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Ethel rimorchia senza volerlo

La mia prima role <3

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    Le locande non erano il suo ritrovo preferito, le trovava troppo rumorose e caotiche, soprattutto quella di Annie. E, soprattutto, le persone che le frequentavano avevano un’alta probabilità di scatenare il suo flavour, come le piaceva definire la sua condizione particolare. Ma per cercare le informazioni che tanto ambiva non poteva di certo evitarle a vita.
    Per questo, in quel preciso istante, si trovava seduta su uno sgabello, con la schiena poggiata al bancone. Giocherellava con un ombrellino di carta, mentre sorseggiava una bibita analcolica. Non sapeva neanche definirla, sembrava una sotto specie di succo di frutta, oppure un frullato decisamente liquido. L'unica cosa certa era il colore che tendeva all'arancione, ma di arancia non aveva il sapore.
    Scrutava tra la folla chi sembrava poterle dare più soddisfazioni. Tra tutti gli ubriachi spiccava uno in particolare, un rozzo signorotto che si dilettava ad insultare i suoi vicini. Agitava il boccale di birra e sbatteva il pugno sul tavolo ad ogni parola pronunciata, si comportava come se possedesse la locanda e i suoi clienti. Da quel che diceva, appariva evidente che ubriacarsi era l'unica attività a cui si dedicava nella sua vita.
    I loro sguardi si incontrarono, sorrise leccandosi le labbra ed incrociò le gambe. Quell'uomo si alzò e la raggiunse, senza neanche essere chiamato. Di sicuro credeva di avere qualche chance per rimorchiarla, ma il poveretto non sapeva a cosa stava andando incontro.
    «Una bella femmina senza un uomo a farle compagnia è davvero disonorevole. Ma per fortuna ci sono io, l'unico ed inimitabile Yoller a risolvere il problema» le disse poggiando il braccio sul bancone.
    «Come battuta di abbordaggio è davvero pessima, vuoi riprovare?»

    L'uomo la guardò sorpreso, ma non si perse d'animo e provò varie tattiche di corteggiamento. Ethel smise di ascoltarlo al quinto tentativo, finché non si avvicinò a loro un altro uomo.
    «Yoller! Sei un uomo sposato!» urlò una donna tirandolo per un orecchio fuori dalla locanda.
    «Fantastico» borbottò Ethel roteando gli occhi.
    Posò il bicchiere sul bancone e si alzò per vedere se riuscisse ad intercettarli, ma il suo vicino di posto le poggiò una mano sulla spalla per fermarla.
    «Non troverai le informazioni che cerchi con loro.»
    Si voltò verso di lui, decisamente alterata. Odiava i clienti abituali, sapevano sempre tutto di tutti, tranne quello di cui aveva bisogno. Si concentrò sul suo respiro, non poteva trasformarsi come se niente fosse.
    «Halba, il tipo col fedora» lo indicò, «se riesci a farlo parlare saprà indirizzarti di sicuro.»
    Ethel sospirò, ringraziandolo, e subito si diresse al tavolo della persona indicata. Si sedette alla sedia di fronte senza chiedere il permesso e si presentò in modo sbrigativo.
    «Ho cose più importanti a cui pensare» la snobbò lui senza neanche guardarla.
    «Ah davvero? E cosa c’è di più importante di una bella scorta di metallo in cambio di qualche informazione?»
    «La Lama.»
    Cercò di non ridere per quel nome ridicolo, ma dovette ammettere a se stessa che aveva attirato la sua curiosità. L'uomo col fedora gli spiegò di cosa si trattasse senza tralasciare alcun dettaglio, in pochi minuti era passato dal silenzio alle troppe chiacchiere. Infine le disse che stava cercando un campione che gareggiasse per lui, e fece la sua proposta.
    «Combattere per te? E come faccio a sapere che mi darai le informazioni che cerco in cambio?»
    «Pensaci cara, sono un uomo d'affari e la mia proposta non durerà a lungo. Ti do un mese di tempo, torna qui con la tua risposta ed io nel frattempo cercherò quello che ti serve.»
    «Neanche mi hai visto combattere, come fai ad essere così sicuro della tua scelta?»
    Halba sorrise, dicendole che non aveva bisogno di prove. L'avrebbe addestrata personalmente, e se falliva allora la loro collaborazione sarebbe finita senza rancori.
    «È stato un piacere Ethel Ester Brewer» concluse alzando il cappello in segno di saluto.
    L'uomo col fedora uscì dalla locanda reggendosi su un bastone da passeggio di legno. Fu allora che capì perché cercasse un campione, non poteva combattere personalmente. Ethel rimase lì seduta a vedere il punto in cui era scomparso, non sapeva proprio cosa fare, accettare la proposta e sperare o continuare a cercare altrove?
     
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    Fu poco dopo la partenza di Halba che accadde.
    Prima un sottile odore di carta ed inchiostro, con velate tinte di quello che forse era sangue. Poi un'ombra abbastanza immensa da risultare minacciosa, a calare su Ethel e sul suo drink e sui pensieri riguardanti il patto che aveva stretto con un sospetto sconosciuto...
    Poi la voce, profonda ma ridotta a poco più d'un sussurro. Il viso bianco dell'uomo più pallido che Ethel avesse mai visto s'abbassò per essere all'incirca al livello del suo, poterla scrutare occhi negli occhi con iridi scure quanto il fondo d'un calamaio. Un mantello a ricoprirlo, vibrante come se soffi d'un vento assente stessero sventolandolo appena...e sul suo viso macchie grigie, perché un po' Lancelot si vergognava di ciò che era giunto li per dirle. Eppure qualcuno avrebbe dovuto farlo prima o poi?
    Hem, signorina...
    Era da quando aveva sentito le voci per la prima volta che il Lupo era inquieto. Tranquillo non lo era mai, la sua stessa natura di belva incatenata nell'animo di un brav'uomo era in antitesi con ogni genere di quiete...eppure non ringhiava, eppure non mordeva, ne s'esprimeva com'era solito fare.
    Parlava piuttosto, nella lingua dei sogni e delle visioni e dei pensieri che ti colgono non appena distogli l'attenzione da ciò su cui dovresti concentrarti. Dialogava, anche se non aveva labbra ma solo zanne, tentando di convincere il suo carceriere non con la forza ma con la persuasione del fatto che nulla di ciò che aveva sentito fosse falso o un'esagerazione, e che per questo all'evento che sarebbe giunto in poco meno d'un anno avrebbero dovuto ad ogni costo partecipare...
    Lui c'era stato nelle calde, asfissianti lande dell'Adrenalina. Le aveva esplorate, c'aveva combattuto, aveva visitato un colosseo simile a quello che alcune storie volevano teatro del grande festival che si sarebbe tenuto. Non ne aveva ricavato che pessime storie da raccontare, nuove cicatrici fortunatamente invisibili sulla sua pelle d'avorio, ed un passaggio scroccato a chi non era sicuro se considerare una rivale od un'amica. Come convincersi che ad attenderlo se fosse tornato, se avesse seguito le folle che sembravano intenzionate a presenziare a quell'evento e sotto il cocente sole di quelle lande ammazzarsi a vicenda, ci sarebbe stato qualcosa di diverso?
    Un tempo non c'avrebbe pensato due volte. Un tempo si sarebbe messo a cavalcare fin dal primo sentore di quelle storie, avrebbe solcato monti e tramonti fino a giungere alle porte di quella fantomatica arena, disposto a vivere all'addiaccio per un anno intero fosse stato necessario a garantirgli d'essere il primo ad entrare.
    L'avrebbe fatto per se stesso, per dimostrarsi d'esser degno d'aver fuggito la Fine che la sua storia aveva tentato d'imporgli già una volta. E poi per la gloria, e poi per il sangue, e poi per il premio e perché in realtà non aveva nulla di meglio da fare: quanto tempo l'aveva passato a quel modo, gettandosi tra un'impresa e l'altra non perché fossero giuste ma perché era lui ad aver bisogno di sentirsi tale.
    Ma era cambiato molto da allora. Aveva una casa, aveva una compagna, aveva qualcosa a cui tornare e da cui non si sarebbe separato in nome di vaghe dicerie. Aveva combattuto per ottenere tutto ciò, se l'era guadagnato sputando denti e sangue e se d'averlo era soddisfatto, se forse davvero potevano essere le fondamenta su cui basare una nuova e soddisfacente vita. Perché mai rischiare di sacrificarle in nome d'un ignoto forse allettante, ma pur sempre tale? Perché deludere Solaire, che d'un vociare tanto sanguinoso avrebbe certamente condannato l'esistenza...solo per la vana, distante speranza di poter ottenere qualcosa che neppure era certo sarebbe stato meglio della sua splendente compagnia?
    Era allora che il Lupo aveva smesso di grattare, d'azzannare, di spingere e ruggire. Iniziando invece a sussurrare e suggerire, infilando i propri roventi pensieri tra quelli del Cavaliere, come se egli non potesse più che facilmente distinguerli dai propri; per dirgli che dopotutto un tentativo valeva la pena, che avrebbero potuto almeno andare a guardare, che Solaire era troppo morbida e la via dell'Eroe si percorre sul filo d'una spada...
    E che forse, se davvero fosse riuscito. Se tutto si fosse rivelato vero, e lui avesse vinto. Allora avrebbe avuto un nuovo Regno, proprio come quello da cui Alice l'aveva scacciato. Allora sarebbe stato non vassallo ma Re, non Cavaliere ma Sovrano, e di quelle lande tanto odiose avrebbe potuto fare ciò che più desiderava...
    Bestie come sudditi, anziché gli infantili sogni d'una bambina. L'orizzonte come mura ed il cielo come soffitto, la Libertà come corona perché sapevano bene entrambi cosa significasse essere forti più di chiunque potesse fermarli: l'avevano sognato spesso, a volte c'erano persino riusciti quando l'uomo lasciava alla bestia l'onore di vestirlo. Non erano pensieri seducenti, abbastanza da voler rischiare? Non erano speranze grandiose abbastanza da richiedere un uomo come lui, uno retto e giusto, ad agguantarle prima che un malvagio lo facesse?
    Solaire se ne sarebbe fatta una ragione quando avrebbe visto il palazzo che avrebbero potuto condividere. Quando sarebbe divenuta Regina, quando tra le mani avrebbe stretto tutto il potere che il suo compagno avrebbe volentieri condiviso.
    Erano sogni agitati, da cui Lancelot si svegliava sudato e col fiatone, muto perché la stella che dormiva al suo fianco non avrebbe dovuto mai sapere ciò che desiderava quando i suoi raggi non lo raggiungevano. Sogni che egli respingeva durante la veglia, ricacciandoli nello spazio onirico e selvaggio da cui venivano, la stessa selva che il suo Lupo abitava ed alla quale non si sarebbe avvicinato fintanto che il suo ospite avesse continuato ad esser così molesto: aveva lasciato la sua bella a letto, era sceso dall'albero che avevano piantato ed eretto assieme per un drink alla locanda ove ogni viandante amava schiarire i propri pensieri.
    Ed una volta li, un boccale d'idromele in mano ed il viso mesto e fisso sul bancone. Tra tutti coloro che chiacchieravano di quella stupida Lama, tra tutti coloro che ne esaltavano il nome e si spendevano in sermoni su ciò che avrebbero fatto una volta Sovrani della terra rossa, dei mondi più selvaggi, e d'ogni bestia che li abitava.
    Le sue orecchie colsero distintamente l'accordo tra una fanciulla ed uno storpio, e prima che potesse fermarli i suoi piedi lo portarono innanzi a lei.
    All'inizio avrebbe voluto solamente parlarci. Far due chiacchiere con lei, capire come e perché stesse cercando quella voce, cosa l'avesse spinta ad accettar l'accordo che lo zoppo aveva appena stretto con lei.
    Poi si disse che qualcuno doveva dissuaderla, che i pericoli erano troppi. Che di fanciulle in gamba ne conosceva parecchie ma mai avrebbe voluto vedere una di loro gettata nell'occhio del ciclone sanguigno che si sarebbe scatenato se qualcosa di vero c'era in quella faccenda, perché quale Eroe permetterebbe mai ad una Principessa di imbrattarsi di viscere altrui e rischiare di finirne strozzata...
    Poi si diede dello sciocco, perché nulla di tutto ciò voleva davvero dirlo. Perché farlo avrebbe voluto dire dar ragione al Lupo, cedere a quei sogni che ancora lo tormentavano, al suo incessante salmodiare su come partecipare ad un torneo fosse ciò che un vero Cavaliere avrebbe fatto, non fosse stato acciecato dalla paura di perdere il poco che aveva racimolato...
    A salvarlo ciò che Ethel stringeva tra le mani, quella cosa infame che riempiva la coppa che reggeva. Un'emergenza ben più grande di qualsiasi distante giostra, perché il Ramo aveva poche regole ma quelle andavano rispettate e lo scotto era la furia d'una Dea dalla cui rabbia Lancelot era sicuro, ogni volenteroso campione della Lama sarebbe fuggito a gambe levate.
    ...non si possono mica fare certe cose, qui.
    Un drink analcolico. Al Ramo.
    Forse davvero il mondo stava per andare a rotoli. O più probabilmente nel giro di qualche secondo la Cerva che presiedeva quel pacifico angolo di cosmo sarebbe giunta alla carica...e Lancelot avrebbe scoperto se davvero l'avrebbe avuto il fegato di mettersi tra lei, e la pazza scriteriata che aveva scelto d'offenderla in quel tremendo modo.


    Sorry per la pippa lunghissima in mezzo al post xD ma volevo contestualizzare anche come Lance sta vivendo la faccenda della Lama visto che non ne ho avuto altra occasione fino ad ora! Spero non abbia annoiato troppo, farò di meglio ai prossimi giri promesso u.u
     
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    Rimurginava su quel patto semi-accettato, dandosi della stupida per essersi mostrata fin troppo convincibile. Quell'uomo credeva di aver già vinto con le sue regole, ma non sapeva con chi si voleva alleare. Ethel non si faceva mettere i piedi in testa così facilmente, soprattutto quando non aveva la certezza di ricevere quello che voleva. Lo disse chiaramente, in quel mese avrebbe trovato le informazioni di cui aveva bisogno. Ne parlava come se fosse una stupidaggine, come se lei non avesse cercato la madre negli ultimi cinque anni. Ma più proseguiva, più vicoli ciechi incontrava. La strega Elena era come scomparsa nel nulla, cosa sperava di ottenere Halba in quel misero lasso di tempo?
    Persa nei suoi pensieri, le venne quasi un infarto quando "qualcosa" apparve davanti a lei. Non riuscì a vederlo bene, coperto da un mantello kitsch. Era decisamente fuori luogo, un tipo da non paragonare ai soliti ubriaconi che stanziavano nelle locande. Una gemma rara, ed Ethel adorava le gemme rare. Quando non la spaventavano a morte, almeno. Lo sconosciuto le parlò con gentilezza, una voce così flebile che neanche riuscì a capire cosa stesse dicendo inizialmente. Poi si rese conto che l'uomo l'aveva rimproverata su qualcosa senza specificare.
    Posò la sua bevanda sul tavolino, stringendo le chiappe per evitare di perdere il controllo. Non poteva trasformarsi e rischiare che la sua nuova fonte di informazioni scomparisse senza prima aver fatto un tentativo.
    «Nessuno mi dice cosa non posso fare, soprattutto se non specifica cosa non posso fare. Secondo, non ti sei neanche presentato, maleducato.»
    Lo invitò ad accomodarsi al suo tavolo con un sorriso. Si presentò porgendogli la mano, ma con il sospetto che lui già lo sapesse. Con la confusione della locanda, veniva naturale la tendenza ad alzare il tono di voce. E di certo Ethel appariva come un pesce fuori dall'acqua in quella taverna di ubriaconi. Non passarono inosservate le occhiatacce dei clienti alla sua richiesta di una bevanda analcolica, come se poi fosse un crimine deplorevole. Forse era proprio la sua bevanda quello a cui si riferiva l'uomo col mantello, ma le pareva troppo stupido chiedere una cosa del genere. Così attese, in allerta. Doveva esserci pur altro sotto, una persona non si avvicina solo per criticare un drink.
     
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    Era sprezzante, e chi dopotutto navigava le correnti del caos senza esserlo. Interrogò il Cavaliere sul suo nome e sulle sue intenzioni, e da questo egli capì quanto poco fosse avvezza agli usi della locanda che aveva raggiunto per ragioni ben diverse da quelle di molti altri, perché sul fondo d'una bottiglia è ben più facile trovar l'oblio che le informazioni che sembravano starle a cuore...
    Protettivo lo era già stato, con fanciulle incontrate tra quelle mura. Non era finita bene, ma dopo gli errori compiuti con Aurora Lancelot s'era promesso di non coinvolger più nelle proprie imprese chi non gli sembrava pronto per affrontarle. E certo chiunque sfidasse Annie in casa sua non era una compagnia adatta a fiancheggiarlo, nelle vicende che continuò a dirsi avrebbe evitato ma che in cuor suo sapeva l'avrebbero coinvolto prima o dopo...
    Ma per rimandare il momento in cui La Lama avrebbe raggiunto la sua gola, costringendolo a ciò che ancora non riusciva a dirsi convinto di volere. Istruire una giovinetta riguardo i pericoli che stava correndo era un passatempo come un altro, e per questo quando ella gli offrì un posto a sedere il Cavaliere lo accettò, spostando la propria sedia e presentandosi prima di lasciarcisi cadere.
    Lancelot Inkheart, e lei ha assolutamente ragione. Invoco il suo perdono...
    Il richiamo alle buone maniere un rimprovero gradito, perché raramente gli capitava di chiacchierare tra quelle pareti con qualcuno che riuscisse a far altro che sbiascicare qualche maledizione. La sobrietà aveva certamente i suoi vantaggi, ma era al suo contrario che il pub al centro dei mondi era stato consacrato: sollevando un sopracciglio e sorridendo supponente l'uomo pallido a sufficienza da apparir ben più emaciato d'un cadavere lanciò la propria accusa in forma di domanda, per assicurarsi di star parlando con una novellina e non con una folle.
    E posso immaginare che questa sia la sua prima visita, qui?
    Il calice d'idromele di cui si stava bagnando le labbra l'aveva lasciato sul bancone, eppure v'erano molte magie possibili in quella locanda e non altrove: il fatto che nessuno potesse nuocere ad altri ospiti era una peculiarità più unica che rara, violento come il rave nei suoi infiniti aspetti sapeva dimostrare d'essere. Meno miracolosa ma non per questo meno attrattiva l'idea che qualunque riarsa gola sarebbe stata dissetata all'interno dei suoi confini, motivo per cui nonostante la sua dimenticanza egli ritrovò la coppa tra le proprie dita nell'istante in cui la desiderò per trarne un lungo soro, prima di tornare a parlare ancor prima d'aver ricevuto dall'altra una risposta.
    La Dea a cui tutti noi dobbiamo questo rifugio...qualcuno dice fosse una sguattera, prima di fuggire ai suoi padroni e trovare un Ramo su cui erigere il proprio nido.
    Osservò il dorato liquido che aveva appena pizzicato il suo palato nel parlare, riportando le migliori tra le leggende sull'origine di Annie che gli fosse capitato di sentir recentemente. Tesserne le lodi dandole modo di risentir le storie che adorava fossero rivolte al mistero del suo passato poteva forse essere un pegno adatto a ritardare il suo arrivo e la punizione che altrimenti avrebbe calato impietosa sul capo di quella povera viandante, per questo Lancelot la prese larga e ne donò un altro paio prima d'arrivare al proprio punto.
    Altri che ogni goccio d'alcol nel caos sia una delle lacrime che lei stessa ha pianto per i poveretti che son costretti ad affrontare il mondo da sobri...altri ancora che neppure esistesse prima che con la prima sbronza della storia, un uomo sognasse qualcuno che l'avrebbe accudito.
    Sghignazzò prima d'occuparsi nuovamente le labbra con un secondo sorso di liquore, a sottolineare come lui stesso credesse poco a ricostruzioni tanto creative: la fede, dopotutto, sapeva bene dovesse esser cieca per risultare sincera. E lui ad Annie doveva abbastanza da non azzardarsi a mettere in dubbio il suo potere, cercando di trovarvi una qualsiasi spiegazione.
    Qualunque sia la verità, ciò che è certo è che nella sua casa non è gradito chi teme la sincerità che solo l'ebrezza può assicurare.
    Le diede la possibilità di redimersi agli occhi della Cerva, allungando il proprio boccale verso di lei in un gesto dall'intenzione ovvia. Un sorso sarebbe bastato, dopotutto...eppure già s'aspettava il suo rifiuto, perché di donne come lei ne aveva conosciute molte.
    Eppure immagino ci voglia il coraggio di un ubriaco per stringere patti pericolosi con loschi sconosciuti.
    E allora perché non arrivare davvero al dunque, visto che prima o poi l'avrebbero comunque fatto. Perché non ammettere d'aver origliato e spostare la discussione dove davvero gli interessava andasse, velocemente abbastanza perché avessero tempo di scambiarsi battute prima che lei venisse sbattuta fuori o rinchiusa a scontar la propria pena in una botte delle cantine...c'era chi avrebbe pagato bene per il liquore prodotto da una così bella fanciulla disciolta, ma a Lancelot importava più ciò che avrebbe potuto dirgli da sana e salva. Così che confrontandosi con una sconosciuta egli potesse scendere a patti col proprio stesso tormento, ed illudersi di poter trovare una risposta definitiva da dare al Lupo che lo torturava col suo incessante borbottio.
     
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    Ethel ascoltava leggermente annoiata le storie di Lancelot, preoccupandosi maggiormente dello strano interesse dello stesso sulla locandiera. Questa Annie sembrava una tipa che sapeva il fatto suo, ma arrivare a inneggiarla come una divinità le pareva assai eccessivo. E di certo, se amava così tanto l'alcol, perché permettere ai suoi clienti di poter ordinare bevande analcoliche? Il barista gliel'aveva preparata, nonostante le varie occhiatacce rivolte. Se questa fantomatica donna doveva prendersela con qualcuno, allora sarebbe dovuto essere il suo dipendente, non la cliente. In fondo, il cliente ha sempre ragione. O almeno quando non si comporta male, ma Ethel non si era comportata male.
    Questo dubbio iniziò a mangiarle i pensieri, era lei nel torto o Lancelot le stava solo maciullando il cervello?
    Ma poi un'offerta benefica del suo interlocutore la riportò al presente. Un sorso di idromele e tutto si sarebbe risolto per il meglio. Decise di cogliere la palla al balzo e bere, non prima di aver osservato per bene la bevanda. Non si sa mai, poteva averla drogata.

    «Allora, allora. Ora che abbiamo rotto il ghiaccio, signor Lancelot Inkheart, potrei sapere per quale motivo si fa gli affari di una sconosciuta?» domandò incuriosita.
    Origliare le conversazioni altrui capitava a tutti, non gliene faceva una colpa. Le importava sapere cosa avesse Ethel di così interessante da farlo avvicinare con una scusa alquanto ridicola, discorsi prolissi e paroloni usciti da chissà quale libro. Voleva forse far colpo? Rimorchiare come l'ubriacone di prima? Lei, con tutta la confusione che aveva per la mente, non poteva di certo mettersi a decifrare ogni volta i discorsi di chiunque le rivolgesse la parola.
    Voleva informazioni su sua madre, solo questo. Perché quel tipo doveva rendere tutto così difficile?
    «E aggiungo, potresti venire dritto al punto invece di prendere la tangenziale? Sai cos'è una tangenziale, vero?»
    Si preparò già in mente una controrisposta da dare, del tipo "sono sposata, o meglio sono sposata con una donna". Ma d'altra parte poteva benissimo aver cannato di brutto le intenzioni di Lancelot, che magari stava solo cercando di far amicizia o semplicemente metterla in guardia per il torneo. Si, molto probabilmente la voleva mettere in guardia per il torneo. Magari si credeva di essere un cavaliere che salva le principesse in pericolo. Ma Ethel non apparteneva per niente a questa categoria e presto gliel'avrebbe fatto capire, con le buone o con le cattive. Preferiva le buone però, estorcere informazioni non era nel suo stile.
     
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    Non era la tangente?
    Tangente, tangenziale...i modi di dire cambiano da un mondo all'altro?
    Un tempo Alice aveva provato a spiegargli cosa fosse una tangenziale, cosa la distinguesse da un'autostrada o piuttosto da una provinciale. Per Lancelot erano tutte strade, percorsi piatti facili da percorrere a cavallo o su un carro o guidando qualsiasi cosa avesse ruote...la ragazzina non aveva saputo convincerlo, forse perché neppure lei la differenza l'aveva mai capita davvero.
    Eppure Lance le aveva dato ragione lo stesso, perché non è forse così che ci si comporta di fronte alla propria Principessa?
    E poi...cos'è che stavi dicendo, riguardo la maleducazione?
    Da quella fase della sua vita Lance non è che ne fosse mai davvero uscito, ma perlomeno s'illudeva d'aver trovato una chiusa scegliendosi una nuova sottana da seguire migliore di quella che gli aveva permesso di venire al mondo scalando pagine ed inchiostro. Il che gli permetteva di trattar con sufficienza tutte le altre, così come fece con Ethel sogghignando mentre si esibiva in un excuuuse me in piena regola, perchè certo il suo nome l'aveva mezzo origliato dalla conversazione col tipo losco ma essendo lungo tre parole se n'era già scordato più di metà e lei dopotutto che ne sapeva di non potersi presentare a sua volta?
    Ricordò dopo un ultimo sorso d'idromele di non esser li per attaccar briga, per quanto spesso certi istinti da testa calda fossero difficili da riconoscere in tempo e mettere a tacere prima che gli procurassero uno sgabello rotto in testa. Ora che la fanciulla perlomeno aveva ottemperato alla sua richiesta d'introdurre qualche goccio d'alcol in circolo il Cavaliere avrebbe potuto rilassarsi nel non temer più la furia d'una tempestosa Annie in rotta di collisione con quel tavolo e chiunque lo occupasse, e scortesia nominativa a parte Ethel s'era dimostrata ben più che comprensiva con chi dopotutto era giunto al suo cospetto con nient'altro che pretese e bizzarre storie che a quanto pare non le interessavano affatto. Che qualcuno si ritrovasse con le chiappe al caldo al Ramo senza esserne più che grato era qualcosa che andava decisamente oltre il concepibile per lui ma la Coppiera che l'aveva eretto aveva spalle abbastanza larghe da occuparsi di persona d'offese simili, dopotutto.
    In ogni caso, ci tenevo a metterti in guardia.
    E lui aveva pur sempre la propria morbosa curiosità da soddisfare, perché se c'era qualcosa che aveva appreso dall'astro che era divenuto la sua nuova Regina era la tendenza ad intromettersi nei fatti altrui ed a volerne sapere il più possibile, costi quel che costi.
    La vera verità vera, ciò che riguardava come attraverso l'osservazione d'altri fosse in realtà lui stesso a star cercando di decidersi riguardo la partecipazione o meno a quel torneo che tanto cercava di sedurlo quanto di respingerlo, non l'avrebbe ammessa del tutto neppure a se stesso, figurarsi confessarla alla prima novella viandante che incrociava da brillo...
    Mi è parso di capire tu non sappia molto, riguardo ciò a cui hai accettato di partecipare.
    Ripiegare allora sulla protezione degli indifesi, con donne e bambini in prima linea, gli parve una buona strada. Una sulla quale avrebbe potuto intavolare la vera discussione che gli interessava avere, indirizzando il dialogo verso quella Lama di cui ancora non aveva pronunciato il nome ma alla quale almeno aveva iniziato a riferirsi direttamente...riuscendo magari persino ad essere davvero utile a chi aveva scelto di parteciparvi come fosse una competizione uguale a tante altre, e non il copioso bagno di sangue che tanti nei mondi sembravano prospettare ed esser disposti ad osservare con grottesco entusiasmo.
    Qualsiasi cosa quell'uomo t'abbia promesso...vale davvero un rischio tanto alto da esser simile ad una certezza?
    La morte sarebbe stata un concreto rischio per lui, che era un Cavaliere e vestiva la pelle d'un demone come mantello ed aveva una spada di due metri ed un intero esercito di Storie, tra cui il Lupo più feroce avesse mai ruggito sotto qualsiasi luna, pronte a combattere al suo fianco. Perché se tutti volevano partecipare la possibilità che ci fosse qualcuno di migliore di lui aumentava fino a sfiorare l'essere indubbia, e per quanto un vincitore avrebbe pur dovuto esserci come esser arroganti a sufficienza da poter anche solo sognare di poterlo essere?
    E lei invece era una ragazzina...meno indifesa di quanto non sembrasse a prima vista, di questo era certo, perché chi è innocuo il caos se lo mangia presto e non ne risputa nemmeno l'osso. Ma non per questo degna d'esser considerata da lui una vera minaccia, e se tutto ciò di cui cercava di convincersi per non gettarsi nella mischia era vero anche solo in parte che chance avrebbe mai potuto avere se neppure lui, che stava riscoprendosi tanto pavido e fifone da non voler più confrontarsi con un fallimento quasi certo, l'avrebbe mai temuta?
     
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    «Lasciamo perdere la questione della tangenziale, tangente e quant'altro. E scusami tanto, dato che hai origliato la mia conversazione credevo che il mio nome lo sapessi. Ethel Ester Brewer, molto piacere.»
    Guardò il suo interlocutore dritto negli occhi, bevendo l'ultimo sorso dalla suo drink analcolico. Aveva assecondato la sua richiesta e, come previsto, il nocciolo della questione stava venendo a galla. Il suo interlocutore si stava aprendo, rivelando un pizzico alla volta la nobile causa che l'aveva spinto ad avvicinarsi dopo aver origliato il suo scambio di battute con Halba.
    Non riusciva proprio a capire perché Lancelot si stesse premurando così tanto di metterla in guardia, di proteggerla. Cosa ci avrebbe guadagnato? Nessuno agiva senza un secondo fine, o almeno la maggior parte delle persone con cui Ethel si trovava a parlare. Perfino suo padre, che l'aveva salvata da una morte certa era arrivato a trovarla solo per arricchirsi con un furto.
    «Allora io non ho accettato un bel niente, non sono così folle come sembro e non mi fido delle promesse dette al vento» ci tenne a precisare, quando Lancelot dette per scontato che avesse accettato l'accordo.
    «E di questo fantomatico torneo non mi interessa nulla, non ho tempo da perdere.»
    Incrociò le braccia dietro la testa, stendendo la schiena sullo schienale della sedia. Era indecisa se chiedere o meno quello che stava cercando. Provare non costava nulla, come diceva sempre suo padre, ma c'era qualcosa in Lancelot che non convinceva Ethel. Non sapeva spiegarselo, ma quell'uomo pareva proprio fuori dal tempo. Gli rivolse il sorriso più sincero che riuscisse a fare, sistemandosi composta sulla sedia.
    «Sai una cosa, abbiamo parlato fin troppo di me. Parlami un po' di te. Come posso fidarmi di qualcuno che non conosco?»
     
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    Ethel Ester Brewer, chissà se l'avrebbe mai ricordato per intero. Il primo era probabilmente sufficiente e dannazione a quel cognome, fosse iniziato con la E sarebbe stata una perfetta supereroina! Andò sulla difensiva quando il Cavaliere le pose le sue invadenti domande e come biasimarla, dopotutto. La galanteria Lancelot doveva averla lasciata nelle tasche d'un mantello diverso da quello che indossava assieme alla capacità di farsi i fatti propri, fortuna che la risposta pronta se la teneva sempre appresso e non mancò di esibirla, quando la fanciulla ribaltò su di lui l'onere di rispondere a domande indiscrete.
    Non chiedo la tua fiducia. Spero solamente nella tua capacità di giudizio.
    Vero era vero, ma non dubitava che una tale vacua retorica l'avrebbe lasciata insoddisfatta ed ancor più indispettita di quant'era sembrata essere prima dell'ampio sorriso con cui cercò d'invogliarlo a condividere la propria storia. La stessa che forse finalmente avrebbe saputo raccontare senza troppi sospiri e senza sentire il libro che aveva al posto del cuore strapparsi, le sue pagine accartocciarsi, perché ad un certo punto persino le pene più strazianti sono destinate ad esaurirsi, no?
    Sai il mio nome...non c'è molto altro da dire.
    L'abitudine è dura a morire, per questo le sue labbra si mossero più veloci della testa cercando di liquidare brutalmente la richiesta d'aprirsi come aveva chiesto di fare a lei. Neppure lui aveva ragione per fidarsi dopotutto, ma che male sarebbe mai potuto giungere dal condividere il retrocopertina della sua storia con una sconosciuta tra le sicure pareti del Ramo? Avrebbe potuto considerarla una prova, avrebbe potuto mettersi alla prova e sapere quale effetto gli faceva dopo aver faticato tanto per rifarsi una vita narrar la fine di quella precedente. Per una volta l'Arto prese coraggio, cercando di dimostrarsi degno del titolo di cui ancora si fregiava. E dopo l'ennesimo lungo sorso d'idromele parlò, dicendo a quella fanciulla giusto il minimo indispensabile.
    Sono...ero un Cavaliere, ho servito un Regno a lungo. Ora che è caduto, servo solo la mia spada e la mia buona stella.
    Sogghignò con se stesso per il gioco di parole, che la sua stella avesse gambe e braccia ed il sorriso più splendente da cui il cosmo avesse mai avuto la fortuna di vedersi illuminato e lo tenne per se. Non fece male, non provò nulla, portandolo a chiedersi se davvero l'avesse finalmente superata o se piuttosto le sue preoccupazioni fossero già troppo occupate su un altro fronte per schierarsi anche sul confine di quel vecchio trauma. Avrebbe potuto fermarsi li, avrebbe potuto tacere ed ascoltar la sua risposta, che immaginava priva d'interesse perché in fin dei conti cosa mai avrebbe dovuto importargliene. Ma aveva fatto trenta, no? Aggiungere quell'uno quanto mai sarebbe potuto costare.
    La verità, Esthel, è che la Lama chiama anche il mio nome.
    Il Lupo che nel suo animo brontolava incessantemente levò il capo, annusò l'aria di fronte a quella confessione inaspettata. Lancelot sentì i suoi bassi ringhi risalire in gola, rendere il timbro della sua voce più cupo e cavernoso. Deglutì prima di proseguire, la lingua un fiume in piena, sperando che Ethel non s'accorgesse di quel cambiamento.
    E lo fa con voce seducente a sufficienza da farmi domandare se valga la pena rischiare tutto ciò che ho riconquistato dopo la disgrazia che m'ha colpito, solo per...cosa?
    Strinse il boccale tra le dita, frantumarlo gli sarebbe piaciuto perché avrebbe meritato il dolore delle schegge del suo vetro. Ma poi Annie chi la sentiva, e dopo aver sfiorato la sua rabbia a causa delle blasfeme defezioni di Ethel non era certo sua intenzione darle nuove ragioni per calare su di loro come una tempesta.
    Combattere per una promessa come quella di cui giustamente non ti fidi...morire, in nome di una speranza tanto vana?
    Aveva guardato il liquore tutto il tempo, solo dopo aver finito alzò di nuovo lo sguardo verso la fanciulla. Averlo detto non lo faceva sentir meglio, sputare il rospo non l'aveva mai aiutato ed anzi rendeva solamente le cose più reali...impedendogli di far finta di niente, perché ora qualcuno sapeva. E forse avrebbe risposto al suo sproloquio con qualcosa di diverso dal freddo disinteresse con cui s'era schermata fino ad ora, in cambio dell'apertura che aveva richiesto?
    Immagino sia un dubbio particolarmente sciocco.
    Tentò di sdrammatizzare con un ghigno, di proteggersi dall'ipotesi che Ethel scansasse quel discorso come niente fosse con una maschera d'ironia, dietro alla quale nascondersi sarebbe stato facile se davvero l'altra avesse preferito invalidare quel popo di confessioni con una scrollata di spalle o niente più. Non che potesse pretender nient'altro da qualcuno di cui infondo aveva appena appreso il nome, e forse il problema era proprio quello; perché ridursi a parlarne con una sconosciuta innervosita, anziché dimostrar davvero d'aver coraggio e discuterne con l'unica donna a cui davvero sarebbe importato qualcosa? Sol non l'avrebbe capito, di questo era più che certo. Ma perlomeno, al contrario di molti altri, si sarebbe sforzata di provarci.
     
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