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Postcards from Carcosa

Coordinate Attuali: 23

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    { Saloon alla Fine dei Tempi }
    Ginny Deathface

    Senti le note della vecchia pianola risuonare tra le assi di legno, scandite dalla rotazione ritmica del rullo di carta perforata. L’autopiano riproduce in maniera meccanica i brani che un tempo allietavano il saloon, battendo i martelletti azionati pneumaticamente secondo l’immutabile spartito. Le melodie si ripetono ciclicamente, diffondendo nel locale una musica allegra dal retrogusto nostalgico.

    In quella fotografia sbiadita in bianco e nero c’è un solo soggetto: Ginny Deathface, la Mietitrice di Vendetta, seduta al bancone con davanti un buon bicchiere di whiskey ingiallito dall’aroma tostato. Solo la tenue luce di una lampada ad olio rischiara appena la penombra, riflettendosi sulla polverosa cassa a manovella e sulle bottiglie vuote allineate sui ripiani. L’orologio a pendolo in un angolo è immobile e ha le lancette fisse sulla mezzanotte. Nessun barista sta davanti a te a pulire i bicchieri, né tantomeno altri avventori avvinazzati ti tengono compagnia.

    Il motivo?
    Sono tutti morti.

    Tutti - dalla prima ameba unicellulare all’ultimo titanico leviatano - hanno smesso di esistere. La morte termica dell’Universo ha infine fatto il suo corso, spegnendo anche l’ultima scintilla di vita che stava strenuamente sopravvivendo malgrado il buio infinito e la gelida solitudine che ormai imperavano nel cosmo da chissà quanti miliardi di anni. Forse stai brindando proprio alla memoria dell’ultimo essere vivente, o magari alla tua tanto agognata pensione?

    Senza più anime da mietere, anche la Morte può finalmente riposare: dopo aver assaporato un ultimo goccio di liquore, avresti potuto appendere al chiodo il tuo revolver e uscire di scena discretamente – mettendo le sedie sui tavoli, spegnendo la luce e chiudendo a chiave l’Universo prima di andartene.

    Fuori dal saloon il vuoto siderale sbadiglia in attesa dell’ultimo evento della Storia.
    Un ultimo sorso e poi sarà tutto finito.



    { Casa D. }
    D.

    L’ora della colazione è sempre la più tranquilla: mentre fuori la città ancora dorme, il lieve chiarore dell’alba fende gentilmente la camera da letto, disegnando spicchi di luce in cui aleggiano pigramente i granelli di polvere. I frugoletti nella stanza a fianco dormono ancora della grossa, perciò il signor D. può godersi ancora per un po’ il tepore delle coperte e il materasso soffice – dopotutto è il tuo giorno, te lo meriti.

    Poco dopo, il risveglio profuma di caffè macinato,
    quando Lei si avvicina per svegliarti con un bacio.

    «Buongiorno, amore!»

    Ti mormora all’orecchio con la dolcezza che hai imparato ad amare. Tra le mani regge un vassoio con una tazza fumante e dei biscotti appena sfornati. Il suo sorriso smagliante t’incanta a tal punto da richiedere un pizzicotto sulla guancia per riscuoterti.

    «E buon compleanno!»

    Appoggia il vassoio con la colazione sul tuo grembo e si siede al capezzale per celebrare insieme l’inizio di questa giornata tanto importante. La guerra ormai è un ricordo lontano: la vita vera ha ripreso a scorrere anche per un veterano del tuo calibro, grazie soprattutto alla vicinanza di quella donna tanto speciale e ai frutti del vostro amore che ancora ronfavano al di là della parete, concedendovi qualche prezioso istante di pace da soli.

    «Ti ho preso una cosuccia, spero che ti piaccia.»

    Ti porge un pacchettino avvolto in carta da regalo dorata, che a giudicare dalle dimensioni dev’essere un libro. La ragazza conosce bene il tuo debole per la lettura, deve averti confezionato proprio un bel dono: non ti resta che aprirlo e immergerti nelle sue pagine, immortalando quell’attimo di gioia condivisa con la tua dolce metà.

    Non c’è nient’altro di valore all’infuori di questa beata quotidianità.
    Apri quel presente e rendilo perenne.



    { Focolare della Speranza }
    Jekt

    Il freddo pungente della notte non è poi tanto male con qualcuno al proprio fianco con cui festeggiare. La birra scorre a fiumi e i canti riempiono l’aria notturna, mentre un accampamento illuminato dalle stelle risplende come un falò nel buio. L’odore di legna bruciata arriva fino in cima al colle in cui ti sei appartato per goderti quella serata in serena solitudine, ai piedi di un’antica quercia abbarbicata sull’altura.

    I bagordi di quella sera accolgono una notizia tanto lieta quanto insperata: la guerra è finita, finalmente tutta la compagnia potrà tornare a casa l’indomani. Quel conflitto che fino a ieri pareva inestinguibile si è infine consumato come uno stoppino, affrancando tutti gli uomini e le donne di ventura richiamati dallo sforzo bellico; senti in lontananza i soldati inneggiare alla pace in cori goliardici mentre cozzano i boccali schiumosi tra un brindisi e l’altro.

    «Perché non stai riposando? Non ti riprenderai mai dalle ferite stando qui fuori.»

    Appoggiata al tronco noti una compagna d’armi, un po’ più speciale degli altri. Chissà da quanto tempo è lì con te a contemplare il panorama? La sua apprensione nei tuoi confronti è genuina, tanto che si china per esaminare le tue fasciature e sincerarsi che non abbiano ripreso a sanguinare: al suo sguardo certosino non sfugge un taglio che si è riaperto e sta macchiando le garze.

    «Non muoverti, lascia che ti spalmi questo.»

    Regge in mano un sacchettino di iuta contenente un unguento giallognolo, che riluccica nell’oscurità in maniera diversa da qualunque altro preparato erboristico. Le sue dita gentili intinte nella pomata promettono conforto e guarigione, quell’analgesico miracoloso farà sicuramente svanire il dolore e rimarginerà ogni piaga.

    Quel paesaggio fiabesco sancisce la conclusione di ogni battaglia.
    Cicatrizza quelle ferite e smetti di soffrire.



    { Colle Punta Nera }
    Ka-Blam

    In cima alla collina sacra si erge un tempio dedicato al Dio del Fulmine che secondo le leggende dei goblin aveva raggiunto l’apoteosi proprio su quella sommità. Oggi in particolare ricorre la festività del Parafulmine, che commemora l’estasi divina raggiunta dal sommo Ka-Blam quando una saetta lambì il tuo corpicino bitorzoluto.

    Ai piedi del santuario una moltitudine di goblin è accorsa per invocare la tua tonante misericordia. In ogni direzione si estende una folla di nanerottoli variopinti e scalpitanti che acclamano il tuo nome a gran voce.

    Ka-Blam! Ka-Blam! Ka-Blam!

    La preghiera fa tremare la terra al pari di un gigantesco tamburo rituale, fragoroso come il tuono di cui sei latore. L’affluenza di fedeli da ogni reame dei goblin è dovuta alla presentazione speciale che avverrà proprio al culmine della liturgia: un gigantesco idolo d’oro scolpito a tua immagine e somiglianza, forgiato appositamente per accoglierti al suo interno e amplificare i poteri della tua folgore per consentirti di dominare il Gorgo del Maelstrom, l’Eterna Tempesta Pandimensionale che stando al mito infonde la propria energia a tutto il Multiverso.

    Non può esistere potere più assoluto del substrato vorticante della realtà.
    Fonditi col totem e ascendi all’eternità.


    Turnazione libera, per dubbi o domande sapete dove trovarmi.


    Edited by r a v - 5/2/2023, 00:22
     
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    dalla stella che brilla di meno...un BUCO NERO O_O

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    Hmpf.
    Non è la prima volta che gli accade. Non è la prima volta che si risveglia ad occhi aperti, nessuna nozione di dove sia o come ci sia giunto. Stringe un boccale, sarebbe facile dare a lui la colpa. Ci si specchia, sperando come ogni altra volta di vedere qualcosa di diverso del riflesso che da troppo tempo è giunto a odiare.
    A rispondere al suo sguardo un'ombra intensa, proiettata dal cappuccio che ancora una volta occulta le sue orrende fattezze. Ad animarlo un bagliore vago, di brace appena desta, forse sazia di quanto compiuto. Forse disgustata, quanto lo è lui, delle voci che ode ai piedi del colle su cui s'è arrampicato per esser solo.
    Una guerra è finita, uomini e donne festeggiano la pace. Forse sono meno stolti di quanto non creda, forse hanno ragione nel credere che nel corso delle loro brevi, insulse vite non dovranno più affrontare l'orrore della battaglia. Questo dovrebbe forse farlo stare meglio? Dargli motivo d'unirsi ai bagordi, di bere ed inneggiare a ciò che lui invece non conoscerà mai?
    C'è sempre un'altra guerra. La fiamma non può spegnersi, ne quella che nel suo petto ha scavato la propria tana ne quella che arde dall'alba nei tempi nel cuore d'ogni uomo che abbia mai assaggiato il potere. Forse loro moriranno nei propri letti, circondati dai propri cari e non dai cadaveri di chi ha lottato al loro fianco. Quando accadrà, lui starà ancora lottando. Quando accadrà, lui li avrà già scordati tutti.
    Eppure non è così che è abituato a risvegliarsi. L'uomo scompare quando il falò prende il sopravvento, quando non è lui ma il demone che lo abita a stringer le sue spade e portar le vampe per cui entrambi son famosi. A fermarlo, a renderlo sazio e soddisfatto quanto basta a relegarlo al sonno, nient'altro che l'odore della cenere. Quante volte ha aperto gli occhi in scenari diversi, resi identici dall'aspro olezzo della carne arsa. Quante volte s'è ritrovato immerso in tale quieta polvere, nient'altro che silenzio ad accompagnare i lievi passi con cui ha abbandonato il luogo dell'ennesimo, rovente massacro.
    Potrebbe godersi la novità, lasciare che le grida lo contagino. La fiamma tace, il suo stomaco non gorgoglia. Non durerà a lungo, non lo fa mai. Quelli sono i suoi rari attimi di pace ed odierebbe sprecarli così, non fosse più che certo che qualcosa non vada.
    Non conosce quella donna. Il cuore sobbalza nel vederla, gli occhi sono rapidi nel cogliere le differenze che la allontanano da colei che da fin troppo tempo cerca. I capelli altrettanto scuri ma certamente troppo corti, l'incarnato non a sufficienza pallido, le labbra ne piene ne rosse quanto dovrebbero. Vede il suo viso, questo basta a dirgli che non è lei. E ciò nonostante accetterebbe il suo tocco, lascerebbe che le sue dita lo sfiorino, se solo quell'orrenda sensazione di orrore non brulicasse sulle sue tempie. Se solo il colore di quell'unguento non fosse così vivido, così innegabilmente sbagliato.
    No.
    Non si muove per respingerla, tutto l'opposto. I muscoli improvvisamente tesi, le mani serrate come stringessero ancora l'impugnatura delle sue lame. Una vampa di calore dovrebbe esser sufficiente a dissuaderla, non la brucia ma lascia che delle fiamme tema il tocco. L'erba ai suoi piedi secca e muore, basterebbe così poco per dare inizio ad un falò vero, diverso dai molti attorno a cui quegli uomini festeggiano la propria insulsa pace. Si trattiene...perché? Sono poi diversi da quelli che è quasi certo d'averli aiutati a sconfiggere, meno meritevoli del rovente abbraccio dell'inferno di chiunque altro ne sia mai stato consumato?
    Il dolore...
    E' ferito, quando mai non lo è. Combattere significa questo, e se lui è ancora in piedi è più che certo non esser colui che ha avuto la peggio negli scambi in cui le sue spade l'han guidato. Sfiora la ferita aperta, lascia che due dita si intingano appena del suo sangue antico. Conosce il dolore, è stato suo amico a lungo. Fosse solo forse se ne infliggerebbe altro, nella speranza che le sue fitte lo aiutino a ricordare gli istanti in cui la sua carne è stata violata da qualcosa di più freddo delle lingue a cui troppo spesso la consegna.
    ...mi aiuterà a ricordare.
    Beve piuttosto, si concede un sorso da quel boccale. L'alcol ha l'effetto opposto a quello della sofferenza, ma quella birra non è nulla rispetto al liquore con cui è solito stordirsi. Eppure solo dopo aver bevuto gli sovviene che forse, dopotutto, ciò che ha detto non è vero. Che forse, dopotutto, provare a farlo ha meno senso che fissar quell'orizzonte finché non ne sarà stanco e solo allora decidere se ridurlo in cenere o voltargli le spalle, avviarsi altrove. Svanire perché non è la pace a far per lui, ed il riposo di quei soldati non potrebbe fare altro che rovinarlo. Le fiamme li raggiungeranno prima o poi, il loro destino quello di consumare ogni cosa. Non quella notte, però. Non a causa di quella donna, forse.




    Maledizione della Prima Fiamma

    9tyTGkz

    Nel momento in cui tutto iniziò, mentre la sua vita stava per finire, consumata da Fiamme pronte a divorarlo lasciando di lui solo che cenere...Jekt giurò. Giurò che se l'avessero lasciato andare, se gli avessero permesso di vivere...le avrebbe nutrite. Avrebbe offerto altri al posto suo, chiunque. Donò se stesso al Fuoco, purchè la tortura cessasse. Purchè la vita gli fosse risparmiata. Ed al di la di ogni aspettativa e miracolo...le Fiamme risposero, accettando la sua offerta. Smisero di morderne le carni, gettandovisi dentro ed impregnando ciò che rimaneva del suo essere con la loro essenza, trasformandolo in un simulacro vivente del loro potere e della loro Fame.
    Ora, il cuore di Jekt è una fornace. La sua anima un incendio, le sue dita strumenti di morte perchè le fiamme che il suo corpo mostruoso vomita obbediscono ai suoi ordini, si lasciano guidare dalla sua volontà facendogli da spada e da scudo, da manto e da armatura, da compagne...ed aguzzine. Perchè c'è un solo comando a cui non risponderanno mai, per quanto il Rosso si possa sforzare a gridarlo: "Lasciatemi andare". [Manipolazione Lv4 - Personalizzazione: le Fiamme bruciano intense, tanto da provocare danni paragonabili a quelli prodotti da un'abilità di Forza di un Lv inferiore rispetto a quello di questa Manipolazione.]





    La vampa di calore con cui Jekt tenta di dissuadere la donzella ad avvicinarsi è una debole manifestazione della sua abilità Maledizione della Prima Fiamma!
     
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    Non credeva sarebbe mai finita davvero. Non così. Non in quella assurda, silenziosa pace.
    Morte ha dunque fallito, il suo piano di soppiantare l'ordine naturale delle cose in virtù dell'amore che l'ha reso folle capitombolato di fronte all'inevitabile a cui neppure un dio può davvero opporsi.
    Ginny...aveva combattuto affinché andasse così. L'aveva fatto? Ne era certa...eppure alcun ricordo d'una grande battaglia sovveniva alla sua mente, alcun immagine dell'apocalisse inversa riempiva i suoi occhi, nel tentare di rimembrare.
    Forse era naturale. Forse, alla fine di tutto, persino i ricordi erano destinati a morire.
    La fine è pace, questo i mortali non l'avevano mai capito davvero. Troppo avvolti dall'intreccio delle loro brevi vite, troppo aggrappati a quanto di terreno e per questo vano avrebbero potuto possedere, per intravedere la quiete che li avrebbe attesi quando ogni brama sarebbe stata finalmente lavata dalle brezze leggere che spiravano nel Giardino.
    Quella la forma dell'anima del mondo, quello il luogo ove il riposo si trasformava in rinascita, la crescita in espiazione. Eppure, Ginny giunse a pensare solo in quel saloon alla fine di ogni cosa, nessun terreno rimane fertile per sempre. Molte Morti si erano succedute nel ruolo di giardiniere, molti mietitori le avevano servite, trasformando in nuovi semi i greggi d'anime a loro assegnati. Sapevano, almeno loro, che un giorno anche il loro compito non sarebbe più servito? Che infine anche l'ultima Morte avrebbe incontrato se stessa, svanendo nel nulla che antecedeva tutte loro?
    Ginny aveva amato le storie. Quelle che i mortali intonavano pregandola di portare Vendetta dov'era necessaria, quelle che un Corvo ed un Coyote le avevano raccontato mentre assieme si illudevano di fuggire da ciò che paziente, molto tempo dopo li avrebbe raggiunti. Quelle che aveva vissuto in prima persona e le molte a cui si era sottratta, e tutte quelle che pesavano sulle spalle di coloro che aveva potuto chiamare amici, o compagni, ed anche chi alle loro fila s'era sempre rifiutato di unirsi.
    Fin da quando piccola e sola, bambina dispersa nella grotta ove le anime dei defunti attendevano il permesso di entrare nel Giardino, aveva scoperto il mondo al di fuori di quella cupa roccia solo grazie alle vicende che i mietitori più gentili le narravano. Fin da quando aveva scoperto come al suo vero padre, non la Morte a cui era stata affidata ma l'uomo che si faceva chiamare Volpe e vagava per il deserto accompagnato da un piccolo avvoltoio spelacchiato, poche cose piacessero più che cantarne al suono della sua stonata chitarra.
    Ma ora non era rimasto più nessuno, ne ad ascoltarle ne a sentirle.
    Roteando il bicchiere di whisky tra le sue dita, la Vendetta sospirò allungando il proprio sguardo oltre il bancone innanzi a lei, rimpiangendo che non fosse stata Annie a servirglielo. Se tutto era defunto, anche lei doveva infine avere esalato il suo ultimo respiro. E senza il suo calore, e quello del rifugio che tanto a lungo aveva dato ad ogni animo curioso abbastanza da avventurarsi lungo le vie che portavano da un mondo all'altro, era poi così strano che anche tutto il resto si fosse spento presto, raggiungendo il gelido vuoto che attendeva anche lei oltre la soglia dell'ultimo saloon?
    Lei era ancora li, chissà perché. Forse aveva a che fare con le promesse che sua madre era riuscita a strappare a Morte prima di consegnarsi a lui, forse i suoi piedi erano sempre stati troppo veloci, persino per il suo stesso bene. Essere l'ultima non le piaceva, eppure in qualche maniera lo era divenuta. Non aveva intenzione, però, di rimanere a lungo tale.
    Il titolo le sarebbe appartenuto per sempre, se il tempo avesse avuto ancora un significato senza nessuno a percepirlo. Ma a lei, presto, non sarebbe più potuto importare.
    Bevve il suo whisky, in un sorso soltanto perché pochi quanto lei potevano sapere quanto inutile fosse rimandare l'inevitabile. Cercò nelle proprie tasche, trovando una moneta dorata che scagliò col pollice sul bancone, a dimostrare la gratitudine per tutto il tempo che aveva vissuto e tutto ciò di cui in tale periodo aveva fatto esperienza.
    Infine si voltò, ed incamminò. Verso quel vuoto che l'attendeva oltre la conclusione d'ogni cosa, ed in cui anche lei sarebbe svanita, godendosi finalmente il sonno che tanto a lungo si era negata.
     
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    Le forze del bene hanno cannato e andare tutti a farvi fottere.

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    "Anf...!"
    Seguendo con la coda dell’occhio quella cosa che continua a sfuggire, sempre a sfuggire, dormire risulta impossibile. Perché quella cosa era lì anche mentre chiudeva le palpebre. Non importava quanto stanco fosse, quanto volesse che finisse, non si arrivava mai a un rilassamento sufficiente. Figuriamoci il torpore del sonno. Fu un motivo perfetto perché nel suo cervello scattasse l’allarme. Talmente poco abituato al percepire il suo corpo in stato di riposo, il pistolero scattò come una molla. Prigioniero di un letto, sentì il suo stesso respiro scivolare lungo un comodo cuscino. Quasi un episodio di paralisi del sonno, la sua mente era sveglia e tesa come sempre. Al suo corpo sarebbe servito più tempo.
    E questo, lo straniva e spaventava ben più dell’idea che ci fosse qualche mostro nell’angolo in ombra della stanza. Ma quel mostro non c’era, solo la sensazione di claustrofobia. I suoi muscoli come una gabbia. Riuscendo a muovere gli occhi, vide una fredda alba entrare dalle finestre.
    Una normale camera da letto.
    La sua mano ci mise molto a muoversi, più di quanto l’avesse mai vista fare, ma l’istinto era ancora lì: cercò sotto il cuscino, e poi sui propri vestiti, il tocco confortante di una pistola. Cosa diavolo stava indossando? Come era arrivato lì? Non ricordare come fosse giunto in quella situazione così calma bastava e avanzava a invertire detta calma in panico, eppure…
    Sono a casa, pensò.
    A casa, e di là ci sono i bambini. Gli venne naturale pensarlo, come un dato di fatto. Un’abitudine. E non era abbastanza lucido da analizzare come si deve la cosa, solo dissonante, stranito dal fatto che ricordava fin troppo bene quanto questo non potesse essere possibile.
    Eppure adesso era lì.
    Adesso stava a rotolarsi in un letto come un uomo normale, nella casa di un uomo normale. Fece il tentativo di alzarsi a sedere ma avrebbe fatto meglio a rimanere dove stava visti i battiti che perse, quando la vide entrare in camera.
    Non… non poteva essere. Non…
    Il pistolero restò con gli occhi spalancati e il fiato corto, nel guardare sua moglie che gli dava il buongiorno. Tremò di freddo, quando quelle labbra ne sfiorarono l’orecchio.
    Non era possibile. No.
    Con la paralisi del sonno arrivata mentre era ormai già sveglio, non riuscì nemmeno a impastare una parola. E tutti quei bei pensieri che aveva fatto, capire dove fosse, capire cosa stesse succedendo, tutto scordato. Il pistolero fissò il vassoio posato sulle sue ginocchia, e poi fissò lei.
    Nel silenzio più totale, non riuscì a capire.
    Do… dove…
    Lacrime calde avevano già preso a scendere.
    I-o...
    Fa qualcosa, era Lei, forza muoviti, ma era Lei, dì qualcosa, era Lei?
    Forse… forse era un altro degli scherzetti di Neafres, che ancora ci provava ogni tanto ad assumere quelle forme per punirlo. Avrebbe reagito al solito modo mettendole una mano attorno al collo. Ma la guardava, e non coglieva nessun dettaglio che lo riconducesse alla succube. No, non aveva senso. Non con la sua testa, i suoi ricordi che gli dicevano chi fosse, e gli occhi che gli suggerivano di no.
    Che cos’era, allora? Dove era finito questa volta?
    Fece come faceva sempre per tornare lucido, prese un respiro. Ma non funzionò. Abbassò di nuovo lo sguardo, allora.
    Il caffè.
    Mai piaciuto il caffè, ma immaginava fosse uno dei malus di aver sposato un'italiana.
    Lo avrebbe accettato, ma la sua italiana non sapeva fare il caffè, cosa per cui lui la prendeva sempre in giro quando gli diceva di volersi aprire un bar. La sua italiana non mai stata capace nemmeno di cuocersi un uovo sodo, le razioni militari smangiucchiate come merendine e il divieto di avvicinarsi a meno di quattro metri dai fornelletti da campo. Figuriamoci se fosse stata in grado di sfornare biscotti. La sua italiana aveva bisogno di qualcuno che le impedisse di addormentarsi durante i turni di guardia, e adesso si era alzata all’alba per preparare del…
    La guerra è finita, gli dissero i suoi ricordi. Ma non li riconosceva. Buon compleanno.
    G-Grazie.” le disse. Doveva toccarla. Sentire se sotto le sue dita quella pelle era la pelle che ricordava, se quel viso fosse come quel viso che non avrebbe mai più toccato. Mai più baciato.
    Iniziò cautamente, con le dita. E senza accorgersene, si ritrovò a sfregare quella guancia contro la propria.
    Buon compleanno, il pistolero non aveva mai avuto un compleanno. Solo una vaga idea di quanti anni dovesse avere sulle spalle, perché lo staff del carcere in cui era nato erano venuti a sapere di lui parecchi mesi dopo che quella malcapitata di sua madre l’aveva messo al mondo. E onestamente, nella maggior parte dei casi era così fatta da a stento ricordarselo, di avere un poppante nascosto in cella.
    Avrebbe avuto molto da fare, e invece non fece niente. Se non restare lì, lui e il suo cuore spezzato, a guardare ciò che aveva di fronte cercando di ritrovare una traccia di Lei.
    Il mio… il mio ferro…
    Gli aveva regalato qualcosa. Una confezione gialla, vagamente dorata. Gli cadde lo sguardo. Era quasi fastidioso, guardarla. Lei non gli avrebbe mai regalato dei libri. Lei se la prendeva sempre perché a lui non era mai piaciuto leggere.
    Solo dopo averla persa. Solo dopo aveva iniziato a farlo. Solo dopo.
    Lo hai spostato tu? Non ricordo dove l’ho… dove l'ho...
    Quante volte aveva… aveva pregato. Troppe, troppo a lungo, che fosse tutto un sogno. Prima di realizzare che tutto era Reale e non c’era via d’uscita. E come già detto da qualcuno prima di me, lui Non conosceva quella donna.
    Una signora che cucinava biscotti e si svegliava presto. Una moglie che qualunque uomo vorrebbe, di ritorno dalla guerra.
    Le somigliava. Il suo calore, la sua voce.
    Ma il pistolero non aveva mai chiesto questo da lei, non aveva mai amato questo di lei. E anche se i ricordi gli suggerivano il contrario, questa non poteva essere lei.
    E allora si chiese se fosse non fosse lui il problema. Se, fosse successo prima quello che stava succedendo, lui non avesse accettato l’inganno. Quante volte si è rifiutato di condividere quella storia. Nessuno avrebbe capito. Nessuno avrebbe potuto aiutarlo.
    Perché comunque, la ragazza era morta.

    CITAZIONE

    jpg
    Paranoia [Supporto, lv23]
    I suoi occhi sono aperti. Ed ora si muovono freneticamente, come se stessero sognando, ma è Tutto Reale e non c’è via d’uscita. Perché questa sensazione? Perché non riesce più a dormire? Qualcosa gli sfugge, come nascosta da un velo. Aguzza la vista, e quella scappa. Continua a guardare, continua a cercare, il velo lentamente si scosta. È incredibile quanti dettagli ci da il mondo, quante cose capiremmo, se solo facessimo attenzione. Più osserva più comprende, e la sua mente riesce a scavare attraverso la verità ottenendo sempre più informazioni sulla natura degli eventi che ha di fronte. Forse è solo il delirio di troppe notti senza sonno, forse è la chiave della mira infallibile del pistolero, che sa sempre dove colpire e dove andare, senza nemmeno spiegarsi Perché. Ovunque i suoi occhi si posino D cerca di capire in che sogno è finito, ma il tessuto della realtà è ingarbugliato e caotico, il senso continua a sfuggirgli.
    O forse sta solo impazzendo.
    [Supporto: permette a D di ottenere informazioni su ciò che osserva, come se ne leggesse l’Upload. Più lunga è l’osservazione, più D riesce ad ottenere informazioni. Malus: la potenza dell'abilità è di 1lv inferiore. Bonus: la durata dell'abilità è di 1lv superiore .]

    Illuminazione (x2)
    Forse un lampo di genio, forse una totale idiozia, la mente di D non è nuova a improvvise idee e rivelazioni che sembrano giungere apparentemente dal nulla, in un procedimento che lui associa al "centrare il bersaglio", anche solo in senso metaforico. Serve la soluzione di un enigma? Ecco la geniale e inaspettata comprensione dell'indovinello. Cerca di capire cosa c'è nella testa del suo interlocutore? Beh, dedurlo potrebbe essere ben più facile di quanto pensasse. Gli basta chiudersi un istante o due su ciò che ha dinnanzi perché la sua intuizione lo colpisca come una folgorazione: gli occhi si sbarrano e la bocca si apre in un'espressione da completo imbecille, ma la Verità gli viene infine rivelata... Certo che comprenderla, quello sì che è un capitolo a parte.

    D ne sa abbastanza da capire immediatamente che non è la sua donna quella che ha di fronte – è un tratto piuttosto centrale del pg quello di sapere che non la rivedrà mai più, leggi pure qui per maggiori dettagli, altri li trovi in scheda. A questo punto, cercando di ignorare il tuffo al cuore che gli è venuto col trovarsi di fronte qualcuno che gliela ricordi così tanto, si chiede cosa sia: Paranoia dovrebbe iniziare a dargli qualche informazione ora che la fissa – Paranoia non rende immuni da illusioni e inganni, ma può comunque dare suggerimenti sulla loro natura in caso se li trovasse di fronte – e ha persino rincarato la dose con un doppio cast di Illuminazione, nella speranza che gli Dei Esterni facciano qualche miracolo per intuire cosa sta succedendo.
     
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    Ka-Blam



    Schermata_2022-12-10_alle_17_1





    Gloria e giubilo per il grande Dio del Fulmine Goblin: Ka-Blam!
    Una folla sconfinata di suoi simili si estendeva sotto il Colle Punta Nera, lì dove aveva ottenuto il suo titolo, i suoi poteri e il suo senso sopraffino per le liquirizie.
    Tanti esseri come lui ma senza abilità degne di sorta, lo guardavano con adorazione e riverenza, sapendo bene su chi avrebbero avuto pensieri poco puliti una volta giunti nelle loro dimore.

    "Popolo mio!"

    Il linguaggio grammaticalmente corretto fece tuonare il mare di persone davanti a sé. La terra stessa vibrò per tutta la durata dell'ovazione.
    La grande statua d'oro, con le sue fattezze, si inalzava verso il cielo, tanto alta e solida da sembrare una delle colonne adibite a reggere la volta celeste sopra le loro teste.
    Ka-Blam alzò dapprima una mano e poi due dita a formare il simbolo universalmente conosciuto come "Vittoria".
    Un'altra serie di urla indistinte prese volume, facendo sì che alcune teenager svenisero dal forte rumore.

    "Oggi sono qui per aumentare ancora di più il mio potere! Con questa statua d'oro il Multiverso tremerà e il Maelstorm non sarà più un problema"

    Maelstorm ...
    Aveva già sentito quel nome tempo addietro.
    Ma da chi?
    La mente, bibliotecario sapiente, si mise a cercare il giusto tomo tra le pieghe della sua ingarbugliata e confusionaria mente.
    Sempre più delineati, una serie di contorti riguardanti un giovane ragazzo umano, avevano iniziato ad avanzare.

    "Raggiungeremo vette altissimissime ...", la tempesta eterna se lo era portato via, "... nessuno fermerà più il nostro popolo ...", eppure lui era tornato per salvargli tutti da quel mondo prossimo alla morte, "... faremo vedere a chiunque chi sono i ...", lo chiamavano Karakuriki ed era stato il Re durante la Vera guerra, "... GOBLIN"

    Ka-Blam si voltò a guardare la statua e poi il suo popolo, la sua gente, i suoi amici e fedeli.

    Erano passati mille anni da quando se ne erano andati via tutti quanti.

    Aveva discusso molto con Huk-Millar, quel vecchio Goblin dall'animo draconico più vecchio anche di lui. Gli aveva detto che sarebbero andati tutti quanti su di un certo pianeta, brulicante di vita e privo di guerra. Il Goblin-Drago si era impossessato del corpo del ragazzo, dopo che quest'ultimo lo aveva attaccato.
    Il Dio del Fulmine aveva sghignazzato e aveva detto che sarebbe rimasto a guardia del mondo se fossero mai tornati. Nessuno però tornò mai su i suoi passi.

    Iniziò a pentirsi molti anni dopo per la sua scelta. Sarebbe dovuto andare anche lui, abbandonare quel mondo al lento passare del tempo.
    Un Dio senza fedeli è solo una manciata di leggenda sabbiosa, che i millenni disperderanno nel vento.

    "Starò sognando di nuovo. Chissà se mi ricorderò di questo sogno quando mi sveglierò!"

    Diede infine le spalle al suo popolo che ancora esultava.
    Cercò Giannantonio nella speranza di potersi sentire più leggero: il suo mattone da terapia preferito.
    La statua con le sue fattezze iniziò a giudicarlo con il suo sguardo immobile ma scrutatore al tempo stesso. La cosa però gli rimbalzò su quella vecchia pelle dura.
    Non era altro che un vecchio Dio senza più fedeli e forse si meritava di vivere quella situazione che di reale, almeno per lui, non aveva nulla.

     
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    { Carcosa, Baia dei Sogni Infranti }
    Jekt | D. | Ka-Blam

    Potevate essere felici.
    Avvolti dalle vostre fantasie più confortanti avreste potuto abbandonarvi all’utopia, un ideale che ha disparate forme ma una comune matrice: la fine delle afflizioni, il coronamento dei desideri, la realizzazione dei sogni. Avevate a portata di mano la chimera rincorsa da ogni mortale, tanto vicina da poterne assaporare le carni – saporite come l’ambrosia e assuefacenti come l’assenzio.

    Nonostante ciò, avete rigettato quel nettare divino, ribellandovi all’abbraccio dell’estasi.
    Avete scelto di squarciare il velo per scrutare ciò che nessuno dovrebbe mai vedere.
    Avete deciso che un’immonda verità vale più di una vita priva di sofferenza.
    Perciò ora voi soffrirete, ma la verità non vi renderà liberi.
    Perché siete stati in trappola fin dal principio.

    Vi risvegliate riversi sulla battigia di un litorale frastagliato, spiaggiati su di una costa ignota disseminata di relitti arrugginiti. Udite lo sciabordio delle onde che vi hanno trascinato a riva, ma stranamente non siete fradici né intirizziti. La spuma dei flutti vi scivola addosso impalpabile come le nuvole e nessuna corrente di risacca minaccia di trascinare al largo i naufraghi. L’oceano infinito che si staglia alle vostre spalle non è fatto d’acqua, bensì vi ricorda una nebulosa sconfinata in cui ogni goccia è una stella – un mare cosmico attraversato dalle correnti dello spazio e agitato dalle onde gravitazionali.

    Il cielo plumbeo è tinto dalle sfumature di un tramonto binario e intravedete attraverso la bruma una coppia di soli rossicci prossimi al crepuscolo. Una ragnatela di saette giallastre incrina la volta celeste, fragile come una calotta di vetro sul punto di frantumarsi. Le folgori crepitanti sferzano le guglie di rovine aliene, i cui vertiginosi pinnacoli svettano oltre ogni logica architettonica.

    Intorno a voi vedete degli insoliti baluginii in quei lidi sconosciuti: immagini residue di genti delle più variegate fattezze lampeggiano per un istante prima di svanire; sagome sonnambule di creature umanoidi brancolano smarrite verso la metropoli; creature dalle forme indistinte strisciano come spettri nelle pieghe dello spazio.

    Gli unici figuri dai contorni definiti siete voi, perciò vi risulta facile notarvi a vicenda.
    Un ulteriore dettaglio che osservate è un’altra persona arenata sulla spiaggia, che probabilmente qualcuno di voi riconoscerà come Ginny Deathface. La Mietitrice di Vendetta vi sembra ancora addormentata e i suoi bordi sono sfumati, tanto che riuscite a vedere attraverso il suo corpo che sta diventando progressivamente traslucido. Per via di quella letargia anomala e dei suoi connotati molto più esangui del solito, vi rendete conto con orrore che… Ginevra sta morendo.

    Benvenuti a Carcosa.



    { ??? }
    Ginny Deathface

    Precipiti oltre l’uscio del saloon verso l’abisso siderale.
    Non hai saputo resistere all’invitante richiamo del baratro, la cui attrazione fatale ti ha fatto saltare dal ciglio del precipizio cosmico. Durante la caduta ogni direzione cessa di avere significato, perché ormai in qualsiasi verso ti possa muovere la destinazione resta la medesima. Non esistono più un sopra e un sotto, o un prima e un dopo: il tempo si amalgama in una melassa glassata, la voragine ti circonda da tutte le parti – perfino dentro di te, perché inizi a sentirti sempre più vuota.

    Il buio assoluto impera oltre l’orizzonte degli eventi, le tue pupille si rifiutano di concepire un’oscurità tanto abbagliante. Ma non devi preoccuparti, perché nel luogo verso cui stai andando non avrai bisogno degli occhi per poter vedere.

    Una nuova realtà si manifesta al tuo cospetto, un paradigma d’esistenza che esula dall’esperienza dei sensi. Nella ribollente spuma del vuoto gli universi nascono e collassano al pari di bolle gorgoglianti, mentre ogni possibilità si ramifica in linee temporali avviluppate e incolte come piante infestanti. In mezzo al caos frattale percepisci la presenza di entità insondabili che sfiorano questi viticci e li fanno avvizzire, drenandoli della linfa vitale distillata dalle rispettive potenzialità inespresse.

    Dinanzi all’essenza ultima del sogno la tua coscienza scivola verso l’oblio. Ti stai abbandonando al conforto del letargo, non più gravata dagli oneri del mietitore. Mentre il tuo ego si sta estinguendo per sempre, ti sovviene un antico adagio di cui non rammenti più l’origine, ma che si sta senza dubbio avverando oltre i confini dello spazio-tempo.

    Non è morto ciò che in eterno può attendere,
    e col volgere di strani eoni anche la Morte può morire.


    Dopo un incipit un po’ criptico, si comincia!
    L’avventura sarà concepita come un sandbox, in cui avrete modo di esplorare a vostro piacimento per cercare di scoprire di più sulle circostanze in cui vi trovate e per tentare di risalire a una via d’uscita da questo posto in cui siete intrappolati.
    Di seguito alcune informazioni di servizio:

    r a v: L’abilità “Paranoia” ti suggerisce che ti trovi effettivamente a casa tua con la tua famiglia. La tecnica “Illuminazione” t’inculca due nozioni agli antipodi: intuisci che ti trovi a “Carcosa” e che si tratta di una “dimensione dalle coordinate instabili” – qualunque cosa voglia dire.

    Death Itself: Il whiskey ti è rimasto sullo stomaco e conta come un’Abilità di Status di Livello 4 di avvelenamento: l’intossicazione provoca 20% di danni ogni turno, che si manifestano facendo diventare sempre più trasparente il tuo corpo. La condizione ha una particolarità, ovvero che i danni accumulati si realizzano effettivamente solo al raggiungimento del 100% dopo cinque turni – soglia in cui il tuo PG svanirà nel nulla.
    [20/100]
     
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    Le forze del bene hanno cannato e andare tutti a farvi fottere.

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    Se ti rendi conto di stare sognando, per prima cosa dovresti cercare uno specchio. In un sogno non esistono riflessi. Che stronzata. Nel rave ne aveva visti di specchi, e di fronte a uno ci aveva perso metà faccia.
    Il pistolero nemmeno sapeva dove aveva sentito quella voce. Ma istintivamente uno specchio lo cercò eccome. La visione di ciò che aveva di fronte che era sempre più vera, eppure sempre più Sbagliata nonostante fosse Reale, nonostante fosse Qui. Con lui. Il sapere di dover essere tranquillo contribuiva a farlo agitare ancora di più.
    Perché lei non rispondeva?
    Perché non lo prendeva in giro, come faceva sempre? Perché sembrava non capire?
    Le dita non trovavano alcun ferro sotto il loro tocco. Col respiro in gola, si rese conto di star stringendo il pugno sulle lenzuola.

    Chi sei, stava per chiederle. Ma il buio fu più veloce.


    -


    Ah…
    Lo sciabordare d’acqua nel suo orecchio lo ritrascinò sulla terra, il lato sfregiato del viso affondato tra l’acqua e la sabbia. Ma la guancia non era sporca, non sentiva il suo fianco bagnato, il materiale in cui affondava aveva una consistenza… vaporosa, che non era il termine più adatto ma fu il primo a cui pensò.
    Doversi svegliare due volte di fila a così breve distanza una dall’altra, non ci era abituato. Aveva avuto difficoltà a tirarsi su nel suo recente incubo, e di nuovo si ritrovò a faticare e ansimare, per girare sulla schiena quello che sentiva essere il proprio peso più quello di vent’anni passati sul divano a mangiare burritos.
    Fosse rimasto in quel letto, quella sarebbe stata la sua fine. Questo gli diceva il suo istinto. Perché ciò che aveva visto era reale. E lei…
    Lei era lì… era…
    … lei?
    Ah!
    Il pistolero si svegliò di colpo. Aspirando come chi è stato in apnea, roteando l’occhio libero. Prima di accorgersene, la mano sinistra era corsa dietro la schiena.
    Si chiuse sull’impugnatura di Cosmo. Aveva la sua pistola. Era di nuovo integro. Non senza difficoltà, riuscì a mettersi in piedi, piegato in due dallo shock. Il posto… dove si trovava… era solo? Ferito?
    C’era qualcosa attorno a lui, ombre. Il braccio venne teso, armato, prima che finalmente il suo cervello si svegliasse abbastanza da fermare l’istinto, e chiedersi cosa accidenti stesse facendo.
    Respira, pistolero. Riacquista il controllo.
    Erano… persone? Ma vedere era difficile, c’era qualcosa nei suoi occhi… no, non era vero. Erano loro. Semitrasparenti, sfuocati, quegli individui sembravano quasi fantasmi.
    Concentrati.
    Chiuse gli occhi, e gli costò più tensione del necessario rimettere Cosmo nella fondina. La mano non voleva staccarsi. L’altra si apriva e si chiudeva, bramando a sua volta di stringere il ferro.
    Si guardò attorno. Per prima cosa, capire cosa hai vicino.
    Non era l’unico corpo abbandonato sulla spiaggia. Ma forse era il primo ad essersi svegliato. Per un paio di minuti, il pistolero camminò lungo il bagnasciuga. Finché non si imbatté in qualcosa di familiare.
    Ma che cazzo…
    Capelli di quel rosso smorto, e un disegno sul viso per poter fare serata nei cimiteri. Era quella donna che aveva incontrato quando, quando, quando… ma si, aveva avuto una discussione con Lance – non ricordava granché, solo di aver avuto ragione – e Annie l’aveva richiamata per fare da paciere. Si chiamava…
    Ginny…?
    Ginny Deathface, avrebbe appreso più avanti, ricordandosi di lei durante una chiacchierata al Ramo.
    Che diavolo stava succedendo?
    Non che avesse prove, ma immaginava che non servissero. Il fatto che la pistolera sembrasse Sfumare come quei corpi senza cervello non doveva essere un buon segno. Forse era qualcosa dovuto al posto in cui si trovavano, forse al viaggio… Ginny poteva sapere qualcosa, magari come erano arrivati fin lì?
    Il pistolero poggiò le chiappe sulla sabbia. Prese la Mietitrice per le spalle, cercando un barlume di lucidità nel suo volto bianco.
    Hey hey hey.
    Sperava solo che quella merda non fosse infettiva. Sarebbe stata una seccatura.
    Non mollarmi così.
    Cercò nell’oscurità del proprio cappotto. Era ora della sua miscela segreta.
    Ci sono ancora tante storie che potresti Non raccontarmi…
    L’ago penetrò nella spalla con un soffio, ci volle qualche secondo per iniettare la panacea. Una dose bastava, di solito. Doveva solo parlarle, e sperare che ovunque fosse ora Ginny potesse seguire la sua voce.
    D avrebbe voluto scuoterla, ma per un attimo ebbe paura che agitandola troppo avrebbe contribuito alla disgregazione che la stava consumando. Allora decise semplicemente di mettersi a cullarla, mentre guardava il panorama con maggiore attenzione.
    Mare, architetture impossibili… paesaggi frammentati… fantastico. Non ne ricavò granché se non un fastidioso bruciore agli occhi, con quel giallo che sembrava penetrargli le retine. Dovevano essere dalle parti dell’Iperuranio. D non ne era entusiasta. Decisamente, tra i nuclei di meme che emergevano dal rave, non era quello per cui era solito bazzicare. Non avrebbe saputo come reagire a quello che poteva aggirarsi da quelle parti. Diavolo, non era nemmeno in grado di capire cosa fosse la singolarità che aveva di fronte, cosa stava guardando di preciso?
    Carcosa?
    Si afferrò una tempia, come a cercare di spremerci fuori qualche altra informazione. Ma niente. Solo quel nome e l’idea che in qualunque posto si trovasse, non fosse una realtà ben cementata - Okay, si. Decisamente Iperuranio. Ma adesso? Non se ne faceva granché, anche sapendolo. Quelle sembravano delle rovine. Era lì che gli spettri sembravano dirigersi.
    A D sembrò una buona idea non unirsi al corteo, almeno per ora.

    CITAZIONE

    jpg

    Risveglio [Supporto, lv4]
    La morte fu solo la fine di un lungo sogno, e quando D riaprì gli occhi per prima cosa posò lo sguardo su sé stesso. Ma non trovò niente, solo un uomo spaventato e senza causa. Si risvegliò quella volta, per non riuscire più a riaddormentarsi. Con Paranoia il pistolero scorge la verità straordinaria, con Risveglio arriva quasi a toccarla, e sotto le dita sente il profilo aguzzo di infiniti angoli. Come se ogni oggetto si espandesse ben oltre le dimensioni che siamo abituati a percepire e le forme si dipanassero con geometrie impossibili… è tutto così confuso. A un passo dall’illuminazione la risposta continua a sfuggire. Questo è Reale… vero? Oppure sta ancora sognando? Che vuol dire Risvegliarsi? D non lo sa, come non sa cosa stia toccando. Ma forse non ha importanza. Questa percezione permette al pistolero di sfruttare le proprietà nascoste in ogni strumento ed equipaggiamento, che solo al suo tocco vengono risvegliate e possono manifestarsi qui, sui piani inferiori. Ma se adesso è sveglio, se adesso può comprendere, perché non riesce più a riaddormentarsi?
    [Supporto: dona poteri variabili, in proporzione al proprio livello, agli equipaggiamenti.]

    Erbe medicinali [+]
    Un cocktail di erbe medicinali, di cui D conserva gelosamente la ricetta. Viene stipato in un contenitore a forma di provetta lungo circa una dozzina di centimetri, col tappo che può essere premuto per spruzzarne il contenuto sulle ferite aperte. Da un'immediata sensazione di freschezza e sollievo.

    - Panacea (Risveglio): Fun Fact, i soldati nella Guerra di Intrattenimento del Messico (D accenna ogni tanto a questo conflitto, ma non ci sono altri dati a riguardo) fanno uso di questo cocktail per l'igiene delle proprie orecchie, alleviando i sintomi della sordità dovuta agli spari. Si tratta infatti di un medicinale ad ampio spettro, in grado di tamponare una vasta gamma di sintomi e malus: ogni lv in Risveglio dona il 10% di potenza per guarire da un malus subito.


    Lo status Panacea permette proprio di curare eventuali status negativi alla persona in cui viene iniettata! Essendo il Risveglio di D al lv4, dovrebbe essere più che sufficiente per depurare Ginny da… beh, qualunque cosa la stia uccidendo. Non menziono Jekt, non sapendo come B intende farlo entrare in scena – magari è già sveglio, magari non è proprio vicino a Ginny. Idem col buon Ka-Blam, ovviamente.


    Edited by r a v - 8/2/2023, 10:11
     
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    Conosce gli incubi. Forse non c'è altro che abbia mai conosciuto davvero.
    Memoria sfuggenti, attimi che cambiano senza causa o continuità. Svegliarsi su quello sconosciuto bagnasciuga, osservare architetture svettanti e folgori dalla tinta malsana, ignaro del modo in cui è giunto a tali lidi...lo indispettisce, ma quanto? Alla fiamma ed all'alcol è solito concedere il possesso delle sue intenzioni, ciò che resta della sua anima ustionata. Eppure la testa non gira, lo stomaco non si rivolta, non può essere stato l'estus della cui fiasca avverte il peso alla cintura. Solleva le mani, osserva i guanti che le coprono. Per un attimo le confonde, eppure ad uno sguardo più attento è facile distinguerle: ciò che le ricopre è sabbia, non cenere. Riesce ad esserne sollevato per un istante solo, prima che una domanda sorga spontanea. Se non è stato nessuno dei mali tra le cui braccia è solito gettarsi ad averlo condotto laggiù...a chi, o a cosa deve il panorama alieno che i suoi occhi scorgono?
    Ricorda un colle, ricorda mercenari in festa. Ricorda il fuoco tenue della loro speranza pronto ad essere soffiato via dalle ben più intense fiamme dell'inferno che avrebbe calato su di loro, si fosse trattenuto troppo a lungo tra le loro fila.
    Ricorda un boccale, ricorda una donna non lei, mai lei. L'eco di parole che non è certo abbia mai davvero pronunciato lo spinge a calare dita verso il costato mentre si alza, mentre s'allontana da quel mare non d'acqua ma di stelle. Era ferito? Ricorda il proprio sangue, ricorda il suo fetore. Mentre cerca di capire come e se la sua pelle è ancora squarciata, scruta con occhi di bragia il panorama che lo circonda.
    Sagome indistinte, spettri immateriali, aguzza il proprio sguardo nel tentativo di scorgere volti conosciuti, appartenenti alla compagnia di ventura di cui ha osservato la baldoria. Rinuncia presto, quando si rende conto di come nessuno di loro gli sia rimasto sufficientemente impresso. Da quanto tempo è così? Da quanto non guarda qualcuno vedendo altro che la cenere che diverrà?
    Non sono gli occhi ma le orecchie a rivelargli di non essere solo su quelle sponde. A permettergli di voltarsi verso chi s'è svegliato prima di lui eppure già si adopera, già agisce, già miscela erbe inginocchiato di fronte ad un volto che il fantasma scarlatto riconosce ed è in realtà lieto di trovare più evanescente di quanto non rimembrasse.
    Ginny Deathface. Mietitrice di Vendetta. Ha giurato di darla alle fiamme in ogni occasione in cui l'ha incrociata eppure ancora il suo mortifero viso è libero d'appestare i mondi con il proprio gelido riflesso, il suo respiro ancora ruba ossigeno ai viventi restituendo la nera polvere d'un tempo stagnante e già marcito.
    Sta male, è giusto così. Dovrebbe impedire all'uomo di completare il proprio decotto, dovrebbe battere sul tempo l'afflizione che la rende traslucida e lasciare che le sue ceneri si posino sulla quieta sabbia di quella spiaggia d'oltremondo, disperdendosi tra i rugginosi relitti che ne costellano il litorale.
    Le dita prudono, le lame che sa potrebbe evocare in una vampa chiamano il suo nome. Non le ignora perché esita, non s'esime dal vibrarle perché indeciso su quanto la donna ne meriti il bacio. Lo fa perché è così che sceglie. Perché l'uomo seduto accanto a lei sappia il fato a cui si sta consegnando, nell'aiutare chi ricambierà solamente usandolo per i proprio egoistici, gretti fini.
    Te ne pentirai, ragazzo.
    Perché conosce gli incubi, forse non c'è altro che abbia mai conosciuto davvero. Sa riconoscerne uno quando lo vive e per questo preferisce attendere, preferisce capire. Mentre si guarda attorno alla ricerca d'altri come loro, curioso di sapere in quanti sono stati attirati laggiù con i sogni o con l'inganno, mentre riconosce in quei distanti fulmini lo stesso giallo dell'unguento che gli era stato allungato dalla donna senza nome, a cementare il collegamento tra ciò che ha creduto di vivere prima di giungere su quella spiaggia e la sua presenza li. Mentre si domanda quanti nuovi improvvisi risvegli dovrà sopportare prima che chiunque o qualsiasi cosa tiri le fila di ciò che è certo non essere che al suo principio si riveli, pronto a morire tra agonizzanti urla come chiunque altro abbia mai cercato di piegare il demone che nel suo petto arde e ringhia pronto a balzare alla gola di chiunque stia cercando di ingannarlo. Riesce a promettersi che ciò che sta concedendo alla rossa non è clemenza, non è perdono. Che vivano assieme un nuovo assillo, che assieme superino un nuovo tormento. L'attimo in cui saranno liberi, l'istante in cui capirà che la presenza della donna non gli sarà utile. Corrisponderà all'ultimo, vampante secondo della sua infame e vuota vita.




    Antico

    9tyTGkz

    Non sai perché, a malapena riesci a spiegarti come. Ma da quanto, Jekt? Da quant'è che combatti?
    Forse per le fiamme, forse perché ne avevi bisogno. Forse perché in fondo questo è ciò che sei, l'unica cosa che davvero sai fare: mulinare le lame, incrociarle con quelle del nemico. Ferire ed esser ferito, morire ed essere ucciso solo per poterlo fare ancora, ed ancora ed ancora. I ricordi son frammentari, le fiamme hanno consumato anche quelli. Ma se la mente non ricorda è il corpo a farlo, a rimembrare gli echi di una vita passata a combattere in ogni angolo del caos contro ogni creatura e bastardo la sfortuna t'abbia messo sulla strada. E lui è ancora in piedi. Tutti gli altri sono cenere.
    Per questo non si ferma, finché le sue dita sono strette alle sue spade. Per questo sa combattere anche se ferito, spaventato, accecato, il corpo a muoversi anche quando non dovrebbe o non potrebbe con la maestria omicida che i secoli gli hanno marchiato addosso.
    Per questo capisce, per questo sa. Per questo gli basta scorgere le avvisaglie d'un potere per cogliere di che si tratta e come funziona, per questo i suoi stanchi riflessi reagiscono ancor prima che la mente abbia raggiunto le sue conclusioni: perché Jekt ha già visto. Qualsiasi cosa possiate fare, qualsiasi magia di cui siate in grado e qualsiasi asso nella manica conserviate, lui l'ha già incontrata.
    E l'ha già sconfitta.
    [Status Lv4 - due status: grazie al primo, in virtù della sua esperienza, Jekt è in grado di riconoscere gli effetti di abilità e tecniche altrui nel momento in cui le avverte. Il secondo gli permette, finché impugna le sue spade, di sottrarre i Lv di Antico ad abilità o limitazioni che gli impedirebbero di combattere.]




    Niente di che, col primo status di Antico Jekt dovrebbe in teoria riconoscere l'afflizione di Ginny e capire che D la sta curando ma visto che non c'ha capito un cazzo in quel che succede si limita a dire male a D e non agire oltre u.u
     
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    Cadde, non in pace ma quieta, perché la rabbia ed il rimpianto non avevano senso senza qualcuno a cui rivolgerli. Cadde silenziosa nel freddo buio, chiedendosi per la prima volta ciò che già sapeva, ponendosi la stessa domanda che ogni mortale le aveva rivolto quando la sua lama ne aveva fermato il cuore.
    L'anima del mondo è un giardino, ma se lei era l'ultima rimasta la sua terra doveva essere divenuta arida. Non aveva mai considerato il nulla in cui temette di essere destinata a cadere per sempre, non aveva mai creduto vi fosse una vera fine, perché alla rinascita del mondo e di ogni sua creatura aveva preso parte attiva. Non di fronte, ma soltanto dentro l'abisso si accorse di come una parte di lei fosse ancora capace di provare la paura che ormai da tempo l'aveva abbandonata. Non aveva ricordi della tragedia che aveva colpito il cosmo, nessuna memoria delle sue ultime ore. Quando l'ultimo mortale si era spento c'era stato qualcuno al suo fianco, o era in quell'assordante silenzio che s'era avviato verso il primo vero viaggio privo di destinazione? Quando suo padre era svanito e sua sorella scomparsa, le farfalle in cui era solita dissolversi grigie anziché del loro vivace arancione. Aveva dedicato loro un'ultima parola, di maledizione o di preghiera, o gli aveva permesso di andarsene senza recriminargli il male che le avevano fatto?
    Si domandò molto, ragionò a lungo, interrogandosi su quanto a lungo avrebbe potuto interrogarsi prima che la parte di lei che le permetteva di farlo venisse assimilata dal buio, scivolando in un sonno da cui più nulla si sarebbe mai svegliato. Un riposo amaro e secco, spiacevole sulle sue labbra, eppure chi meglio di lei poteva sapere come raramente la fine giungesse nei termini di chi l'aveva fuggita?
    Solo quando tramite sensi che non aveva mai creduto di avere Ginevra si sentì sfiorata, capì di essere stata gabbata. Solo quando con percezioni che non le appartenevano osservò entità agire per nutrirsi dei resti di ciò che non era più, provò l'ebrezza di una vera e profonda paura.
    Non avrebbe saputo dare loro un nome, ne descriverle aldilà dei concetti che rappresentavano. Cercò di convincersi di come fossero i deliri di una psiche troppo abituata alla propria veglia per convincersi ad accettare il sonno, ma non si sopravvive ai secoli senza conoscersi e Ginny sapeva come mai, neppure nella follia, la sua mente avrebbe potuto partorire amenità eguali a quella che involontariamente si trovò ad ammirare. Spazzini cosmici, avvoltoi annidiati tra le stelle, giunti allo scoperto solo al volgere dell'ultimo tramonto. La sua presenza li aveva bloccati, finché non aveva scelto di rinunciare a se stessa?
    Peccando di superbia come sempre aveva fatto, si immaginò ben più importante di quanto ciò che di più cinico c'era in lei le dava modo di capire fosse mai stata. L'ultimo essere senziente del creato, il baluardo di un esperimento che doveva essere fallito, a causa di mancanze che non le era dato modo conoscere. Forse avrebbe potuto opporsi a quell'indegno trattamento. Forse avrebbe dovuto?
    Cercò di muoversi, di portare le mani alle sue armi, per impugnare Corvo e Coyote per un'ultima fatale volta. Cercò di assumere sulle proprie spalle il manto che suo padre non le aveva mai affidato, perché quello del primo mietitore è un compito ingrato e l'irruenta Ginny non avrebbe mai avuto la pazienza necessaria, ne l'adeguata cura a ricoprirlo. Sognò un'ultima battaglia, un confronto finale, qualcosa a permetterle di dirsi che in fondo quel finale era stato degno e non soltanto vuoto, e non soltanto triste.
    Ma forse cadeva da troppo, forse troppo aveva atteso prima di realizzare l'esistenza di quelle presenze. Di mani non ne aveva più, di fianchi nemmeno, la cintura a cui fodero e fondina pendevano da sempre s'era fatta polvere e con essa anche lei, consunta dal tempo che da troppo macerava nel cuore sottoforma della sabbia che Morte stesso aveva soffiato in lei.
    Cadde e volò assieme, perché l'una e l'altra cosa s'erano fatte identiche, ruggendo e disperandosi pur non avendo più una voce per gridare o una volontà per soffrire. Quando infine un ago penetrò la sua pelle, quando infine una puntura le diede l'impressione d'essere più di una coscienza alla deriva, sperò che fosse la puntura dell'ultimo scorpione dell'universo pronto col suo veleno a disgregare ciò che di lei non voleva saperne di andarsene. Se la Morte può morire, allora sua figlia non l'avrebbe fatto attendere ancora a lungo. Nessun aldilà, nessun nuovo inizio, eppure ugualmente Ginny chiuse gli occhi convinta che in qualche maniera o qualche luogo li avrebbe riaperti ancora. Così ci si sentiva allora, a raggiungere la fine. Così ci si sentiva allora, a morire.


    Sono rimasta il più vaga possibile per lasciare campo a te Jira, ma la puntura che cito ho immaginato potesse essere l'iniezione di D!
     
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    Schermata_2022-12-10_alle_17_1





    Il peso nel petto iniziò a diventare sempre più intenso e diffuso, anche respirare non sembrò più un'azione tanto semplice da eseguire.
    Le mani frugavano ancora dentro alla borsa, sempre più rapide e selettive nella cosa per cui erano state sgunziagliate alla ricerca. Alla fine le sue secche dita si serrarono sulla superficie solida e rettangolare del mattone.
    Lo tirò fuori alla luce di quel cielo mesto e lo ammirò con più amore di quanto non avesse guardato la statua d'oro.

    "Io sono qui Baim Lum e tutto andrà bene"

    Gli sentì dire con la sua bocca assente.
    Ka-Blam chiuse gli occhi ricchi di gratitudine e quando le riaprì non era più nel suo mondo.



    Sabbia ovunque. Fottuta sabbia, già se la sentiva dentro i vestiti strappati che portava.
    Bella merda!
    Si rivoltò su sé stesso come un bambino che proprio non voleva saperne di alzarsi dal letto.
    Poi un lampo giallo attirò la sua attenzione.
    Lo sguardo ancora prima di notare le persone in piedi sulla spiaggia, venne rivolto al cielo e ai fulmini di cui sarebbe dovuto esserne il Dio.
    Passò in rassegna tutte le sue conoscenze e di folgori dal colore tanto brillante non se ne ricordava. Le sue erano unicamente blu o celesti.

    "Ma guarda te dove cazzo sono finito ..."

    Decise di mettersi in piedi come una qualsiasi creatura bipede, iniziando a guardarsi attorno alla ricerca di una risposta.
    Un mare di stelle, corpi evanescenti sulla spiaggia e solo due figure a troneggiare su tutto quanto.
    Non ricordava nulla, né di come fosse giunto in quel posto e né di quello che aveva sognato.

    "Ehi voi due ...", disse avvicinandosi al losco duo,"... in che casino siamo finiti di preciso?"

    Il passo era lento e claudicante ma nelle mani stringeva un'arma sacra di tutto rispetto. Se i due si fossero rivelati dei veri stronzi avrebbe provveduto lui stesso a dargli una punizione divina.


     
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    Un interstizio nell’inesistenza. Un’angusta rada sulle rive di quel tumultuoso e spietatissimo oceano decadente che è l’irrealtà: irrealtà frattale e priva di disarmonia, eppure che disordina. L’abisso del Vuoto, l’essenza inerte del Nulla. Laggiù, nel suo nucleo immaginario, si è condensata una landa fatta d’improbabilità. Una landa di Qualcuno chiamata Carcosa, in cui la stessa psiche che l’ha concepita può costantemente sovrascriverla e annientarla. Mio figlio ha tentato di affrancarsi da essa, di sfuggire alle sue catene. Non la vincerà. Non di nuovo. Io, caro lettore, intrappolato qua dove redigo questa prefazione, non posso sopportare la sua perdita. Scrivo nella fiducia che tu, sognando, possa concedermi le tue iridi per un momento e consentirmi di sopravvivere alla tragedia a cui sono perennemente sottoposto.


    { Carcosa, Golfo degli Incubi Indenni }
    Jekt | D. | Ka-Blam | Ginny Deathface

    Il vostro risveglio ha il sapore dell’assoluta e totale miseria, come in un’infinita distesa d’acqua così integralmente corrotta che niente di vivo potrebbe mai abitarvi. Siete naufragati a Carcosa su di un’insignificante zattera scomparsa chissà dove… chi non avrebbe paura a varcare un luogo così terribile? Qui non esistono parole per definire la felicità, per esprimere la gentilezza, non ci sono termini per dire “sorriso” o “affetto”… o anche “amico”.

    Eppure questa è la vostra casa ora.

    Una dimora che non sembra curarsi del vostro arrivo, né reagisce alla vostra inazione. Magari è proprio quello che desidera da voi: forse anela a ridurvi all’apatia bulimica che intorpidisce le membra e annebbia il pensiero, riducendovi a larve impotenti infossate nel limbo dell’indecisione come le carcasse dei vascelli incagliati sui faraglioni.

    Oppure chissà se il vostro tergiversare sarà il primo passo per la liberazione? Riuniti e compatti nell’arenile su cui s’infrange il cosmo, siete innanzitutto riusciti a ricongiungervi con volti a voi noti, senza cedere all’invitante richiamo della decadenza da cui invece un’infinità d’altri nottivaghi si sta lasciando lusingare, formando una processione funebre che si protrae a perdita d’occhio.

    Ambivalente è la risposta, così come ambigua è la natura di Carcosa, che pur stagliandosi in lontananza nondimeno incombe nel vostro animo, al pari di una lampante incertezza che è già parte di voi.

    La brezza stride mentre riverbera lungo i fiordi. Una dissonante cacofonia barrisce occasionalmente dall’alto delle torri scanalate, affievolendosi nel silenzio pochi istanti dopo. Una strana notte sembra sul punto di calare, poiché i nembi temporaleschi si diradano e sorgono stelle nere nella luce innaturalmente ocra del vespro – astri che baluginano opachi e impongono uno sforzo intollerabile alla vista che tenta di metterli a fuoco. Strane lune orbitano nei cieli, satelliti inquieti che cambiano posizione ad ogni battito di ciglia, come allucinazioni che cessano di esistere nell’istante in cui si distoglie lo sguardo da esse. Nonostante queste febbrili danze cosmiche, il tempo pare congelato in quel tramonto eterno che tinge di surreale malinconia l’intero paesaggio.

    Riuscite a malapena a scambiarvi poche parole e a sincerarvi delle vicendevoli condizioni prima che avvistiate con la coda dell’occhio una figura nitida come voi che passeggia sul lungomare. Una dama che pare fluttuare senza peso a poche spanne dal suolo, vestita di sete leggiadre e dal volto velato da un tulle che riluccica di costellazioni ignote. Il suo capo è cinto da un diadema che le dona un aspetto regale mentre con mani di porcellana disperde una manciata di fine sabbia bianca, leggiadra come la polvere che Morfeo semina negli occhi dei mortali per farli assopire.

    L’ignota nobildonna non sembra avervi notato e da come si muove con naturalezza nel panorama cangiante non dà l’impressione di essere una forestiera, bensì un’autoctona abituata a calcare quei luoghi. Che sia lei la responsabile del torpore che vi ha condotti in questa landa dimenticata? Oppure si tratta di una spettatrice ignara che solo per un caso fortuito ha incrociato il vostro sentiero?

    Ambivalente è la risposta,
    così come ambigua è la natura di Carcosa.


    Death Itself: La smaterializzazione si arresta e a tua volta ti svegli. Il processo non sembra dissiparsi del tutto, poiché uno dei tuoi occhi rimane trasparente – fortunatamente non quello che usi per mirare, perciò non sei soggetta a ulteriori malus. Tuttavia se chiudi l’occhio sano, ti sembra che quello ancora affetto dal malanno ectoplasmatico possa ancora scorgere quell’abisso in cui stavi precipitando.

    Blain: Come specificato in privato, hai il primo cartellino di ritardo e la voce di valutazione “Puntualità” si è abbassata di conseguenza.

    Se avete dubbi o domande, sapete dove trovarmi!
     
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    dalla stella che brilla di meno...un BUCO NERO O_O

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    Non ha intenzione di vederla alzarsi. Non ha intenzione di vederla guarire.
    Si volta, certo di come ogni decisione presa nei riguardi della rossa vacillerà nell'istante in cui i suoi occhi s'apriranno. Dovrà sopportare la sua voce, dovrà concederle il permesso di respirare più di quanto non vorrebbe permetterle. Stringe il fuoco nel suo petto, consapevole di come non sia mai stato davvero in grado di trattenerlo. Quella città, quelle dune, quelle sagome spettrali...forse lasciare che brucino sarebbe davvero la via più rapida, l'unica uscita all'ennesima cassa in cui il caos sta tendando di seppellirlo.
    Hmpf.
    Una terza creatura s'aggiunge al gruppo di coloro che il tempo ed i lampi non hanno ancora sbiadito, lo spettro cinereo abbassa il proprio sguardo per scrutarne le corna e l'incarnato scuro. Odore d'ozono, affibbierebbe a lui la colpa di ciò che sta vivendo non fosse più che certo del fatto che i lampi che in lontananza tingono di giallo il cielo non fossero più di semplici scariche atmosferiche.
    Immagino sarà lei a dircelo.
    Solleva un dito, indica ciò che i suoi occhi han scorto fluttuare sull'etereo bagnasciuga; il fuoco spinge per sgorgarne ma lo trattiene ancora, perché come previsto l'incubo ha fatto la sua mossa. Leggiadra, leggera quanto un fantasma ma più nitida dell'incorporea massa che incessante muove i suoi passi verso la metropoli lontana. Non serve lo sguardo antico di chi vive da troppo per accorgersi di come sia tutt'altro che una straniera, i gesti che compie nel suo cammino quelli di una consumata esperienza.
    Che gli altri restino, che sprechino il loro tempo sanando chi non merita i loro antidoti. Jekt sa qual è il suo scopo perché non è mai cambiato fin dai primi giorni che ricorda, fin da quando un uomo troppo stupido s'addentrò in una grotta credendo che uccidere un demone gli avrebbe dato altro che dolore.
    Qualcosa deve bruciare, forse qualcuno, forse tutto. Ed al destino sa ormai bene che non ha senso opporsi, ne su quella spiaggia prova il desiderio di provarci e fallire una volta ancora. I lumi frastagliati che dominano il cielo hanno qualcosa di sbagliato, qualcosa di rivoltante. Se dovrà seguire le briciole con cui il sogno lo attira alla sua conclusione per non doverle più vedere, così sia. A partire da quella figura velata, verso cui a passo rapido s'avvia.
    Donna.
    Succede spesso, succede sempre. Per un attimo al suo posto vede un'altra, capelli neri anziché veli, labbra rosse anziché pallide, nessuna corona ma un cappuccio a nascondere ai suoi occhi il volto che non gli è concesso ricordare.
    Dura poco, un battito delle sue stanche ciglia. Abbastanza da fargli stringere i denti, da predisporlo nella maniera peggiore nei confronti di una sconosciuta la cui colpa non è altra che quella d'essergli comparsa innanzi. Come la donna di fronte al falò che ha già iniziato a scordare, il suo unguento pronto ad essere spalmato su ferite che nessuno gli ha mai inflitto. Come chiunque altro incroci la sua strada, perché la fiamma non stringe rapporti con chi sa essere nient'altro che cenere ancora convinta di poter fuggire a quel destino.
    Questo luogo mi...ci ha attirato a se.
    Veloce, sbrigativo, si corregge non perché degli altri gli interessi ma perché qualsiasi sia il fenomeno che li ha condotti su quelle sponde è plurale, forse non differente da quello che v'ha condotto anche ogni ombra che nel frattempo prosegue il moto verso le porte della città che prima o poi dovranno sfidare.
    Sa che dovrà succedere, sa che sarà li che le indicazioni li porteranno. Se una sola cosa gli è concessa spera sia una risposta alla domanda che perentorio pone alla figura velata, perché sa quanto poco spesso gli incubi hanno un senso negli orrori che costringono a vivere.
    Perché.
     
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    Non ci si risveglia dolcemente, dal sonno delle ere. Quando la cura del pistolero entrò in circolo, quando miracolose erbe il cui potenziale era stato risvegliato dall'animo di colui che sapeva infiammare l'animo nascosto degli oggetti strapparono la mietitrice di Vendetta al suo forzoso sonno, ella annaspò l'aria rarefatta e densa di quelle irreali sponde come un affogato che trae respiro dopo essere stato ancorato troppo a lungo al fondale.
    GGH--AAAaah!
    Artigliò le sue spalle, il suo viso, la sua schiena con dita tese come artigli, affamate della realtà cui erano state strappate. Toccarono più di quanto fosse necessario, più di quanto fosse decoroso, terrorizzate dall'idea che nuovamente la concretezza della materia potesse sfuggire loro, riconsegnandole assieme al resto di quel corpo caduco al buio dal quale si stavano forse illudendo di essere fuggite ed a coloro che in tali tenebre si rimestavano, le creature informi che nel sogno della fine Ginny aveva scorto intente a nutrirsi delle carcasse dei mondi.
    Cosa...dove?!
    Mai nessuno prima d'allora aveva rivisto la bambina che un tempo s'aggirava nella grotta della Morte, dal giorno in cui quest'ultima le fermò il cuore assegnandole un titolo ed una spada. Mai nessuno aveva visto gli occhi di Ginny Deathface tanto spalancati e sconvolti, udito il respiro di cui non aveva più bisogno tanto affannato, l'eco del terrore a riempire gli istanti tra un'assetata boccata d'aria e quella immediatamente successiva. D assistette a questo ed al momento in cui ripresa coscienza del proprio corpo la Vendetta si raddrizzò sulle sue braccia, sedendosi e portandosi le mani al volto, cercando nel contatto con la propria fredda pelle il senso di realtà che pensava di avere barattato per sempre con un cicchetto di scadente whisky ed un incosciente balzo nel vuoto. Quanto sciocca era stata, a credere alle lusinghe di un sonno tanto fasullo? Quanto credulona e quanto pronta ad accettare la conclusione di ogni storia, il riposo di ogni spirito?
    Il senso di colpa è una lama avvelenata, ma se Ginny Deathface non avesse imparato da tempo a reggerne il morso le catene che suo padre le avrebbe volentieri stretto ai polsi l'avrebbero vista prigioniera già da tempo. Pochi attimi di respiro, per permettere ai suoi occhi di afferrare tutto ciò che v'era di importante e restituire alla sua mente almeno il germoglio di un'illusione di controllo. Pochi attimi di pausa, necessari per scrutare i panorami dell'irrealtà che l'aveva gabbata, fino a quando il suo sguardo non incontrò la schiena scarlatta di chi sperava di non dover mai più rivedere. E le sue labbra, sciolte dal troppi brividi che a breve forse avrebbero smesso di scuoterla, si lasciassero sfuggire una sillaba simile ad una maledizione.
    Lui.
    Conosceva D, conosceva lo spettro di fiamme e cenere che distante rivolgeva le proprie attenzioni ad una terza figura velata. Non conosceva lei e neppure il cornuto goblin che in mezzo a loro si ergeva, ed allo stesso modo le erano sconosciute le guglie che distanti facevano da meta al pellegrinaggio dei molti spettri che al di sotto delle folgori giallastre percorrevano senza sosta il cammino che li aveva condotti alla totale perdizione.
    Un attimo d'esitazione, poi il tocco dell'acciaio che sempre pendeva al suo fianco riuscì a restituirle la maschera di calma che incubi e risvegli le avevano strappato. Barcollò nel rialzarsi, ancora scossa dalle vertigini che il suo sguardo infetto le impediva di scordare. Nel farlo pronunciò parole che pochi avevano mai sentito rivolgersi, perché Gratitudine e Vendetta non erano mai andate d'accordo.
    Gra...grazie, D.
    Di nuovo sulle sue gambe, di nuovo padrona perlomeno di se stessa, inspirò profondamente finché non sentì la nera polvere del tempo perduto rimestarsi nei suoi polmoni immobili. Rincuorata dalla certezza che ogni strumento del suo mestiere fosse ancora in suo possesso osservò una seconda volta ciò che aveva attorno, tentando di farlo alla lente di quell'occhio che dal vuoto era rimasto macchiato, alla ricerca di una prospettiva in cui qualcosa assumesse ciò che di più simile poteva esserci ad un senso.
    Immagino che la domanda sia comune...
    Lo immaginò perché non c'erano barche su quel litorale stellato, ne orme sulla leggera sabbia a testimoniare l'arrivo di coloro che le stavano attorno. Lo fece perché l'orgoglio le impediva di ritenersi l'unica tanto stolta da essere giunta fino a li rapita, strappata ad un sogno in cui la tinta malsana del cielo costellato da saette aveva significato condanna.
    Per questo alzò la voce quando pose il quesito che riteneva ovvio porre, abbastanza perché la donna dei veli potesse udirla. Per questo sfidò l'attenzione della fiamma che troppe volte aveva stuzzicato, riuscendo a non esserne mai davvero scottata. D era un amico, ma Jekt un cataclisma. Dubitava di poterlo avere dalla propria parte ancora una volta, eppure se chiunque li avesse condotti su quella spiaggia fosse stato suo nemico sarebbe riuscita a trovare consolazione al pensiero che la fiamma stessa fosse sulle sue tracce, pronta a farne urla e cenere.
    Dove ci troviamo?
     
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    Le forze del bene hanno cannato e andare tutti a farvi fottere.

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    Per un attimo si era preoccupato. Neanche una reazione dal corpo che stava stringendo e questo era un altro deja vu che decisamente faceva troppo male dover vivere di nuovo. Il respiro di D stava per farsi pesante, ma appena lei ricominciò a perdere trasparenza il pistolero soffiò un “Fiuuu…” di sollievo. Un paio di minuti e sarebbe stata meglio, almeno sperava. Tornò a osservare le rovine. Notando solo con la coda dell’occhio una di quelle macchie che si avvicinava. Non poteva estrarre il suo ferro, ma le dita che cingevano la Mietitrice sarebbero state rapide nel correre alla pistola che lei teneva alla cintura. Giusto in caso.
    D lo riconobbe, ma sul momento non se la sentì di fidarsi. Era difficile non aver sentito parlare di lui, al Ramo, non vederlo seduto a uno dei tavoli più temuti in compagnia di nessuno, solo liquore dorato. Il Rosso, molti lo chiamavano così. Ma il suo nome era, era…
    CITAZIONE

    Te ne pentirai, ragazzo.


    Un sorriso divertito comparve sulle labbra di D. Bene. Si era aspettato per un attimo che uno con una simile reputazione non si sarebbe fatto problemi ad attaccarli. Era sempre bello vedere la pace che trionfava.
    Me ne pento sempre, quando si tratta di donne.
    E avrebbe volentieri continuato a dir male del genere femminile fosse stato per lui, ma una voce li chiamò dalla sua sinistra e… ah cavolo, e che cos’era quel… coso? Doveva trattarsi di un orchetto di qualche tipo, D non ne capiva niente di razze, ad ogni modo non doveva essere parente dei mostriciattoli semiumani che aveva incontrato a zonzo per il rave. Perfino Seth riusciva a conservare una parvenza umana, questo qui invece… come avrebbe dovuto chiamarlo?
    Ci piacerebbe saperlo…” gli rispose, sperando che gli dicesse il suo nome e gli risolvesse il problema di non sapere come rivolgersi a lui nella sua testa, “… anche tu ti sei svegliato da poco, Signor…?
    Due cose successero a quel punto, due donne, due problemi. Dato che il Rosso aveva deciso di occuparsi di una delle due, D tornò a concentrarsi su ciò che già stava facendo. Tenne stretto il corpo della pistolera quando ritornò a vivere, lasciò che si inarcasse. Che la bocca si ricordasse come si emette suono. Negli occhi della donna solo il panico e la confusione, e per la prima volta lui ebbe la conferma che era stata una bambina.
    Ginny notò il Rosso. Una sola parola per ricordare la minaccia che rappresentava.
    Lo so.” le rispose il pistolero.
    Tranquilla.
    Prima capire cosa stava succedendo. Poi avrebbero potuto uccidersi a vicenda, se proprio era lì che sarebbero finiti a parare. Sapeva che avrebbe potuto preoccuparsi della cosa, lo sapeva dal primo momento in cui lo aveva visto. Ma a stupirlo non fu tanto quello, il trovarsi a secco di idee e con fin troppe incognite su cosa stava accadendo e se avesse dovuto preoccuparsi di finire in cenere nei prossimi cinque minuti.
    No. Fu sentire lei che gli rivolgeva un Grazie.
    Heh.
    E chi se l’aspettava quella. Doveva averla inquadrata veramente male, la prima volta che si erano conosciuti. D ridacchiò, tirando fuori una sigaretta dal pacchetto.
    E io che mi aspettavo un Nessuno ti ha chiesto di aiutarmi.
    Quindi anche nell'arido petto di Ginny Deathface batte un cuore. Non si finisce mai di imparare, ah? Restò seduto tra la sabbia, la cicca tra i denti.
    Va bene, ragioniamo.
    Le cose da fare le avrebbe fatte a breve, le domande stavano venendo domandate, e il pistolero si prese un tiro per guardare ciò che forse era il caso fosse guardato.
    Pelle scura, una corona e solo ora che si era avvicinata D notò come i piedi di quella donna non toccassero davvero il terreno. E quei dannatissimi abiti gialli.
    E sentiamo che ha da dire.
    Il pistolero prestava orecchio al Rosso, e lo stesso avrebbe fatto con la nuova arrivata. Ma mentre erano lì a parlare… c’era una cosa che doveva sapere. Che doveva chiarire. Si alzò in piedi e fece un passo prima che la Mietitrice si allontanasse troppo.
    Ginny.
    E tenendola per un polso, le diede un lieve tirare di redini. Non poteva essere… un caso, vero? Se aveva visto quello che aveva visto e… non poteva essere un caso e non poteva essere il solo.
    Non voglio farmi gli affari tuoi, Ma devo Capire.
    Non poteva. Lei era stata lì, seduta sul letto di fronte ai suoi occhi. O qualcosa che per lei si stava spacciando, non importava, la vera domanda era…
    Qual è l’ultima cosa che ricordi… prima di esserti svegliata qui?
    … perché aveva sognato proprio Lei? E perché qualunque cosa fosse quell’essere, era così sicuro che l’avrebbe incontrato di nuovo?


    CITAZIONE

    Sigarette [+]
    Non fanno granché bene alla salute, ma D non ha mai progettato di vivere a lungo. E poi non saprebbe come smettere. Iniziò da giovane, perché faceva figo, e ora che è un uomo adulto arriva a soffrire fisicamente quando se ne priva troppo a lungo. Le sigarette tranquillizzano i nervi e permettono di tirare un sospiro di sollievo, per di più aromatizzato alla ciliegia. Per questioni igieniche a D piace fumare grazie all’ausilio di un lungo bocchino, anche se raramente lo porta in missione con sé.

    - Speziale (Risveglio): D prepara le proprie sigarette mischiando tabacco e ogni ingrediente gli venga in mente. Poiché ama sperimentare, è solito farlo con i consumabili in vendita sui vari banconi del rave. Le sue Sigarette possono quindi mimare l’effetto di qualsiasi consumabile sul mercato, a patto che D abbia un campione da distruggere per prepararle.
    [Sacrifica uno o più Consumabili per dare alle Sigarette altrettanti effetti a scelta, tra quelli disponibili nei negozi scoperti finora sul rave.]

    - Tabagismo (Risveglio): dipendente com’è dal fumo, nessuno si stupirà nel sapere che il pacchetto di D è sempre ricolmo e raramente resta a secco di sigarette. In gioco, ciò si traduce nell’impossibilità di esaurire le unità di consumabili creati con Speziale visto che una volta finita una cicca… beh, ce ne sarà sempre un’altra e un’altra ancora, con somma gioia dei polmoni di D e di chi sta intorno.
    [Nullifica il malus di Speziale, permettendo di creare ulteriori sigarette senza distruggere il consumabile.]


    Attraverso le Sigarette, D ottiene gli effetti di:

    CITAZIONE
    - Avanzo delle Baccanti: Pezzi di carne e ossa, crudi, gocciolanti dell' acqua in cui sono stati raccolti e saturi di fumi del vino. Le Baccanti sprecano cibo, tanto, smembrando la preda in preda all' estasi e dimenticandone i resti per strada ed è a quel punto che Annie appare e li raccoglie, perché altri possano assaggiare la forza vitale di cui sono intrisi. Assaggiarli ripristina 1 utilizzo delle tecniche a boccone. Perché Nonna Cencia ha tanti di questi resti con se?

    ... e ricarica 1 utilizzo della tecnica Illuminazione!


    Edited by r a v - 12/4/2023, 14:06
     
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    Hit Once, Hit Hard

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    Ka-Blam



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    Non venne accolto né come un Dio ma neppure come un mostro.
    I presenti si voltarono incuriositi, chi più e chi meno, nel constatare che ad essere in piedi su quella spiaggia della morte erano ben in quattro.
    Occhi curiosi erano quelli del Goblin. Lenta nell'assimilare ciò che vedeva era però la sua mente.
    Il luogo del risveglio era quanto di più particolare avesse potuto percepire dalla prima occhiata.
    Un sogno di morte avrebbero detto alcuni umani altolocati, un posto di merda avrebbero detto i grandi capotribù Goblin.
    Lui però era molto di più di entrambe le categorie: lui era un Dio.

    "Che porto di merda!"

    Porto! Ma certo.
    Che intelligenza superiore la sua.

    Il trio, il quale non pareva molto unito, sembrava conoscersi per avventure passate i quali intrecci erano sconosciuti al piccoletto.
    Tanto che uno di loro, quello che sembrava avere un passato da ustionato, preferì andarsene piuttosto che rimanere vicino alla figura distesa ancora sulla sabbia: una donna.
    Lei aveva il volto della morte e questo al Goblin non piacque.
    Colui dal capello bianco, per finire la presentazione dei tre, gli domandò come si chiamasse.

    Domanda giusta! Bravo pistolero.

    "Preferisco Dio a Signore. Mi faccio chiamare Ka-Blam e controllo i fulmini, le saette, le folgori, i cazzi e pure i mazzi ...", si voltò verso il cielo a guardare le venature gialle che tinteggiavano la volta celeste, "... tranne quelle lì. Io di quelle non so un cazzo! Ci deve essere un'altro Dio del fulmine da queste parti. Da esperienza, però, ti posso dire che sono davvero tanto gialle"

    Vedendo come il gruppo si stava dividendo, anche di conseguenza all'apparizione di una strana figura femminile, Ka-Blam si diresse proprio dall'unico che con tanto coraggio aveva deciso di rimanere da solo.
    Rimandò le presentazioni di Giannantonio, il quale non parve essere molto contento.
    Alcune cose però era meglio farle rimanere segrete.

    "Già sventolona! Come si esce da questo posto?"

    Esclamò interrompendo la domanda di Jekt.

     
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