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Lore Huntress

Scena per Sol

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    362 Giorni alla Lama



    Adrenalina è una parola strana, una che sanguina di rosso nei suoi pensieri, una di quelle a cui non riesce a pensare senza che la testa sia invasa di colore. Succede sempre più spesso, da quando si è risvegliata, da quando la cicatrice sotto al collo continua a mandare fitte gelide respiro dopo respiro e la sensazione è che i sensi si schiariscano sempre di più a ognuna di esse. Ma cosa succede quando sono già il più chiari possibili ma le fitte continuano e non smettono di affinarsi ancora, ancora e ancora? Allora le parole sanguinano colore, i nomi hanno sapore e quando sbatte le palpebre a volte non è più dove si trovava l'attimo prima. Crede di aver sentito che si chiami Ispirazione. Altra parola strana, non sanguina, ma riempie la bocca e ha il sapore del saké da due soldi.
    Dovrà rassegnarsi però, il rosso non se ne andrà tanto presto dai suoi pensieri, non finché continueranno a girare quelle voci. Non finché continueranno a passare di bocca in bocca di viaggiatore in viaggiatore, in qualunque terra le sue Spade riescano a portarla. Qualcuno forse insinuerebbe che sono proprio quelle voci ciò che ha inseguito, e avrebbe ragione, ma a che serve inseguire qualcosa che si fa strada in ogni voce e in ogni parola, fino a raggiungere infine anche la fantomatica "oasi di sicurezza" in cui tutti si incontrano? Ovunque vada, La Lama l'ha già preceduta.
    Tremito, una fitta simile a quella della cicatrice, eppure piacevolmente incandescente, dagli occhi fino alla punta delle dita. Curioso. Sembra che non possa neanche pensarla, senza che saporecolorecalore la inondi.
    Non aiuta la tentazione di continuare a pronunciarla, ancora, ancora e ancora.
    La verità, incandescente come il rosso che tanto le piace sentire sotto la pelle, è che non ha mai smesso di pensarci. Non un solo istante, un solo passo o un solo respiro, fin dalla prima volta che ne ha sentito il sapore tra i pensieri.

    Shura ha viaggiato. Ha sognato. Ha ascoltato.
    La sua Terra, ovunque essa sia, è perduta almeno una dozzina di Crocevia più indietro, troppi fendenti neri ad aprirsi un varco di terra in terra. Troppa l'euforia, la feroce realizzazione di essere libera, di essere lontana e di essere, finalmente, sola. Esattamente come ha sempre desiderato. Ha incontrato altri, alcuni simili a lei, alcuni ancora prigionieri che si sforzano di intravedere oltre le sbarre. Quanto tempo è trascorso, dalla spada in gola che lo ha permesso?
    Non tempononlineare ricorda, non ne è certa, così come non ricorda quando l'euforia l'ha abbandonata. Quando l'aria fresca respirata fuori dalla cella ha smesso di avere sapore, quando la schiacciante, raggelante realizzazione del e adesso? l'ha infine raggiunta. Non ricorda di aver pianto, le dita conficcate nelle sue stesse braccia, a stringersi con ferocia e odio. Non ricorda di aver maledetto il suo nome, la sua spada e qualunque cosa le abbia mai insegnato. Non ricorda di essersi domandata perché la sua spada non abbia fatto ciò che si aspettava facesse.
    Ricorda zanne nere, senza labbra, e spine affilate come lame a trafiggerle la guancia e la spalla, mentre la sua stessa voce le sussurra gliela faremo vedere. A tutti quanti.
    Strano che gli stessi Dei in cui non crede più l'abbiano accontentata, dandole l'occasione di farlo. Dandole l'occasione perfetta in cui farlo. In cui dimostrarlo a lui, a lei, a tutti quanti. In cui affogare qualunque traccia di rimorso le abbia lasciato il primo sangue ad aver mai macchiato le sue spade nere.
    In cui avere finalmente il posto che le spetta, al di sopra del cielo stesso.

    Il Ramo è un'altra parola interessante. Quasi quanto il posto. Anche lei ha sempre lo stesso odore, un piacevole tepore dolciastro che le pizzica il naso e la riscalda delicatamente lungo le ossa. In pratica, puzza di menzogna.
    Si è scoperta l'unica a pensarlo, o almeno l'unica tra tutti coloro che ha avuto modo di ascoltare mentre vagava nel borgo vicino. Nessun altro a condividere i suoi dubbi, nessuno che come lei senta la pelle raggelarsi e i muscoli contrarsi ogni volta che quella straniante sensazione di abbraccio la raggiunge. Oh, non che sia l'unica a non sopportare il posto, certo che no.
    Molti parlano della presunta Dea, molti non nascondono le proprie idee quando sono ben lontani dalla sua vista. Ma persino chi le si oppone non dubita di lei, semplicemente disprezza ciò che fa. Odia l'idea di un porto sicuro nel quale non poter far valere la legge che abita ogni altro angolo delle lande, in cui non potersi nutrire dei risvegliati più giovani e in cui non essere, semplicemente, le merde che sono da ogni altra parte.
    Stronzi patetici. Senza coraggio. Senza forza. Senza almeno un paio di denti, dopo che l'hanno avvicinata credendola come loro. Come se avesse intenzione di sprecare il suo tempo e la sua forza su chi non è neanche in grado di difendersi. Bestie patetiche.
    Eppure, per quanto l'idea non le piaccia, il Ramo è l'unica soluzione che ha a disposizione. L'unica se vuole davvero capire cosa sta succedendo, se vuole davvero sapere tutto quel che non sa. Se vuole prepararsi alla guerra nell'unico modo che conosce, pianificando e complottando, o se vuole soltanto unirsi agli altri incapaci che pensano si tratti solo di "giocare alla lotta" e via. L'unica, se vuole che il rosso che le riempie la testa ogni volta che pensa adrena abbia finalmente senso.
    La locanda è come la ricorda, lo stesso sapore sulla lingua, lo stesso odore nelle narici, la stessa sensazione di calore lungo la pelle ad accompagnarla quando entra. Ci sono ombre a riempire la stanza, alcune semplicemente sfocate da fumo e buio, altre troppo lontane, intere Dimensioni lontane, perché i suoi sensi possano metterle a fuoco. Qualcuna forse la riconosce, ma a giudicare dallo sguardo che le riservano quando incrociano i suoi occhi, devono essere alcune di quelle a cui ha rotto il naso l'ultima volta che è stata qui.
    Il sorriso che gli riserva è il più dolce di cui è capace.
    Non oggi, non stanotte, non distrarti.
    Shura sa cosa dovrebbe fare, così come sa che non lo farà mai. Raggiungere il bancone, lì dove ogni tanto è riuscita ad intravedere la macchia rossa dei capelli della Dea. Sottostare a qualunque maledetto rito preveda il bere quel che lei ti offre. Chiederle esattamente ciò di cui ha bisogno perché l'aiuti.
    No, davvero nessuna speranza che accada.
    Sopprime a stento il brivido di disgusto che il pensiero aiuto le ha provocato, prima di puntare il tavolo più vicino ad un angolo che riesce a trovare. Difficile, quando la stanza non smette di cambiare proporzione a seconda di dove la guardi, quando la guardi, con che pensieri in testa la guardi. Fottuti i suoi Dei se sarà complesso guardare l'intera stanza.
    Ma un tavolo c'è, uno su cui un omaccione che non riconosce sta comodamente dormendo. E' quasi ammirata quando, dopo avergli tolto il tavolo di sotto con un calcio, lo vede restare perfettamente in equilibrio sulla sedia, ancora addormentato. Fortuna sua, non intende dargli più fastidio di così.
    Quanto ha prima che la Dea si accorga di lei, qualche minuto appena? Spera sia così. Crede di aver sentito che lo sia, ma non ne ha ancora avuto prova. Nell'attesa, tutto quel che può fare è limitarsi a quel che già aveva deciso: il tavolo viene premuto contro un angolo dalla botta. Poco distante, un altro tavolo vuoto fa la stessa fine, e infine un terzo.
    Impilati l'uno sull'altro a costruire esattamente ciò di cui ha bisogno.
    Saltarci sopra è appena questione di un balzo, stendercisi soddisfatta sul bordo è l'istante dopo.
    Mmm, non poi così male, visto da qui.
    L'idea originale era quella di lasciar cadere un boccale adesso, per non avere alcun dubbio che la Dea si decidesse a presentarsi, se il casino fatto costruendo il suo personale appoggio non l'avesse già fatta.
    Ma in fondo, che fretta c'è? Adesso che può vedere l'intero Ramo dall'alto la voglia di scendere e procurarsi il boccale in questione è davvero poca.
    E la tentazione di restare lì, a gambe incrociate e guancia sulla mano, seduta più comoda di quanto non lo sia stata per giorni e giorni, è davvero troppa.
    Magari può aspettare per un po' così. Almeno il tempo che riuscirà a intrattenersi soffiando a chiunque si giri a guardarla.
    Hiiiissssss.

    Ok, ALLORA. Molta preview a parte, andiamo sul semplice di tua utilità e utilizzo: Shura procede imperterrita nella sua missione di essere un incubo e ha ammassato un capolavoro del genere in un angolo del Ramo, senza nessun tentativo di farlo in silenzio o discretamente, per poi appollaiarcisi in cima a fare il Gatto in Alto del Ramo e aspettare che Annie, o chi per lei, venga da lei attirata dal casino, visto che l'idea di andare lei e chiedere "allò, mi serve sta cosa" le da l'orticaria.
    Scusa per la qualità come mio solito devastantemente bassa, ma vedrai che migliorerò. Daje


    Edited by Beast ~ - 13/1/2024, 14:54
     
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    Davanti ad uno specchio, nella stanza che Annie le ha detto di usare come fosse sua, quando non ha voglia di tornare a casa per prepararsi al prossimo turno. Solaire si guarda negli occhi, dritta dritta e fissa fissa, mentre si lega i capelli in una coda. Cercando di capire, se davvero può riuscirci. Se il fatto che i suoi occhi assomiglino a quelli di una gatta, la pupilla verticale e poco più d'una fessura affilata, sia un gioco della luce o abbia davvero a che vedere, con le voci che ha sentito circolare.
    La Lama è un nome stupido, l'ha pensato subito. Cos'altro avrebbe potuto essere per lei, che armi simili le ha impugnate solo per tagliarci pizze e torte. Nome stupido per uno stupido evento, ed ancora si chiede cosa ci sia di poi così speciale in ciò che tanti si sussurrano, come fosse un gran segreto: che c'è di nuovo dopotutto, nel fatto che a tanti sciocchi piaccia uccidersi? Che ci sia un premio in palio, che tutti coloro che parteciperanno si illudano di poter guadagnare altro che le proprie mani sporche di sangue, ed una marea di rimpianti da scontare poi, quando il cuore smetterà di battere forte e l'adrenalina sarà svanita, e tanto il corpo quanto il cuore saranno liberi di urlare il proprio dolore. Perchè eccita tutti così tanto, quando è ciò già in chissà quanti mondi nessuno smette mai di fare?
    Si preoccupa per tutti, farlo è nella sua natura. Per quelli che conosce ancora di più, perchè ha un uomo ora, ed una casa che non gli piacerebbe senza di lui. Lo sa che ci andrà, lo sa che non saprà farne a meno. E lei allora si preoccupa, e si prepara a litigarci...o forse, cerca solo di convincersi di starlo facendo?
    Perchè le sue pupille sono sottili, ed i suoi occhi ricordano. Ciò che ha visto, quando il luogo in cui tutto ciò avverrà è emerso dal mare rosso e lei era li, e lei se ne è bagnata, e lei ci si è immersa e v'ha nuotato e nel farlo è cambiata.
    Non s'è mai negata quelle memorie, eppure nel pensarci s'è sempre concentrata su ciò che è venuto poi. Sull'uomo nero che l'ha bruciata...sui tanti, troppi che sono morti.
    E invece da quando ha sentito quel nome riflette anche su tutt'altro, su ciò che era stata prima che il male e l'ombra la raggiungessero...una creatura diversa, che s'era vergognata di ciò che aveva finto d'essere tanto a lungo? Una con una coda, e degli artigli, e lunghe orecchie roventi come tutto il resto della pelle...
    Persino il Ramo le sembra meno bello, per colpa dei troppi che sparlottano di quella cosa. Il che la rende più nervosa, il che la rende più sommaria nel consegnare bevande e raccogliere ordinazioni, e saluti e storie, da coloro che sicuramente si staranno accorgendo di come persino la sua luce si stia facendo meno dolce, e più affilata...
    Hiiisssss anche a te, bellezza.
    Di solito è Annie che s'occupa dei piantagrane, una responsabilità granche perchè accogliere tutti significa anche lasciar spazio ad innumerevoli di loro. Sol si dice, mentre cammina verso la strana tizia che ha accatastato un tavolo sopra l'altro, solo per poi scrutare tutti in malomodo da lassù; che è per mettersi alla prova che lo sta facendo, che la raggiunge e la saluta, sorridendole meno calorosamente di quanto non potrebbe e mimando il gesto di un artiglio con la mano, forse per prenderla un po in giro. Che è perchè, se ce la farà con lei, allora tutto il resto sarà in discesa no?
    La verità la conosce, e non è mai stata brava a mentirsi. Dopotutto...forse il punto è che non c'è nulla di male. Le sue sorelle non approverebbero, ma come può chi non ha mai avuto sangue capire che succede quando questo ribolle forte, abbastanza da sconquassare ogni vena ed anche il cuore?
    Lei quel giorno s'era sentita libera, s'era sentita bene, e non aveva smesso di farlo perchè fosse errato ma perchè l'avevano costretta. Forse...forse dopotutto, Annie non avrrebbe accettato certe chiacchiere fossero davvero state innocue? Non nel senso che non potessero far male...ma nel senso che forse, qualche dolore è necessario per apprendere?
    Hai intenzione di scendere...
    L'opera della randagia era notevole, ed anche se avrebbe potuto Sol non volle smontarla con lo schiocco di dita che le sarebbe bastato, per far rimbalzare ogni tavolo al posto ove Annie l'aveva posizionato. Non era mica un'attaccabrighe, lei, e nel dirselo e notare come la cosa la stesse quasi per far ridere, decise di accantonare ogni pensiero intrusivo e limitarsi a fare ciò che faceva meglio, che era improvvisare e far amicizia. Dopotutto mancava ancora molto tempo, no? Molto per capire cosa provasse, molto per scendere a patti con se stessa...molto per decidere se prendere Lancelot per le orecchie, o piuttosto avventurarsi assieme a lui verso ciò che avrebbe fatto male a entrambi.
    C'avrebbe pensato un'altra sera, un'altra notte. E magari dopo averne chiacchierato, con chi a vederla da laggiù aveva occhi tanto simili ai suoi.
    O devo venire fin lassù, per farmi dire cosa vuoi da bere?
    Camminò verso i deschi accatastati, svanì quando ne fu abbastanza vicina: un guizzo appena, ed il suo corpo si rimpicciolì ed assottigliò...prendendo una foggia più sottile, permettendole d'avventurarcisi dentro come fosse un dedalo di cunicoli, lasciando che la sua voce riecheggiasse tra assi e gambe, dove la principessa in cima a quella torre non avrebbe potuto più vederla.
    Un piccolo dispetto, uno innocente per chi aveva volontariamente scelto di cercare guai nell'unico posto dov'era certo non ne avrebbe trovato alcuno. E forse magari, una volta raggiunta la sua stessa altezza...l'avrebbe spinta via con una zampata, perchè l'idea di osservare da una posizione tanto rialzata non era poi così male dopotutto?
     
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    Esplosione di luce e colori negli occhi. Figura ad avanzare nella nebbia fatta di ombre soffuse e percezioni sfocate, dove passa il fumo scompare e ovunque poggi piede, o anche solo sfiori con un dito, i colori riprendono vita e forma. Il legno dei tavoli smette di essere una macchia scolorita ma ogni linea è accesa di verde e vita, il suono dei presenti smette di essere mormorio senza senso e diviene l'accento, nitido ed esotico, di qualche mondo lontano, acre e delizioso nelle orecchie come una spezia sconosciuta. Persino coperta dalla cappa opaca della sua ritrosia, Shura è in grado di vedere come emozione e calore abbiano appena subito un picco impossibile da ignorare lungo l'intera sala. E staccare i suoi occhi neri da quelli simili a scintille roventi è sempre più difficile, ogni istante che passa. Nessun dubbio, nella pelle e nella mente, di stare finalmente guardando la famosa Annie.
    Istintivamente piega la testa, il mondo che pende di lato e, per qualche strano motivo, le sembra sempre più chiaro quando visto lungo questo angolo. Percorre la figura palmo dopo palmo, dagli abiti cosparsi di colore, alla pelle luccicante, agli occhi ferali?no,ingannodellaluce e ai capelli, come cascata di scintille ad accompagnarle il viso. E senza pensarci, un sorriso storto le spezza una guancia.
    Le sembra... irritata?
    Qualcosa, nel suo passo, qualcosa che non riesce ad esprimere meglio ma che riesce a distendere i brividi che le avevano ricoperto la pelle al solo pensiero di incontrare e parlare con la Dea. L'idea di avere a che fare con la pomposa superiorità e misticismo di una qualche entità inumana, poco diversa da un qualunque Yokai, ma tanto gonfia di potere e potenza da potersi permettere un intero stuolo di creature disposte ad offrirsi liberamente al suo antro come alle sue fauci. Di che sorprendersi, in fondo? Annie la Protettrice d'Innocenti, la Guardiana dei Deboli, la Cura dei Bisognosi, e bla bla bla, insopportabili chiacchiere mormorate con occhi sognanti da chi impiegava sempre poco a passare dal raccontare delle sue prodezze al ripercorrere la sua divina bellezza. Annie, dalla chioma rossa come il tramonto - errore, dove hanno gli occhi? Quello è chiaramente il brillare dell'alba, si vede persino mentre sono legati - più bella delle valchirie stesse e, spesso, persino più feroce. Qualunque cosa fosse una Valchiria, si domanda se gradisca il confronto.
    Ma la donna che sta guardando forse supera in bellezza queste fantomatiche entità, ma di certo non è potere inumano quello che gronda, né gelida superiorità, l'accondiscendenza di un Padre che anche nell'affetto e nel rispetto non può mai scordare di avere a che fare col suo inutile, ignorante infante.
    La donna che sta guardando ha emozioni, la guarda come si guarda una fastidiosa rottura di palle ed è quasi certa che il sorriso che le sta rivolgendo non sia poi così diverso da quello che mostra lei stessa. La donna che sta guardando non sembra pronta a carezzarle la testa, confortando la povera, fragile, ferita idiota. La donna che sta guardando sembra almeno più sincera delle sue stesse leggende.
    Ehi, Sbrilluccico ♥
    Per un attimo, si domanda se sarebbe capace di farla imbestialire abbastanza da costringerla a cacciarla. L'idea la solletica e la travolge, pensiero intrusivo e repentino ma forte come la marea stessa, abbastanza da cancellare qualunque piano avesse in precedenza come fosse scritto sulla sabbia. Per un istante, uno soltanto. Poi riprende il controllo. Ancora attorno al campo visivo ardono gli scampoli rossi lasciati dal pensiero di Adrenalina e ancora la sua curiosità ha bisogno di essere saziata. E per quanto le dia fastidio l'idea, perdere il vantaggio di un posto del genere, colmo di idioti, creduloni e una Dea bugiarda, solo per un attimo di divertimento sarebbe un errore tattico che non si saprebbe perdonare. No, pessima idea, almeno fino a quando può usare la fantomatica "salvaguardia" di quel templio a suo vantaggio.
    Per questo, Shura si limita a sorridere appena di più, i canini a malapena coperti, mentre si sporge in avanti a incontrare il volto della Dea dall'alto. Appena un attimo, prima che la sua forma si comprima e contorca e un'altra ne prenda il posto. Una che le strappa, senza volerlo, un imbarazzante Mmmrow? direttamente dalla gola. E' un respiro soltanto, quanto basta perché la figura animale scompaia alla vista, e i suoi sensi vengano di nuovo invasi da quella sensazione.
    Quella che sa di rosso, di acre e di ferroso. Quella che, lo ha imparato, vuol dire Adrena.. ma, nel profondo, lì dove non ha senso che esista, è quasi sicura voglia dire anche Me.
    Quella che non ha senso, non ha significato e obbedisce solo all'istinto, che non ha parole per spiegare. Ma che ora le sta urlando, nella pelle e nell'ego, che qualunque cosa sia la Dea e qualunque cosa sia quello che sente, c'è un pezzettino simile a lei. Uno fin troppo simile per ignorarlo. Uno che le striscia in corpo con passi roventi.
    Scendere?
    Dove?
    Shura non si accorge di essersi mossa, di aver abbandonato la posizione seduta che tanto la soddisfaceva, per distendersi lungo l'intero tavolo. Appena una torsione del bacino, le gambe che scorrono sul legno come ghiaccio, le mani che fanno lo stesso e di colpo ha il viso premuto contro la superficie. Dall'altro lato, la Dea con sembianze d'animale a muoversi tra gambe e lastre.
    Sta... giocando? No, non lei, IO è il pensiero improvviso che risuona nel cranio e che scaccia con un ringhio muto. Gioco strano. Gioco senza senso. Il viso che scorre lungo il legno e le mani che fanno lo stesso, come a cercare di riconoscere il punto in cui la Dea, appena qualche centimetro oltre, si sta muovendo a sua volta. A cercare se riesce a sentirne l'odore, o almeno il rintocco dei passi a vibrare lungo il tavolo.
    Non saprei, Sbrilluccico...
    Forse, in un altro contesto, si sentirebbe imbarazzata. Se non subito, almeno di certo lo sarebbe dopo, quando finalmente l'istinto perderà la presa e la ragione la farà tornare in sé, a comportarsi di più da guerriera e meno da felino che vuole giocare, ma non in questo. Non adesso. Non ora. Perché va bene così. Non avrebbe chiesto aiuto, mai, non può farlo, fisicamente e mentalmente, sa di non esserne in grado. Non avrebbe ammesso una mancanza o la propria ignoranza, non quando mancanza e ignoranza portano a punizione sconfitta. Non quando fanno credere all'altra parte di avere potere su di te, di averti aiutato, che ora tu gli debba qualcosa. Che tu abbia avuto bisogno di loro.
    Ma questo?
    Se salissi fin quassù a bere, poi tu vorresti più scendere?
    Sorridere a piene zanne ad una Dea imbronciata, e giocare con lei mostrandole il peggio, il più irritante, fastidioso, insopportabile, flirtante lato di sé?
    Trova del saké e vieni a scoprirlo.
     
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    Quella si, invece, che era un'attaccabrighe. Solaire ormai sapeva riconoscerli a vista, dopo tutti quelli che aveva dovuto buttare fuori ogni notte...Annie se ne prendeva la maggior parte, ma così come per ogni altra cosa, a poco a poco s'era messa a darle più responsabilità, a fidarsi di più.
    E lei invece era li, a pensare ad andare all'avventura, seguire richiami lontani verso terre che già lo sapeva, che non le sarebbero piaciute...solo perchè in un sogno, forse, una volta, aveva immaginato di sentirsi bene?
    Scosse la testa tra se e se, abbassando il capo micioso, mentre giochicchiava con il potere che la coppiera le aveva dato, apparendo e scomparendo in punti sempre diversi di quell'accatastarsi di tavoli.
    Forse avrebbe dovuto chiamare Lance, e chiedere a lui di buttar fuori quella donnaccia prima che la trascinasse in qualche guaio...ma allora, che aiutante indegna sarebbe stata?
    Oooh, sake!
    E poi se lo ricordava, il nome di quella bevanda. Kiritsubo gliene aveva fatta assaggiare tanto durante le loro notti assieme, e non fosse stata un gatto-nebulosa Sol sarebbe arrossita, a ricordare da dov'era che l'indovina glielo faceva bere.
    Era sparita, da chissà quanto e chissà dove, inghiottita da quel caos che tanto dava, ma a volte anche tanto toglieva. Forse avrebbe rivisto anche lei alla Lama, visto che tutti sembravano volerci andare?
    ...era davvero destinata a passare tutto l'anno a pensare solo a quello, oppure sarebbero bastate poche notti perchè l'idea le venisse a noia e finalmente potesse tornare ad essere se stessa, senza chiodi fissi tanto sciocchi a battere sulle sue tempie?
    Avevo un'amica che ne beveva come un drago.
    Una cosa alla volta, su, non era difficile. Prima una cliente complicata da servire, poi magari una nuova amica o chissà, una nuova storia da raccontare su come aveva tirato una tigre per i baffi sbattendola fuori dal locale. Poi tutto il resto dei pensieri. Poi il mondo. Poi l'universo!
    Quando le comparì di nuovo, finalmente più vicina, forse abbastanza da essere acchiappata, la gatta-Sol stringeva con la coda una bottiglia di liquido trasparente, ancora saldamente tappata. Ridacchiò tra se e se delle proprie sciocchezze, e fu in quell'allegria che riuscì finalmente a ritrovare una quadra, focalizzarsi sul presente anzichè lasciarsi andare a pensieri stupidi riguardo un futuro tanto remoto.
    Tanto, dopotutto, conoscendosi...avrebbe potuto decidere quello che le pareva in quei momenti, ed in tutti quelli dopo. Ed alla fine sarebbe comunque finita per fare impulsivamente la prima cosa che le sarebbe venuta in mente la mattina stessa dell'inaugurazione di quella gigantesca pagliacciata, mandando in fumo ore ed ore ed ore di superflue preoccupazioni!
    Possiamo dedicare a lei il primo brindisi, dalla cima del tuo castello?
    Convincendosene, si decise finalmente a palesarsi sul tavolo più alto, quello dove la donna dalla pelle scura scrutava il Ramo. Accanto a lei due bicchieri già pronti, la bottiglia gliela fece scivolare vicino, prima che la sua forma turbinasse ancora e tornasse ad essere quella della solita brillante stella, seduta con le gambe a penzoloni giù dalla sommità di quella torre.
    In effetti era una bella vista da lassù, e Sol si concentrò per renderla ancora migliore: non per la piantagrane che aveva raggiunto ma per se stessa, lasciò che le luci del Ramo risplendessero più fulgide, e che le voci di innumerevoli viaggiatori giungessero più chiare e forti su quel trespolo, assieme all'odore d'ogni leccornia servita ed all'ebrezza dei fumi sprigionati da ogni boccale. Quanti di loro, parlavano di quella Lama? Quanti di loro nutrivano i suoi stessi dubbi, e quanti altri invece erano già più che certi di volercisi recare?
    Senza nemmeno guardarla, rapita dalla sua opera d'osservazione, Sol riempì entrambi i bicchieri e poi agguantò il proprio, sollevandolo verso l'altra, in attesa del cin che doveva arrivare, o si sarebbe offesa a morte. Se aveva imparato qualcosa di come funzionava il rave, dopotutto, era più che certa che anche quella fanciulla si trovasse li per cercare proprio quello. Ma perchè mai parlarne da sobrie, se potevano chiacchierarne dopo essersi scolate tutta quella bottiglia...e chissà quante altre, perchè il primo drink è sacro e gratis, e finisce solo quando uno vuole che lo faccia?
     
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    Qualcuno che conoscevi una volta?
    Un'amica. Che parola strana. Ne conosce il sapore sulla lingua e sulle labbra, sa che suono fa quando la si lascia schioccare tra le zanne, e probabilmente l'ha persino usata qualche volta. Suvvia, anche lei era stata una sciocca bambina ingenua, non è così orgogliosa da non poterlo riconoscere, da essere incapace di ammettere che a volte ha creduto esistessero gli amici al mondo. Come no, assolutamente, ma certo piccola dolce Shurina Piccina Piccina, e magari giocherete assieme sulla spiaggia, sarete gli eroici guerrieri che sconfiggono l'esercito del nord, e festeggerete mangiando assieme tante torte ai ciliegi. Davvero, eri patetica.
    Ma tanti usano quella parola, tanti persino ci credono o fingono di crederci, e che il mondo - o i mondi - siano pieni da scoppiare di sciocchi non è qualcosa di cui sorprendersi. Fa strano però sulle labbra di una Dea.
    Nel Ritratto di Dio, landa di tempera e pittura, ora tanto lontana da aver bisogno di viaggiare al di là del cielo per tornarci, tutto esiste allo scopo di avvicinarsi a Dio. Ognuno e ogni cosa, formata per trascendere fino alla sublimazione perfetta del concetto. O almeno, così le ha sempre detto papà. E papà non mentiva, oh no, non su quello, non su quella volta. Non sullo scintillio nei suoi occhi quando il suo titolo - Il Più Simile a Dio - risuonava, non quando osservava con una smorfia sul volto la deferenza degli inferiori. Non quando le mostrava come e perché la sua Arte fosse perfetta abbastanza da renderlo Il Più Simile.
    Dio, chiunque egli sia, se scrive lo fa con la penna del più grande degli artisti. Quando Dio parla, la sua voce è quella del più grandioso degli oratori. Se Dio porta una spada, allora quella spada si muove come quella di suo Padre. Perché Dio è perfetto e ciò che è perfetto non ha amici.
    E la Dea che parla di amici è la Dea che mente. O che è imperfetta.
    Non lo è più?
    Provocarla. No, non esattamente. Non come si era ripromessa di fare.
    Shura ascolta la sua stessa voce e si accorge di quanto il tono sia sbagliato, la nota appena stonata, c'era una smorfia acida di presa in giro, una che è rimasta ma che ora è quasi scomparsa per colpa dell'altra nota. Quella agrodolce, la stessa che l'ha spinta a cercare di afferrarla quando ha cambiato forma e di colpo i suoi istinti bruciavano. La stessa che rende fin troppo languido lo sguardo che le riserva mentre ritorna nella sua forma di ragazza e le si siede accanto, la bottiglia di sakè magicamente comparsa con lei. I bicchieri già pronti, neanche il bisogno di guardarli nel riempirli con abilità. E la mezzodemone si accorge di sorridere, anche se non ne ha bisogno, anche se lo fa a nient'altro che una chioma color tramonto, anche se gli occhi dell'altra sono ben lontani dalle zanne che mostrerebbe schiudendo ancora un po' le labbra.
    Una Dea imperfetta è una Dea che ancora desidera. Una verso cui, di colpo, non si sente poi così inerme, non importa quanto potere possa racchiudere in quelle sue manine delicate.
    E delicate lo sono davvero. Se ne accorge quando le sfiora appena, pelle contro pelle, nel prendere il bicchiere.
    Forse hai bisogno di una nuova amica con cui bere, allora.
    Dentro, nel profondo dove non arriva neanche uno spiraglio di luce, l'Altra sorride. L'Altra è intrigata. L'Altra non ha mai smesso di desiderare, non un solo istante della sua breve, frastagliata esistenza è passato senza che volesse qualcosa. Come se avesse bisogno di rendere persino più evidente la sua stessa imperfezione.
    Eppure proprio per questo, la Voce che risuona dentro è un'altra. La Voce che di nuovo Oh Shurina Piccina Piccina non smette di ridere, tanto da soffocare, da morire e continuare che carine che sarete, vi farete i capelli e brinderete assieme al sole, alle stelle e a tutte le cose belle continua e continuare perché davvero, non c'è modo che possa essere più patetica di così. La Voce che le ha insegnato il disprezzo per la parola Amici, non importa quanto si illuda di starla usando solo per manipolarla. La Voce contro cui l'Altra ora ringhia, fino a soffocarla. Che si fotta, a nessuno importa delle parole di un morto
    A lei.
    Dovrebbe aspettare. Dovrebbe prendersi il tempo di girarci attorno. Dovrebbe sorridere ancora, e annusarla ancora e scoprire quanto quel sorriso possa funzionare e quanto sia necessario bere prima che sia il momento.
    Si dice di farlo perché va bene così, non importa, funziona meglio così.
    Non ammetterà mai di aver semplicemente ceduto alla Voce. Di aver provato troppo calore, troppo reale in un sorriso e in una parola. Di starsi vergognando del desiderio improvviso che le è nato dentro per quella Dea di cui non ha bisogno.
    Così saremo le sole a non brindare soltanto alla Lama.
    Perché non c'è calore né sorriso né piacere di cui debba nutrirsi. Niente che possa saziare lei, l'Altra o tutti i morti del creato.
    Solo vittoria. Solo potere. E per quello, adesso l'unica cosa di cui ha bisogno da parte della Dea, sono Informazioni.

     
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    Oh, tesoro.
    Lo sguardo attento, abituato a cogliere certi dettagli. I sensi affinati, non come quelli di un predatore ma come quelli di chi ha davvero a cuore chi ha accanto, e non vuole lasciarsi sfuggire nemmeno un loro segno, perchè spesso la bocca è impastoiata da pensieri sciocchi o pesanti, o tutte e due le cose. E allora tocca a chi ci è vicino interpretare i silenzi, gli sguardi, i gesti. Riuscire a vedere il cuore oltre la pelle.
    Ed il cuore di quella combinaguai palpitava, e lo faceva con una forza che francamente, si fossero trovate altrove l'avrebbe spaventata. Forse perchè i suoi occhi erano davvero più simili a quelli di una tigre, che a quelli di un gatto. O forse perchè aveva visto, nella forma di un'armatura nera e di zanne troppo grandi e troppe affamate, cos'è che succedeva quando emozioni represse troppo a lungo trovavano poi il modo d'uscire a graffi e morsi.
    Io ho bisogno di tutti i nuovi amici per bere!
    Ma quello era il Ramo, e se neppure li dentro si sarebbe mai definita Dea, certamente era Ciò Che Di Più Simile ad Annie girovagava per quei tavoli. Non per merito ma per concessione, non per conquista ma per similitudine, e visto quante volte la Coppiera stessa si trovava a bere assieme ai propri clienti assaggiando in prima persona, i liquori che serviva loro, Solaire non si sentì affatto in colpa nel tracannare il sake in un sorso solo, in barba alle lezioni su com'è che si assaporava per bene che le aveva dato Kiritsuto. Ed in barba anche a lei, che era scomparsa. Ed a quegli stupidi pensieri, colmi di stupida violenza, che non la volevano proprio smettere di rimbalzare nel suo cranio a fare danni e che la tigrotta rintanata lassù alimentò, pronunciando per l'ennesima volta il nome che Solaire ebbe un'improvvisa, irrefrenabile voglia di maledire.
    Vai...a quel paese, stupida Lama!
    Lo disse a gran voce, lo gridò dall'alto, esitando solo quando s'accorse d'aver bevuto troppo poco per riuscire ad imprecare come si deve. Lasciò che la sua voce risuonasse per tutto il locale, che tutti la sentissero e si voltassero verso quell'angolo disperso e reso minaccioso, dalla struttura che vi era stata eretta. L'avrebbero riconosciuta, lassù? O la sua luce improvvisamente troppo rossa, e la distanza posta dalla torre che ad ogni istante le sembrava un po più alta e le metteva le vertigini, e forse lo diventava davvero perchè così le cose funzionavano nel caos, e soprattutto al Ramo...sarebbe bastata a farla apparire come qualcosa di diverso, forse un presagio per chiunque volesse davvero rischiare e partecipare, forse invece una delle solite matte che dopo appena un bicchiere si mettevano a gridare cose senza senso?
    Tu ci andrai, non è vero?
    Non aveva detto quella parola a caso...non si butta li un argomento di cui non si intende parlare ed approfondire, quando si beve a quel modo con qualcuno. Solaire volle ignorare le conseguenze della propria dichiarazione, rendendo lontani i suoni di chiunque vi reagisse, per darle ragione o piuttosto fischiare verso di lei o pronunciare qualsiasi cosa fosse sicura di non voler sentire: li rese poco più che echi distanti, incapaci di risuonare davvero in orecchie che aveva scelto di rivolgere ad una sola, prendendola come simbolo di tutti loro...e cercando di capire quali potessero essere le sue motivazioni, i desideri che l'avrebbero spinta a mettere in pericolo non solo la propria vita, ma anche quella di chiunque altro avesse la sfortuna d'incontrarla sulla propria strada.
    Anche se hai già questo bel castello?
    I bicchieri si riempirono di nuovo, Solaire attese a svuotare per la seconda volta il proprio, rivolgendo a quella donna lo sguardo più sincero e preoccupato le avesse puntato, fin da quando poco prima l'aveva scovata nel suo nuovo parco giochi. Avrebbe potuto stare li tutto il tempo che voleva, dopotutto, lo spazio non era un problema e a portarle cibo e bevande lassù c'avrebbe pensato lei stessa...avrebbero davvero potuto essere amiche, avrebbero davvero potuto farsi le trecce, che sarebbero state benissimo sui suoi capelli così scuri.
    Ma non sarebbe successo, la stella lo sapeva bene, abbastanza da non volersi nemmeno illudere di poter cambiare il corso delle cose...sapere il perchè le sarebbe bastato, e per quanto l'impressione che l'altra fosse troppo chiusa, troppo affilata per confessarglielo, avrebbe insistito a lungo. Come la goccia che scava la pietra, per quanto appuntita essa sia. O il sole che sembra brillare quieto e sempre uguale, ma sarà ancora li quando i mondi che bagna saranno polvere nel cosmo, e del loro chiasso non saranno rimasti che ricordi e silenzio.
     
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    Butta giù in un sorso ed è il saké migliore che abbia mai bevuto.
    Ha esitato, un istante impercettibile, uno sufficiente a domandarsi quanto davvero possa fidarsi di bere o mangiare qualcosa che le venga offerto dalla Dea nel suo stesso territorio. Appena una frazione di respiro, le dita che si sono contratte sul bicchiere una volta in più del dovuto, prima che gettasse la testa all'indietro e ne accettasse ogni goccia. La domanda, sciocca, se tutti coloro che fino ad ora aveva chiamato stupidi idioti non fossero in realtà manipolati in maniera molto più diretta di quanto non creda, se ogni morso non fosse in fondo accettare un accordo muto con la Dea, se persino più semplicemente le sue bevande contenessero altro. Ma è stato solo un istante, uno fin troppo stupido per diventare qualcosa di più.
    Non perché di colpo si fidi di lei, oh no, al contrario, ma perché proprio nella bontà del suo saké, nel calore delle sue sale e nella morbidezza del suo sguardo esiste il controllo. Uno molto più pericoloso, molto più difficile da sciogliere di quello che magia o alchimia potrebbero creare dentro qualche intruglio, uno nel quale si crede di mantenere la propria volontà, per poi essere invece pronti a cederla in cambio di quel calore, quel piacere e quella dolcezza.
    No, la Dea non ha bisogno di incantare il suo saké, non quando è già il saké migliore che lei stessa abbia mai bevuto. Per molti averne ancora sarebbe un prezzo sufficiente in cambio di qualunque cosa.
    Ma questo già se lo aspettava, in fondo.
    Shura non è giunta impreparata nel Tempio della Rossa, non senza averne annusato a lungo l'aria, osservato fin troppo i presenti, ascoltato qualunque storia venisse raccontata su di lei da un capo all'altro dell'universo. Sapeva che avrebbe tentato di metterla a suo agio con parole mielate, bevande speziate e sorrisi incantevoli. Sapeva che avrebbe trovato irresistibile il calore che ora avverte dalla sua pelle e che una parte di lei, molto piccola, molto in profondità, le avrebbe suggerito che posare la testa sul suo grembo e riposare, cullata da quelle dita, delicate carezze lungo i capelli era quello che desiderasse di più al mondo.
    Se lo aspettava ed era pronta, pronta a tenere a bada il fuoco che le risalisse dalla gola, a tenere a freno il calore che minacciava di divampare nel petto, a sorridere e annuire quanto basta, a sorseggiare e sbocconcellare il minimo indispensabile senza perdere il controllo e la direzione. Prendere tutto quello di cui aveva bisogno e andarsene, sparire, prima che persino la sua volontà di odio possa cedere.
    Non si aspettava di vederla parlare apertamente contro la Lama.
    Contrazione, nel profondo, là dove lo sguardo non può arrivare e i muscoli e le ossa si mischiano all'anima. Contrazione feroce, istantanea, a farla scalpitare dentro la sua stessa pelle, quella stessa pelle che si impone di tenere ferma, che la trattiene come una gabbia e che la inchioda sul posto. E l'unico segno a mostrare lo sdegno feroce che si è impossessato di Shura è la totale immobilità del suo volto.
    Occhi neri spalancati in due ovali perfetti, a malapena differenti da pozze senza fondo, la bocca congelata in una linea dura, sfregio nella pietra, il respiro lento e misurato e la netta, chiara realizzazione, che deve evitare in ogni modo di muoversi. Che se perdesse il controllo di un solo muscolo, quello la trascinerebbe con sé ad afferrare la Dea per le spalle e per la gola.
    Perché doveva aspettarsi anche questo, certo.
    Sciocca. Come ha potuto essere così sciocca? Nessuno conosce la Lama, nessuno davvero sa cosa sia la Lama e nessuno ha alcuna idea di a che cosa porterà la Lama. Ma tutti, in ogni realtà in cui ne sia risuonato il nome, sanno che cosa è stato promesso: potere. Potere reale, potere assoluto, potere su un trono lordo di sangue sul quale adagiarsi dopo essersi lordati col sangue di ogni nemico, dinanzi agli occhi dell'universo intero. Un trono non regalato al più nobile o promesso al più divino, ma da strappare con la propria forza, la propria ferocia, il proprio desiderio, uno che da solo forse non rappresenta niente, ma a cui avere accesso solo dimostrando la propria superiorità. Tutto ciò che ha sempre sognato. Tutto ciò che ha sempre desiderato. Tutto quel che ha bisogno per ottenere sicurezzarispettoapprovazioneamore potere.
    Qualcosa che di certo una Divinità, nata nell'oro e nella gloria, fiera del suo Tempio al centro del tutto nel quale regnare su chiunque si presenti alla sua porta implorando carità, non può che disprezzare. Qualcosa che di certo immagina al di sotto di sé stessa. Qualcosa che di certo ritiene i suoi seguaci non siano degni di ottenere. Qualcosa che Odia profondamente proprio perché è impossibile riceverlo, ma va guadagnato e ottenuto.
    Si, avrebbe dovuto aspettarselo, entrare certa che la fottuta ipocrita di fronte a lei avrebbe fatto qualunque cosa pur di non ritrovarsi a dover guardare una come lei randagiorifiutoinutile da pari a pari.
    Ma non importa. Gliela farà vedere.
    Tutti ci andranno.
    La farà vedere a tutti quanti.
    Parole misurate, lente, scandite sillaba per sillaba come se ogni movimento delle labbra le costasse dolore. Come se fosse ancora impegnata a stringere i denti per impedirsi di strapparle la lingua con cui ha disprezzato tutto ciò che ha sempre sognato. Trattenere il calore languido con cui le aveva ammantate prima è impossibile, il calore dentro non è più tepore ma inferno, arroventa e trafigge, il massimo che può fare è costringersi a suonare seria, piuttosto che infuriata. A fare il possibile, ogni cosa in suo potere dentro e fuori dalla sua carne, per non interrompere quell'incontro prima del dovuto. Per apparire concentrata in qualcosa di importante e nulla più. E in fondo, lo è davvero.
    Anche se... nessuno di loro sa quel che troveranno.
    Loro, non Noi. Distinzione puerile, distinzione essenziale. No, non intende mostrarsi vulnerabile adesso, non dinanzi a lei, non intende fornirle l'appiglio di cui ha bisogno, confermarle quanta distanza c'è tra loro due. Quanto le è inferiore, in potere e informazioni, e che per questo ha bisogno di lei.
    Dovrebbe. E' quello per cui è qui, riceverle è importante, molto più importante di qualunque traccia di orgoglio le stia avvampando sotto la pelle, ma non intende farlo comunque. Avrà quelle informazioni lo stesso, tutte, dalla prima all'ultima, e senza bisogno di mostrarsi la povera mortale smarrita e implorante che la crede.
    Gelo lungo la gola, lungo la bocca, qualcosa a risalire attraverso le zanne e attraverso il petto. Fumo e vento, nero a sgorgare da sotto la pelle e ad accarezzarle la pelle, qualcosa di cui Shura non sembra nemmeno accorgersi, non mentre ora il suo sguardo è in quello della Dea e non si concede neanche di sbattere le palpebre.
    No, non si accorge della presenza dell'Altra, questo è fin troppo chiaro. Non si accorge delle braccia artigliate che la abbracciano da dietro, a serrarsi sulle sue spalle in una stretta che appare più protettiva che possessiva. Della maschera d'osso trasparente che emerge dal suo stesso viso, nascondendone una metà, lineamenti neri a carezzare i suoi, guancia premuta contro guancia. Tutto quel che sente è quel calore ardente, divampante, assumere forma e direzione. Divenire non incendio ma fornace, ad alimentare la volontà con cui mantiene quello sguardo e scandisce, lentamente.
    Tu lo sai?
    Il volto appena in avanti, come predatrice pronta a balzare. Quattro occhi neri a trafiggere quelli della Dea.
    Adrenalina. Cosa sia Adrenalina. Cosa sia la Lama. Cosa sia il Trono. Cosa è successo, perché è successo, cosa sta succedendo, cosa succederà.
    Chi sedeva su quel trono ora vuoto. Perché ora giace abbandonato.
    Conosci la Verità?
     
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    Annie l'avrebbe saputo. Annie l'avrebbe capito, perchè la mobilia e gli alcolici non erano l'unica cosa ad essere in suo potere, tra le mura della sua casa.
    Anche Sol se ne sarebbe accorta, avrebbe dovuto farlo. Non fosse stata tanto impegnata a maledire la Lama, chi per primo ne avesse parlato e chiunque le avesse dato un nome tanto scemo. Era più sveglia di solito...più perspicace, nell'indovinare ciò che accadeva aldilà delle fronti di coloro che si trovava innanzi. Ma persino una stella può mettere in pausa l'empatia, quando ha le scatole girate.
    Ci troverete sangue.
    Rispose corrucciandosi, lo fece perchè l'altra nemmeno ci provò a dissimulare. Sarebbe stato meglio, le avesse mentito? Avrebbe preferito una bugia per una volta, rispetto a quell'ovvia, salata verità?
    Lei c'era stata ad Adrenalina. Ciò che forse era peggio, ciò che forse le faceva davvero venire i cinque minuti...era che non tutto di lei la ripudiava, come avrebbe dovuto. Il mare di sangue, le belve feroci, i caduti a perdita d'occhio...a quelli cercava di non pensare, perchè già troppe volte le avevano strappato il sonno facendola svegliare tra le grida.
    E morte.
    Ma la libertà...quel che aveva provato quando la sua pelle s'era sciolta, quando l'aspetto di una donna se l'era strappato via di dosso, ed al suo posto era rimasta una bestiola ardente che non avrebbe voluto fare altro che correre, saltare, mangiare ed accoppiarsi. Il mondo ha un nuovo sapore, quando ad annusarla è chi davvero può assaporarne i frutti...l'aveva trovato splendido, l'aveva trovato terribile nella sua genuina grandiosità.
    Ma poi un uomo nero aveva preso il sole, e gliel'aveva schiacciato addosso. Ma poi era bruciata, svegliandosi per questo. Strappata da quel sogno e tutti gli incubi che l'abitavano. E per questo decisa, a non permettersi mai più di voler ciò che le aveva fatto tante promesse, soltanto per poi tradirla tanto male.
    Ed un sacco di altra roba orribile.
    Un altro sorso di sake, uno veloce, di quelli che non permettono d'assaporarne il gusto ma solamente l'ardore. Ubriacarsi mentre era in servizio non andava affatto contro le direttive, ed anzi, Solaire fu certa che Annie sarebbe stata lieta di vederla sbronza a cantar canzoni o pomiciare con la prima gatta di passaggio.
    Ma lei non era li per divertirsi...lei la voleva usare. Neppure in maniere divertenti, e per quanto Sol fosse accecata dalla propria stizza e non avesse colto il suo forte irrigidirsi aveva imparato da tempo a non esser ingenua, testando sulla propria stessa pelle ciò a cui esserlo portava. Era al Ramo, nulla di male le sarebbe potuto accadere. Ma quanti bicchieri ancora prima che si lasciasse convincere ad esser portata ovunque, lontana dalle folle che inneggiavano a quel che per lei era un inferno?
    Pensi davvero che ne valga la pena?
    Glielo chiese seria, allora. Glielo chiese con il cuore in mano, certa che porgerglielo non fosse una grande idea, ma che nascondersi dietro una maschera sarebbe stato anche peggio. Quel discorso l'avrebbe dovuto fare ancora, con qualcuno a cui teneva più che ad una bella, e curiosa sconosciuta. Lancelot sapeva essere un sacco bravo a giustificarsi, a trovar ragioni per le proprie follie. Tantovaleva allenarsi allora, no? Prender le misure, imparare le risposte. Conoscer i passi d'una danza che avrebbe voluto saper dirigere, ma di cui non riusciva proprio a comprendere lo scopo. Così da poter danzare meglio, quando sarebbe stato importante farlo.
    Che capiterà agli altri, e non a te?
     
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    Dimmelo tu.
    La sua anima è scaglie e spine. E' strano, di questo persino lei ne è certa: Anima o Ego, o qualunque nome le si voglia dare, dovrebbe essere ciò che esiste al di là delle scaglie come rasoi e delle punte come lance. Un'anima scoperchiata non dovrebbe forse essere troppo diversa da un muscolo o un cuore strappato via dalla carne, qualcosa di fragile, vulnerabile, che si tiene dentro bene al sicuro. Che tremi al solo soffiare del vento.
    Eppure la sua anima non trema. Oh, ne fa di cose, forse guidata dai suoi sogni, forse animata da una volontà propria, ma l'Altra non è mai timida nei suoi gesti. La sua anima annusa e carezza, muso e dita allungate verso tutto ciò che attiri la sua attenzione, a volte strofina languida le zanne contro qualcuno, altre volte colpisce prima ancora di rendersene conto e lei stessa se ne accorge solo quando vede scorrere sangue. La sua anima la stringe tra le sue braccia quando la carne trema, proprio come adesso, mani artigliate a percorrere con dolcezza pelle e muscoli, a serrarsi appena meno di quanto servirebbe per versare sangue; la sua anima le carezza il viso e il collo e quando la guarda, c'è una strana luce dolce tra gli sfregi neri che le fanno da occhi, una capace di turbarla e sorprenderla, una che si aspetterebbe di vedere macchiata dall'odio, non dall'amore; la sua anima la circonda, quando ha paura, quando ha coraggio, come se lei stessa non capisse quale delle due parti va protetta, se la carne o l'Altra... come se in fondo non ci fosse differenza e intrecciarsi fosse la loro natura.
    E la sua anima è scaglie e spine. Di vento e fumo, ma non per questo meno ruvide, non per questo meno affilate. Quando qualcuno stringe il proprio cuore tra le mani, quando mostra all'altro la sua anima, immagina sia per mostrarsi vulnerabile, per esporre di sé ciò che può solo stringere o baciare o carezzare.
    Ma per Shura mostrare la propria anima è stringere tra le mani una Cosa rovente fatta per tagliare e perforare. Una Cosa con cui non sa fare altro se non combattere.
    Fa' sparire quell'amica, e poi tutti gli altri.
    Per questo, quando vede qualunque facciata crollare nelle parole e nei gesti della Dea, tutto ciò che sa fare è azzannare. Se non con la bocca, almeno con le parole, almeno con le emozioni, con il vorticare sempre più denso dell'Ego attorno al suo viso.
    Fa' sparire questo posto, e qualunque altro che chiami casa.
    Non dovrebbe. Non è qui per questo.
    Non per per intrattenere la Dea in un duello verbale che ha fatto tutto quanto, che si è costretta a trascinarsi in quel locale che la disgusta tanto, ad attirare la sua attenzione, a bere con lei, ad ascoltarla e parlarle. Non dovrebbe andare così. Sarebbe dovuta restare calma, restare affabile e affascinante. Avrebbe dovuto scolarsi quel saké delizioso un bicchiere dopo l'altro e sussurrarle parole dolci al collo e all'orecchio. Fanculo, avrebbe dovuto anche farcisi sbattere su quello stesso tavolo, se proprio fosse stato necessario.
    Ma quando mai Shura ha quel che vuole. Quando mai i suoi piani sono qualcosa di diverso da un fallimento.
    Fa sparire la tua magia, il tuo potere, le tue illusioni, la tua maestà.
    Ego denso come tempesta, racchiuso nello spazio di un respiro, scorre lungo il collo, sul petto, le braccia che la cingevano ora a ricoprire le sue e quella che prima sembrava un'ombra sfocata sovrapposta alla mezzodemone ora diviene armatura. Scaglie e rasoi dove prima c'era pelle, maschera sfregiata al posto del viso, il soffiare profondo del vento dove prima c'era solo il battere del cuore.
    Nascosta, celata sotto strati e stratti di una corazza che sembra essersi animata da sola parola dopo parola, eppure di colpo così reale, così concreta. Se nello stupore dell'alcol la Stella avesse ancora avuto la percezione di accorgersene, avrebbe sentito distintamente come quella che percepiva fino a un attimo prima fosse solo una forma sbiadita, incompleta. Come solo adesso, mentre vento e pelle si stringevano e intrecciavano, la stesse sentendo davvero. Finalmente scoperchiata, messa a nudo, incapace di restare nascosta, non mentre le soffia veleno rovente in viso.
    Fa sparire chi ti ama, chi ti venera, fa sparire chi ti protegge, fa sparire chi ti desidera. Fa sparire ogni cosa.
    Parole sprecate, per chi in fondo non può capire.
    Fa di non averlo mai avuto.
    Diverse tanto quando lo è l'intrico di spine nero della Mortale dall'abbraccio caldo e infuocato della Dea.
    E quando qualcuno ti dirà... che puoi averlo... che puoi esserlo... che non meriti ti venga dato, ma almeno puoi Meritartelo...
    Schiocco di tuono, secco, acuto, il suono del bicchiere di saké che va in frantumi. Pezzi a sbriciolarsi nella stretta della mano artigliata, soltanto il soffio di nero a impedire che le trapassino il palmo.
    Allora mi dirai se ne vale la pena. Quanto orrore vale tutto ciò che hai e quanto sangue tutto quel che sei.
    Espira. Scioglie la presa. Non stacca gli occhi da quelli della Dea, non l'ha mai fatto fino ad ora, non lo fa nemmeno mentre solleva la mano sporca di saké alla bocca e ne lecca il palmo, goccia per goccia.
    Allora dirai a tutti qua dentro che sono stupidi e idioti e ingrati. Che tutti noi lorolorononnoiloro Senza niente dovremmo essere grati per ogni cosa e basta. Che dovremmo volere di meno.
    Inspira. Qualunque morsa le stringesse i muscoli, l'avesse costretta a incatenarsi nella sua pelle, si è allentata e il respiro è di colpo più calmo nel petto, più misurato, non più lo scrosciare della pioggia ma lo scorrere lento di un fiume. Qualunque sdegno l'avesse infuocata, arde ancora ma in una forma migliore, più limpida, più pura.
    Forse, la sua Anima non ha davvero altro posto che non nel cuore altrui. A tentare senza sosta di trafiggerlo, stretta in una lotta eterna come il vorticare del vento che la compone.
    Non può capire. Non capirà. Non puoi capire quando hai così tanto da credere che ciò che gli altri chiamano Speranza sia solo un Capriccio.
    Ma non è mai stata comprensione quella che cercava da lei. Non più di quanto onore, ricchezza e gloria sia ciò che vuole dalla Lama.
     
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    Sostiene lo sguardo, sa che non ce la farebbe altrove. Non per via dell'ombra che la avvolge, non per via del vento nero che non è certa sia reale, o esista solamente perchè Annie ci tiene che la sua cameriera sappia, con chi ha davvero a che fare.
    Quel mostro, quella bestia nera, che la ricopre e la avvolge e parla al posto suo...le ricorda qualcosa, le ricorda il Lupo. Sono quelle, le parole che sussurrerà a Lancelot per convincerlo a partire? Quelle le ragioni che le toccherà contestare ed abbattere, se davvero vorrà provarci ad impedirgli d'andare?
    La sta a sentire fino alla fine, non la interrompe, non beve nemmeno più. Lo sguardo spensierato che le aveva rivolto spento, l'espressione concentrata, dovrebbe evitare di fare smorfie ma l'alcol che ha già ingerito le da una buona scusa, per mostrare almeno un po dello schifo che le fa tutto ciò che le vien detto.
    Tutta quella rabbia, tutta quella supponenza...la infastidirebbe anche se non fosse malriposta. Come se chiunque, Annie compresa non avesse da soffrire. Come se la bella donna innanzi a lei fosse l'unica, a doversi conquistare ogni centimetro di felicità.
    E come se per farlo, come se per riuscirci. Fosse davvero sensato gettarsi tra le fauci di un leone, sperando pure di non finirne masticati.
    Mi sa che c'è un frainteso, cara.
    L'ironia non è il suo forte, si sente la bocca impastata e sporca quando tenta ancora d'essere gentile. Spiacevole, lo laverebbe via col sake non le fosse un po passata la voglia d'ingerirlo, dopo averla vista leccarselo via dal palmo.
    Potrebbe ridare forma al suo bicchiere...potrebbe rimediare a ciò che ha fatto, anticipare la coppiera in ciò che toccherà a lei mettere a posto. Non lo fa perchè lo sa, che l'altra lo prenderebbe come il definitivo segno della propria ragione. Come se qualche trucchetto guadagnato tramite la fiducia fosse sufficiente, a dimostrarle che non si trovassero entrambe nella stessa barca.
    Io non sono Annie.
    Solleva le soppracciglia, serra le labbra come a voler dire che le spiace, senza aprir davvero bocca. Non fosse li, non fosse al sicuro, non si azzarderebbe a trattarla a quel modo. Di persone violente ne ha conosciute abbastanza da riempirci dieci volte tutto il Ramo, e quante volte ha sognato di risponder loro per le rime anzichè doversi fare indietro, per paura del male che avrebbero potuto farle o di quello che lei, si sarebbe ritrovata costretta ad infliggere a loro...
    Sono soltanto una stella.
    Le conosce, le conoscon tutti. In troppo pochi sfortunati abbastanza da non aver mai visto il cielo, per poter supporre che lei sia tra di loro. Non glielo spiegherebbe, non glielo spiegherà, cosa significa far parte di quella famiglia. Nemmeno è più sicura che potrebbe, dopo tutto il tempo che ha passato lontana da loro...
    E non è quello il punto, perchè stella o libro o belva, o gran guerriera o viaggiatrice o cameriera. Cambia poco rispetto al messaggio che ha da darle, che è lo stesso che si dice dirà a chiunque altro nel corso di quell'anno le parlerà ancora, dell'evento a cui in fondo si convince di non voler più davvero sentir nulla.
    Di tutte le cose che hai elencato ne ho ben poche.
    Sorride di se, qualcuna ce l'ha, pensava le avrebbe avute tutte una volta scesa a terra e per un po s'è illusa che sarebbe stato facile. Ma poi ha visto, poi ha capito. E poco a poco s'è fatta strada nel fango come tutti, fortunata più di tanti perchè un cuore buono può più di uno feroce, abile perchè altre come lei si sarebbero perdute, prima di riuscire ad acciuffare anche uno spiraglio solo di felicità.
    Ma andando la, guadagnerei solamente il diritto a perderle.
    Rischiare per tutto, ed ottenere niente in cambio. Coi mondi interi a riversarsi verso quel nodo nevralgico di sangue, sudore, lame ed ambizione. Persino chi davvero riteneva forte, persino chi davvera riteneva degno, che possibilità avrebbe mai avuto di non essere schiacciato dalla massa di ogni disperato dell'universo?
    Lancelot l'aveva salvata da se stessa, Lancelot l'aveva trascinata via da Babilonia, e delle sue imprese aveva sentito cantare fino ad esserne quasi stufa. Non poteva davvero permettersi di dubitare, non la conosceva abbastanza da farlo, ma come credere che chi era tanto schiava dei propri bassi desideri non fosse anche serva, delle proprie debolezze?
    E Sol non aveva alcun dubbio, perchè lei c'era stata davvero, che se il Cavaliere fosse andato sarebbe morto. Che lei l'avrebbe perso, che lei l'avrebbe compianto. E se lui non ce la poteva fare, che speranze poteva avere chi nello sguardo non aveva un decimo, della sua bontà?
    Ai cadaveri non riservano granchè onori, sai?
    Solo dopo averlo detto distolse lo sguardo...solo dopo averlo fatto bevve ancora. Immaginava già si sarebbe arrabbiata, immaginava già non le avrebbe dato retta, e se qualcuno avesse mai davvero ascoltato i consigli di una stella anzichè quelli del proprio ego, il cosmo sarebbe stato un posto molto più pacifico e colmo di risate, anzichè di pericoli.
    Ma non le importava...o almeno poteva fare finta non lo facesse. Se l'aspettava un intero anno di discorsi simili, tantovaleva farsi gli anticorpi presto. La verità era che le spiaceva, che quello fosse destinato ad essere il loro ultimo incontro. Un tempo aveva creduto di dover protegger tutti, ma ormai lo sapeva che si poteva ritenere brava e fortunata, se di causa persa ne riusciva a riscattare anche soltanto una.
    La sua l'aveva scelta, aveva un altro nome ed era molto più pallida. Per lei poteva giusto fare un brindisi, e domandarsi quando si sarebbe ritrovata su un cucuzzolo simile, ad offrir sake e far baciare i calici in onore di chi non avrebbe definito un'amica, ma per cui lo stesso avrebbe pianto lacrime.
     
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    Ah.
    L'abbraccio del vento scompare, la maschera d'osso ed Ego si dissolve e il resto delle spine e scaglie si scioglie in filamenti di fumo sottile, come a soffiare su una candela. Sotto, il volto di Shura è di nuovo una maschera rigida di ossidiana, solo stavolta animata da ben altro rispetto al disprezzo e alla furia. Occhi spalancati, ancora due ovali perfetti, ma qualcosa nella gelida immobilità è scomparsa, sostituita da un vago tremore di incomprensione; le labbra non più una linea sottile, livida per la stretta, ma a crollare mollemente in una O appena accennata; le guance, peggio di ogni cosa, a scurirsi rapidamente, l'ebano invaso dal rosso del sangue e della sorpresa e dell'imbarazzo, a tracciare una lunga macchia più simile al color del vino che le riempia il viso intero.
    Nel complesso, che figura di merda.
    Si ma... beh allora... cioe... E NON POTEVI DIRLO PRIMA?!
    Soffia, di nuovo più simile al gatto a cui assomigliava tanto quando se ne restava distesa sulla cima del castello, fin troppa furia in quel grido, fin troppo stridula la voce con cui lo spinge oltre le zanne, ben lontana da quella calma, profonda e misurata che aveva tentato di usare prima. La mortificazione fin troppo evidente, e la sua stessa evidenza a peggiorare l'imbarazzo, lo scatto con cui arretra dalla Stella appare viscerale, lo spingersi fino al bordo del tavolo, voltarsi e stringersi le gambe al petto.
    Stupida, che stupida, fottuta idiota.
    Non importa. Non dovrebbe importare. Non c'è una sola ragione per la quale prendersela così: che diavolo avrebbe dovuto immaginare a vederla tutta carina e sbrilluccicante a servire quei tavoli, pattinando da una parte all'altra del Ramo lasciando bevande e raccogliendo sorrisi, baci e preghiere? Perché mai avrebbe dovuto pensare fosse la dannata... cameriera, aiutante, Oracolo, quel che fosse. E in ogni caso che importanza ha mai?!
    Ha ragione comunque. Certo che ce l'ha. Va bene, non è la Dea, ma cosa vuoi che possa capirne la prima serva di quella stessa Dea di quel che stanno parlando, di quello a cui si stanno riferendo, come se fosse vero che non ha maestà, potenza e amore. Come se la capisse. Perché non capisci mai?
    Come se quel piccolo... inutile errore, avesse niente a che vedere con quello di cui stessero parlando! Ma no, ovviamente la stupida era lei, la piccola idiota, incapace di aprire la fottuta bocca e farne uscire parole a cui dare ascolto, a cui dare retta, a cui rispondere davvero e non con un grugnito e un alzare le spalle, e due volte stupida e piccola idiota lei per aver creduto ci fosse un qualche senso nel provarci. Che potesse riuscirci, che infuriarsi e infiammarsi a quel modo avesse senso, che qualcuno ammetta prima o poi di vedere quel che vede lei e di sentire quel che sente lei, e che non è stupida, non è idiota, è solo che vorrei capissi quel che dico.
    E... E NON CAPISCI COMUNQUE.
    Falle male.
    Non l'Altra, non una voce simile alla sua. Solo e unicamente la sua. Falle male, falla soffrire, falla arretrare, se parlare non funziona allora lo farà gridare e se gridare non funziona allora dovrai soffiare, ma strappale di dosso qualunque cosa la protegga e falla sanguinare. Non accettarlo e basta, non cadere e basta, non sei stupida.
    SE COMUNQUE TI IMPORTA DI CHI
    Falle capire.
    Perché non capisci, Padre?
    chi
    Di nuovo, fiamma che si spegne, qualunque scintilla stesse tentando di avvamparle nel petto e volesse rivolgere alla Stella muore con un sospiro, in un balbettio, nel sentirsi ancora una volta stupida e basta. Nello starlo dimostrando. Nell'aver insistito ad affrontare una battaglia di parole, una nella quale non ha armi capaci di funzionare, pensieri capaci di essere compresi o emozioni diverse dal terroreorrore a cui aggrapparsi. Qualunque cosa ci fosse a riempirle la gola, facendola tremare appena mentre prova a sputarlo fuori, qualunque cosa le invada la mente e gonfi il cuore, Shura lo spegne. Lo fa a pezzi, con un sussulto appena.
    ... non importa.
    Stringe la presa sulle gambe, le ginocchia che affondano nel petto e il viso che con un ennesimo sospiro ci si va a poggiare sopra, i capelli una cascata di carbone a nascondere ogni cosa. Niente da dire, niente da obiettare. Cosa potrebbe spiegare? I suoi stessi pensieri sono un caos nel quale la sua voce, quella dell'Altra e quella di SuoPadre si sommergono a vicenda, poi si innalzano in un coro, infine provano a strangolarsi in un balbettio strozzato. No, non ha idea di come potrebbe spiegare che morire non importa, non importa, non è importante davvero, non è niente di grave, perché vivere non è davvero niente di speciale e non ha senso avere così tanto a cuore una vita che nessuno piangerà, che nessuno ha mai desiderato e nella quale non è stata in grado di dimostrare niente, nemmeno di meritarla. Non importa quante occasioni di farlo suo Padre le abbia dato, mai in nessuna di esse è stata in grado di dimostrargli che si, valeva la pena averla fatta esistere.
    E come spiegarlo, poi. Senza parole capaci di essere ascoltate, parole che non si infiammino di furia e che non si ricoprano di spine e lame, parole che siano la cosa giusta al momento giusto, invece che un miscuglio rovente di emozioni e sangue. Oh certo, con una dolce preghiera, una modesta supplica, di certo con una raffinata oratoria.
    No, davvero non importa.
    Perché dovrebbe. E perché mai dovrebbe farle male che la Stella non capisca. Che importa della Stella. Che importa di ogni cosa. E' solo... rabbia per l'imbarazzo, tutto qui. Non è dolore. Non è tristezza. Non è niente.
    Senti... mi servono delle informazioni, tutto qui.
    Guscio svuotato. Solleva il volto dalle proprie ginocchia, ma senza voltarsi di nuovo a guardarla. Eppure, gli occhi neri che ora rivolge alla stanza sono vuoti. Né luce, né furia, né determinazione. Solo un pozzo svuotato, neanche capace di apparire gelido, solo Sconfitto.
    E' certa di apparire Patetica tanto quanto ci si sente.
    Non pensavo Annie ne sapesse più degli altri su questa Lama, ma mi serve qualcosa da cui partire.
    O forse no, o almeno lo spera, considerato quanto il picco affilato che grida patetica si sia innalzato abbastanza da trapassare il cranio da parte a parte, nell'istante in cui si è resa conto che questa è la cosa più simile a una preghiera che potrebbe mai fare.
    Dicono che Adrenalina sia... Emersa? Che se c'è un Trono vuoto da riempire è perché è successo qualcosa allora.
    Di nuovo sospiro. Non abbassa la testa stavolta, ma solleva la mano, la stessa lorda del Sakè del suo bicchiere. Quando inizia a leccarne il palmo è difficile capire se sia per cercarne qualunque residuo o se abbia solo bisogno di fare qualcosa.
    Dimmi solo se sai qualcosa. Così potrò levarmi dai piedi e andare a farmi ammazzare.
    Per Favore. E' dove dovrebbe dirlo, è quasi certa che sia qui che andrebbe.
    Eppure lo è anche che non importa quanto patetica e idiota si possa sentire, preferirà comunque andarsene a mani vuote e senza risposte piuttosto che farlo. Piuttosto che concedere altro.
    Non dopo che ha già abbandonato qualunque fantasia di lotta avesse in mente.
     
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