proprio cercando lei.
    Dopo l'ultima volta in cui l'aveva abbandonata al buio con una cazzo di entità che ancora non aveva capito chi fosse, l'aveva illusa e poi l'aveva piantata in asso, non aveva esattamente voglia di socializzare. E chi potrebbe biasimarla?
    Per questo la sua risposta fu più gentile che mai.

    VAI A FARTI FOTTERE. NAMI NON C'E'.
    Gridò al cielo, mentre continuava a camminare verso casa, sperando che fosse lì soltanto di passaggio e che non diventasse una creatura infestante.
     
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