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Hotline Valchiria

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    dalla stella che brilla di meno...un BUCO NERO O_O

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    I coltelli tagliano, le corde non si dimostrano particolarmente resistenti. Cadono presto, pesanti perché molte e ben legate, sollevano polvere perché poco altro rimane di un pavimento che ha decisamente visto giorni migliori. La testa fa ancora male, per almeno due di loro, alzarsi da le vertigini...è come allontanarsi da qualcosa, tornare in superficie dopo un'immersione troppo lunga. Il sangue bolle come acqua d'una bottiglia aperta troppo velocemente, le bolle vanno alla testa e...rinascete, anziché morire?
    Qualcosa è stato interrotto, ve lo sentite dentro, benché i sensi più mondani non avvertano altro che puzza di chiuso e rumori sempre più ben definiti. Quelli di un rubinetto che ancora gorgoglia un paio di volte prima di tacere, ad esempio, poi un vento di cui ricordate l'odore che soffia placido tra le persiane chiuse che vi separano dall'esterno, dove lo stesso sole sotto cui vi siete svegliate già due volte sembra intento a cuocere l'esterno di quella catapecchia...
    Voci all'esterno, abbastanza vaghe da non riconoscerne le parole e forse non doversene preoccupare. A Ginny suonano familiari...a Nami anche, forse?
    Niente dall'uomo sulla sedia a rotelle invece, se non il gocciolio della bava che la sua bocca spalancata fa colare lungo il capo riverso e poi a terra. Plic e ploc le ultime cose che gli restano da dire visto che neppure respira più, e sul mistero della sua dipartita così come su quello delle lame che sembrano aver sezionato il cervello alla maggior parte di voi forse avete l'opportunità di indagare prima che il mondo fuori da li giunga a prendervi, o siate voi ad assalirlo.
    Una di voi ha un appuntamento a cui presenziare, tutte avete qualcosa che v'è stato sottratto. Nell'abitazione dimessa in cui avete ripreso conoscenza vi sono più stanze di quella in cui vi trovate...forse vale la pena esplorarle, forse vale la pena cercare, prima di maledire il cielo per ciò che v'è stato sottratto?
    Forse sono state le vostre azioni a scatenare un'altra volta l'apocalisse, forse invece è qualcosa che nemmeno volendolo potreste fermare o rimandare. Che sia in un modo o nell'altro, le lancette dell'orologio hanno già iniziato a percorrere il tempo che vi separa dalla prossima volta in cui un sole nascerà con quell'isola al suo centro. Volete provare di nuovo a fermarlo, o siete già rassegnate a bruciare ancora ed ancora?


    Post breve, interagite pure tra voi che non sembra accadere nulla di particolarmente significativo u.u siete libere dalle corde!
     
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    Grazie, Nami.
    Ginny riesce a sorridere, di fronte alla recalcitranza con cui la piccola risponde alla sua richiesta. La familiarità della sua voce un balsamo, rispetto allo stordimento che l'ignoto che la circonda le cala sulle tempie come un maglio, risuonando con il dolore sordo che ancora le tempesta ogni fibra di materia grigia.
    Le libera, nonostante le lamentele, e di questo la Vendetta riesce ad esserle grata. Nonostante significhi doversi alzare, non avere più scuse per riposare un corpo che non duole quanto il capo, ma avverte più pesante a causa della cenere che è consapevole ricoprirlo. Se anche non la vedono, se anche non ne sono sommerse, nulla in lei può dimenticare lo spettacolo a cui ha già assistito per due volte. Ha conosciuto i caduti, dialogato con le loro anime, prima che Morte le piantasse nel Giardino ove ogni spirito è destinato alla rinascita. Sa bene quanto per loro sia difficile scordare, lasciare andare ciò che è stato, addormentarsi per abbandonare le esperienze di un'intera esistenza: su quell'isola al contrario, sono in pochi a ricordare. Per questo, farlo è loro dovere più che mai.
    Eden.
    Un buffetto alla più piccola delle sue compagna, una carezza sul capo ad accompagnare il suo ringraziamento...e poi un secondo nome, pronunciato questa volta come un sospiro. Rivederla le conferma ciò che già aveva sospettato, eppure non v'è sollievo nel sapere un altro topo intrappolato nella propria stessa gabbia.
    Ginny non è mai stata un leader, troppo solitaria per averne mai potuto vestire i panni. Eppure il disperato astio che avverte nel tono di Eden la costringe ad indossarne il manto, perché ne il suo dolore ne la caotica rabbia di Nami saranno utili allo sforzo cui assieme sono chiamate. Giunte su quelle sponde per porre fine ad un regno innaturale, se ne sono trovate loro malgrado suddite, schiacciate dalla tirannia di chi tira le fila di eventi dallo scopo ancora ignoto. L'unico modo per fuggirne, se davvero ne esiste uno. E' scoprire il nome ed il volto dell'ignoto burattinaio,su cui la mietitrice è già convinta di avere una pista.
    E poi piantargli piombo in testa, ed acciaio nel petto.
    Succede che siamo in trappola.
    Una scelta da compiere, mentre muove i suoi primi incerti passi dopo che le corde le sono state risparmiate. Una decisione da operare, e spetta a lei farlo, perché Nami ed Eden sembrano meno edotte riguardo l'arte del sotterfugio e di come svelarne, e di come punirne i responsabili.
    Assieme a tutti loro.
    Si avvicina a ciò che era stato un uomo, prima di divenire un cadavere. L'individuo in sedia a rotelle che l'istinto le indica come responsabile dell'emicrania che la tormenta, pulsando più di quanto non farebbe per altri perché Ginny non è abituata al dolore di un corpo che dovrebbe essere inerme, e per questo muto.
    Lo osserva al proprio meglio, scandaglia il suo viso e la sua bocca spalancata, il suo sguardo vitreo ed il trabiccolo su cui è assicurato, indagando quanto riesce riguardo le cause della sua dipartita.
    E nel farlo decide, perché innanzi a se individua un bivio: da una parte, la condivisione di ciò che tutte e tre possono avere scoperto durante la precedente vita che è stata concessa loro solo per finire in modo violento. Dall'altra la ricerca di una spiegazione riguardo lo stato in cui si sono svegliate, ed è quella che Ginny spinge appena più in la, dando al Tempo il rispetto che merita e decidendo di onorarne il flusso, discutendo con più urgenza ciò che è accaduto nel passato prossimo anziché concentrarsi sul presente.
    Io e Nami ci siamo incontrate, nello scorso ciclo. Chiunque controlli questa follia...aveva messo me nei panni di una poliziotta, ed aveva dato a lei una madre.
    Spiega, allora, sintetizza perché che il tempo sia un fattore inizia ad essere più che un sospetto, per quanto la testimonianza di Eden manchi a poter decidere definitivamente in merito. La seconda apocalisse è avvenuta a scapito di qualsiasi azione lei e Nami abbiano compiuto sulle assolate strade di quell'isola, e mentre il sole che filtra dalle decadenti finestre e l'aria salmastra che vi spira dentro ha confermato come non se ne siano andate dai suoi confini, Ginny riesce persino a provare un distorto senso di sollievo nello scoprire di non esserne stata allontanata.
    Il nome che le è stato dato da suo padre è quello della Vendetta, dopotutto. Per questo lei non potrà andarsene da quella prigione di mare e sabbia prima di avere trovato chi entro i suoi confini l'ha già uccisa due volte.
    Muoiono, abbiamo scoperto. Lo fanno come chiunque altro.
    Si avvicina alla finestra più prossima, tenta di scrutare aldilà dei vetri luridi, attirata da voci distanti il cui suono le risulta familiare. Nel farlo non smette di spiegare, abbassando la voce perché certa di non volere essere scoperta libera, quando qualcuno sembra avere scelto tanto per lei quanto le sue compagne la prigionia.
    Per poi, suppongo, risorgere dalle ceneri di quest'isola.
    Espone ogni tassello che ha raccolto, cerca di non scoraggiarsi di fronte alla miseria che ha da offrire, perché per quanto importanti siano i frammenti che stringe ed espone ne avverte la ridicola dimensione mettendoli a confronto con ciò che ancora manca loro da sapere. Mentre stringe gli occhi, sforzandosi di scrutare oltre la polvere e la sporcizia che fanno da schermo tra l'interno di quella casa ed il mondo esterno, si domanda se ha altro da narrare ad Eden e decide di risparmiarle i dettagli più cruenti riguardo il come lei e Nami hanno compiuto tali scoperte.
    Si volta, infine, quando è costretta a cedere a lei la parola. Ed a farlo con una speranza che sa di non potersi permettere, rivolta a ciò che forse la bionda può sapere più di lei.
    Tu...quali panni hai dovuto vestire?
     
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    Mentre Ginny cercava di mettere insieme le loro storie separate e dare un senso a quella missione totalmente inutile e anche poco divertente, Nami la ascoltava distratta, perché in fondo era stata LEI a liberarle e aspettava un grazie anche dall'altra tizia di cui continuava a dimenticare il nome.
    Forse era che a pelle non le piaceva, c'era qualcosa di fastidioso nel suo atteggiamento, come se fosse sempre una disperata senzatetto ma non veramente? Una poser insomma, una che finge di essere come loro, che sia chiaro lei mica era una senzasoldi scroccona eh, ma più o meno...

    Perché è così disperata? Ci saranno mille spade in gir-

    Poi la ragazzina realizzò qualcosa più o meno con questa espressione.
    Ginny stava ancora raccontando qualche fiaba della buonanotte alla piccola disperata (non tanto piccola ok), quando Nami si accorse che i figli di puttana avevano rubato anche la SUA BORSA. QUELLA ROSA E AZZURRA, CON IL COLTELLO E TUTTE LE COSE CHE LE SERVIVANO.

    FIGLI DI PUTTANA!

    Poi vide che Ginny abbassava la voce e allora anche lei fece lo stesso, sia mai che si facessero scoprire giusto per insultare qualcuno.
    Chiunque le avesse legate, si era preso la briga di scippare gli oggetti migliori in circolazione, in effetti lei avrebbe fatto lo stesso ma anche un po ' vaffanculo, no? Quando ti scippano vuoi sempre spaccare la faccia del colpevole.

    Per questo motivo, con gli occhi iniettati di nuova rabbia e fastidio per non essersene accorta subito, si avvicinò al tizio in sedia a rotelle e cercò di sferrargli un pugno in faccia. Era l'unico colpevole presente e quindi sarebbe stato lui il destinatario principale del suo odio. Era ovvio che non avrebbe sentito niente e per questo era ancora più infastidita, che almeno gli facesse male era il minimo, ma in fondo non aveva nessun altro con cui prendersela, e a quanto pare menare Eden non era un'opzione, aveva paura che le facesse il culo. Ma questo era un segreto inespresso. Non poteva mica pensarlo davvero, di essere più debole di una frignona. Anche se Rad ogni tanto la chiamava così.
    Evidentemente non capisce il mio potenziale.

    Lo sapeva che era morto, ma sai cosa cazzo te ne frega di un dettaglio come questo quando lo stronzo ha contribuito a metterti in un posto del genere e ti ha pure ciulato la borsa?
    Dopo il primo pugno, ne arrivò un secondo e un terzo, finché la faccia del simpaticone cambiò espressione, diciamo. Poi cercò di toglierlo dalla carrozzina, insomma, non che gli servisse più a molto. A lei sarebbe piaciuta di più, era ovvio. Doveva almeno vendicarsi un pochino, no?

    Adesso voglio vedere il cazzo che ci fai con la mia borsa, bastardo.

    Poi si voltò verso Ginny, sorridendo fiera. Era sempre se stessa, nonostante il mondo che andava e tornava.
     
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    Dolore a ondate, oceano salato nel quale non ha ancora smesso di sprofondare. Nel quale non è in grado di nuotare.
    Dovrebbe smettere di opporsi allora, lasciare che il suo corpo e la sua mente assecondino il moto e diventino acquattraversoacqua, perché il dolore continui ad essere onda e corrente e la smetta, per favore smettila, di essere di colpo anche lama e ghiaccio, a trapassare da parte a parte quando la corrente la raggiunge. Dovrebbe smettere di premere i palmi sudati contro le tempie, o almeno rallentare il respiro e dar pace agli occhi che sono ancora serrati in un buio costellato di lampi.
    Sogna una corazza dorata dentro cui ripararsi. Quante volte è successo? Poche, abbastanza da ricordarle, persino abbastanza da contarle se volesse, le volte in cui ha desiderato, davvero desiderato con la pura forza dell'emozione, di indossare luce e calore e di sprofondare in carne aliena incapace di sentire. Di avere a disposizione qualche istante in cui non dover essere se stessa. Ma questo Eden non può permetterselo.
    Una delle maschere... quelle della spiaggia... ne ho trovata una.
    Respira. Lei ha bisogno di respirare, ha bisogno di smettere di piangerelacrimedorate e di soffrire quella pena gelida nel cranio. Loro hanno bisogno di sapere quel che è successo. Altro non può concedere, altro non può fare a parte lasciarsi cadere schiena al muro, le ginocchia premute al petto e le mani premute sugli occhi. Immobile e cieca, inutile e dolorante.
    Vuole la sua spada. Dio Dorato, quanto vuole la sua spada.
    Non so che ho visto... qualcosa ha provato a prendersi dei bambini.
    Gli occhi di Zagreus spalancati in un abisso.
    Li ha riconosciuti? No, non ne è certa. E' certa di aver visto qualcosa ed è certa che quel qualcosa ha provato a prenderla. E' certa di non capire.
    Inspira, non c'è calore rovente a risalire nel naso, niente a parte quello delle lacrime che si asciuga coi palmi, occhi azzurri iniettati di rosso finalmente a guardare le altre due. La donna di cui ha seguito i passi appena giunta in quel inferno e la bambina che ha provato a nascondere alla luce quando l'inferno è finito.
    In una piscina, qualcosa dall'acqua ha provato a prenderseli. L'ho colpita, credo di averla uccisa... una di quelle maschere era lì, credevo fingesse ma forse non ricordava davvero. Non sembrano ricordare mai. Ma mi ha detto di cercarla alla spiaggia, di trovarla e di farle ricordare.
    Tutto qui? Oh no, c'è altro, così tanto altro.
    Potrebbe raccontare dei suoi cadetti. A Ginny importerebbe qualcosa dei suoi cadetti? Quando l'ha vista, sulla spiaggia, è convinta di aver sentito qualcosa, qualcosa che ha reagito a Lei, che le ha fatto pensare Morte. Ma non vuol dire che allora non le dovessero piacere i bambini. A lei non piacciono i bambini, non tanto. Però non erano male, i suoi cadetti. No, per niente. Ognuno di loro a bruciare.
    Stringe i pugni, gli stessi che hanno lavato lacrime, tirati indietro a colpire la parete. Quando si rialza, lo fa con un ringhio di dolore spezzato e i denti stretti abbastanza da farlo peggiorare. Non importa, non può avere importanza. Dolore e orrore, niente che esista davvero, niente che può toccarla quando affoga nella luce dorata. E ha un dovere da compiere ora, un dovere da rispettare.
    Promesse, centinaia di migliaia di promesse per la Vita mai espresse, ma che ugualmente deve mantenere.
    Mi serve la mia spada.
    Mi serve affogare, bruciare fino a consumarmi, essere forte, la più forte che c'è. L'unica che c'è.
     
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    E' affogato.
    Le labbra blu e la pelle raggrinzita parlan chiaro prima che Nami li colpisca, prima che sfoghi la rabbia per ciò che le è stato tolto su qualcuno di cui non è rimasto che una sacca di carne fragile e bagnata. Lo sguardo di Ginny coglie persino una scia meno sporca del resto del terreno, una traccia scura d'umidità a collegare quel cadavere alla stanza alle sue spalle, al gabinetto o al lavandino da cui per qualche ragione acqua dev'essersi levata fino a soffocare quell'infermo: ognuno dei colpi che Nami gli infligge fa sgorgare nuovi rivoli dalla sua bocca e quando infine cade a terra, trascinato dalla vendicativa furia della bionda, una pozza sorprendentemente grande s'allarga dalle sue labbra spalancate a testimonianza di quanto liquido gli sia stato versato a forza nei polmoni.
    Chiunque sia il colpevole di quel delitto non sembra esser li al momento, eppure sulle sue intenzioni non v'è bisogno di scommettere: qualsiasi cosa l'uomo ormai cadavere stesse facendo al trio di straniere giunte su quell'isola per non poteva che esser male, e da ciò è facile intuire che averlo fermato non possa che esser stato un favore per loro da parte d'un benefattore ignoto.
    L'attenzione di Ginny si sposta presto dal carceriere, ma purtroppo i vetri della baracca son troppo lerci per permetterle di scorger più che sagome all'esterno. La luce ferisce gli occhi per quanto schermata dallo sporco, dopotutto è la prima volta che gli occhi che le son stati dati dopo che i precedenti furono ridotti in cenere ne vedono tanta: c'è qualcuno la fuori, un paio di shilouette di cui riesce a capire a malapena il colore - nero, perlopiù? - impegnate a ciarlare accanto ad una macchia più grande che solo per intuito riesce ad associare a un'automobile. Guardiani dell'ingresso della fatiscente dimora a cui son state condotte affinché un paralitico potesse far loro qualsiasi cosa abbia provocato quelle terribili emicranie, le cui pulsazioni iniziano finalmente a scemare promettendo tuttavia di non svanir del tutto presto...si bloccano e tacciono quando Nami impreca, restando incantati per un paio di secondi prima d'iniziare a procedere guardinghi nella direzione in cui la Vendetta sta osservandoli.
    E mentre loro s'avvicinano, attirati dal troppo chiasso che la più esuberante di voi ha fatto prima di voltarsi verso Ginny aspettandosi nuovi complimenti. E mentre Eden racconta e non riesce a far nient'altro consumata dal dolore di ben più perdite di quelle di cui s'era resa subito conto, perché innumerevoli vite strappate e poi rimesse assieme forse non valgono davvero quanto l'assenza dell'arma che le sue dita bramano; un suo pugno alla parete risuona con un tonfo sordo, spinge le due sagome all'esterno ad accelerare, rivelandosi meglio agli occhi di Ginny permettendole di riconoscerne una più tonda ed un'altra più sottile.
    Ed in una delle stanze le cui porte s'aprono verso il salone ove il trio s'è risvegliato legato, smosso da quello stesso colpo, qualcosa cade con un tonfo e un tintinnio che le orecchie della piangente bionda non possono evitarsi di riconoscere all'istante: forse dopotutto...la sua spada, ed assieme ad essa anche qualcos'altro perché il rumore che ha fatto non è di qualcosa che cade a terra quanto piuttosto di ciò che nel cascare capitombola addosso ad altre cianfrusaglie. Non è così distante, a separarla da lei nient'altro che una parete resa fragile dalla vecchiaia ed una porta chiusa dall'aspetto tutt'altro che solido.
     
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    Il Tempo non dovrebbe essere un nemico di coloro che la Morte elegge a propri mietitori. Immortali fino al giorno in cui il re oscuro che li ha eletti deciderà il contrario, il cuore immobile ed i polmoni colmi non di aria ma della polvere dei secoli passati. Ginny è tra di loro, eppure l'isola su cui ha avuto l'ardire di mettere piede si impegna a ricordarle come suo padre non abbia alcun potere entro le sue sponde.
    A ribadirlo le due figure che scorge oltre le finestre lerce, a confermarlo il loro avvicinarsi dopo avere udito il troppo rumore che Nami ha prodotto, sfogando l'infantile rabbia che per una volta la Vendetta comprende e condivide.
    La tentazione di imprecare è forte, a fermarla solamente la consapevolezza di quanto sprecato sarebbe tale fiato. Il racconto di Eden, le evidenze raccolte riguardo la morte del misterioso individuo che avrebbe dovuto sorvegliarle, e forse fare loro molto altro...da tutto ciò Ginny tenta di distillare quanto di più fondamentale, mentre in cuor suo maledice chiunque abbia scelto di fare girare anche per lei una clessidra simile a quella che i mortali hanno in testa, a scandire coi propri grani quanti giorni e quanti respiri ancora rimangono loro da consumare.
    Andremo da lei, allora.
    Risponde ad Eden, lo fa a bassa voce sperando che le altre due la imitino, prima di voltarsi ad osservarle nel tentativo di decidere quale piano comandare. Un indice alle labbra a ribadire tale concetto, gli occhi puntati a Nami che tra le due è la più chiassosa.
    Rimanere concentrata è difficile, mentre ciò che Eden ha narrato brevemente rimbalza rimbombando per le pareti del suo cranio. Di nuovi misteri, come quello dell'indefinita bestia che in una piscina ha assalito la donna, la Vendetta non ha appetito. Ma assieme ad essi è giunta la promessa di una loro risoluzione, ed è a tale speranza che si aggrappa, volgendo ognuno dei propri sforzi verso la spiaggia ove è previsto tutte loro vadano.
    Che possa essere una trappola...che l'occasione suoni troppo ghiotta, per impedirle di immaginarla come una tagliola occultata da basso fogliame. E' un'idea che Ginny sfiora, ma dalla quale non ha intenzione di lasciarsi dominare. Sono tutte prigioniere, dopotutto. Quanto peggiore sarebbe mai potuta divenire la loro forzata detenzione?
    Ma prima...guardie.
    Ripete il nome che Nami aveva dato loro, non ne è sicura ma lo sospetta dal colore degli abiti che indossano, apparentemente simile a quello della divisa che lei stessa aveva calzato durante il precedente ciclo. Se non il loro mestiere tale parola ne indica evidentemente il ruolo, perché qualsiasi cosa stesse venendo fatta in quella baracca soleggiata Ginny dubitava una coppia fosse stata posta innanzi alla sua soglia per puro caso.
    Sono due. Stanno arrivando.
    Avverte le altre, cerca prima con lo sguardo e poi coi propri passi una porta d'ingresso, il punto d'entrata più probabile per chi volesse dall'esterno introdursi nella casa. Vi si piazza a fianco, appiattita contro il muro, pronta a proteggerne le improvvisate abitanti e neutralizzare chiunque osi varcarne la soglia. La mancanza delle proprie armi, elemento a cui fino a quell'istante non ha voluto e avuto tempo di pensare, si fa sentire nell'istante in cui si convince che una battaglia sia inevitabile. E come se il Fato stesso avesse scelto di mostrarle almeno un soffio del proprio favore, quello è il momento in cui un tintinnio riconoscibile giunge dalla parete contro cui Eden si è accasciata.
    Aprite quella porta.
    Lo sibila, eppure non v'è dubbio per chiunque la ascolti che tale frase sia un ordine. Eden ha bisogno della sua spada, Nami si è lamentata della sua borsa, e persino le mani di chi ha nel respiro la propria arma più letale prudono all'idea di potere riabbracciare la sciabola ed il revolver che le sono stati tolti. Armi per difendersi da chi sta giungendo, perché chiunque sia il benefattore che le ha salvate dall'uomo in carrozzina la sua essenza liquida sembra essersi ritirata poco prima del loro risveglio...e che Ginny non ha dubbio torneranno utili anche una volta fuori da li, liberatisi dal duo in procinto d'entrare e preso possesso della loro automobile, così da poter raggiungere rapidamente e senza destare attenzioni l'appuntamento con cui Eden è riuscita a restituirle una speranza di poter sapere, di poter capire. E per questo di poter finalmente individuare la fonte dell'anomalia di quella terra, e piantarle acciaio e piombo dritto in petto.
     
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    Aveva finto che non le importasse niente di aver perso dei pezzi, finché non si era accorta della sua borsa. Dentro aveva il mondo, letteralmente. Ogni arma, piccolo pezzo di vetro, il suo quaderno, le uniche quattro cose che si prendeva la briga di portare con sé le erano state tolte.
    Ma chi era stato?
    Magari la persona che le aveva ficcate a forza in una stanza con un disabile morto o chi lo sa...Lei non aveva mica i superpoteri come Rad, che magicamente riusciva a leggere nel pensiero e risolvere i problemi. Nami di solito frignava, si lamentava, urlava e poi menava qualcuno e in genere andava bene. Da quando era arrivata su quell'isola aveva cercato di proseguire come sempre, ma stava andando tutto storto.
    CJ l'aveva fatta franca alla fine, chissà dov'era.
    Eden era sempre con loro, nonostante ancora non avesse capito la sua utilità alla causa.
    Non aveva ancora concordato quanti soldi avrebbe preso per la missione, perché sinceramente si stava stufando di correre in ogni angolo senza sapere cosa avrebbe ottenuto in cambio. Stava rischiando la vita per Annie, che va bene essere una locandiera tettona gentile e bella, ma anche finire dall'altro capo del mondo senza garanzie direi di no.

    Nami era immersa nelle lamentele tristi della sua testa, quando una parola le fece lampeggiare un ricordo.
    CITAZIONE
    ...bambini...

    CJ.

    Senti Eden...tra quei bambini c'era per caso uno di nome CJ?
    Poi pensò che ad una tizia del genere non sarebbe piaciuto giocare ad indovina chi senza senso, doveva fingersi interessata al destino dei poveri bambini.

    Qualcuno pensi ai bambiniiihhhh!



    Quindi aggiunse un pezzo di frase che dovette sputare fuori a forza, ma sapeva che Rad sarebbe stata fiera di lei: ormai stava imparando a recitare come un'attrice, si sa mai che tornata a casa avrebbe finto di essere una persona sana di mente.
    Si sa mai.

    E com'è finita con i bambini? Si sono salvati?

    Poi sentì un tonfo e qualcosa di metallico cadere. Dei passi, passi di due persone chiaramente distinguibili.
    Dove vuoi che vadano se non da noi povere stronze?

    Fece per allungare la mano nella borsa, ma ovvio, i figli di puttana si erano premurati di lasciarle disarmate. Chissà come mai aveva avuto quella sensazione strana alla testa prima di svegliarsi...
    Si mise in posizione da combattimento, nonostante si sentisse una cretina visto che neanche aveva le armi, ma a volte le armi vere sono dentro al nostro cuore.
    Frase che aveva sentito dire da un chirurgo che stava tirando fuori una pallottola da uno che ci stava davvero lasciando il cuore in sala operatoria. Era stato una figata assistere a tutto quel sangue e viscere e cose schifose che si muovevano sotto ai bisturi!

    EhmmAprila tu la porta, che sei più alta di me!
    Ovvio. La più alta apre la porta, sempre stato così dall'alba dei tempi in poi.
     
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    Sente la sua coscienza raschiare con unghie di pensiero lungo le pareti della sua carne.
    Cerca, propaggini che affondano a malapena nei tessuti, dita immaginarie che frugano, palmi irreali che sperano di raccogliere, ovunque dentro di lei la sensazione è quella di artigli sbilenchi impegnati a frugare della terra. Perché non c'è Vita dentro, non importa quanto cerchi, non importa quanto si sforzi.
    Quando è stata l'ultima volta che è rimasta tanto a lungo distante dalla sua spada? Non ricorda, non è sicura di poter contare un numero così tanto grande, uno capace di incombere come montagna a ricordarle l'inutilità della carne che indossa. A ricordarle quanto in fondo, nel profondo, non sia altro che un contenitore di luce, uno di cui nessuno sa che farsene una volta svuotato. E adesso, mentre sente passi e movimenti attorno a sé e l'urgenza dello scontro inizia a montare, Eden è certa che nemmeno questa emicrania infernale o il dolore più atroce siano paragonabili al vuoto che prova mentre cerca a vuoto il suo potere. Luce a filtrare nella carne, non da fuori ma da dentro, perché cercare di estrarre la Dea dalla spada è una perdita di tempo, bisogna lasciarla crescere una volta che già impregna muscoli e sangue. Ma non c'è niente, niente da cercare, niente da trovare, niente senza che la sua spada le sfiori le dita.
    Basta.
    L'ordine ha un retrogusto amaro nella mente, è diverso da quello della sua stessa voce, assomiglia più alle istruzioni della Regina. Ed anche stavolta, come ogni volta in cui il suo comando l'ha interrotta e guidata, sa che è quello corretto. Smettila di cercare, smettila di scavare. Smetti di perdere tempo.
    Secondi preziosi, come gocce d'acqua che sta per esaurirsi, secondi nei quali il corpo sulla sedia viene abbattuto e i movimenti fuori divengono passi e la voce di Morte diviene Comando. Secondi che lei ha sprecato cercando un potere che sa di non poter avere in queste condizioni.
    Usa ciò che hai, non ciò che vorresti.
    Accasciata contro il muro, Eden non si rialza, tutto quel che si limita a fare è puntare i piedi e serrare i pugni. Inspira, piegata sui talloni, le gambe che si tendono in previsione del salto, le mani chiuse in una morsa non poi così diversa da quella di cui è capace quando coperta d'oro. Espira, inspira, non c'è luce né calore dentro, ma c'è se stessa, c'è tutto ciò che rimane e quel che rimane è la carne e le ossa che ha forgiato giorno per giorno perché capaci di accogliere la Dea. Carne e ossa che nessun'altra mortale è mai stata capace di avere. Forse, l'unica reale traccia che Lei le ha lasciato dentro e che dovrebbe preoccuparsi di cercare, l'unica che riesce, finalmente, a calmare il respiro, a sciogliere le spalle e a farle spalancare gli occhi senza esitare. A riflettersi in quelli della sua seconda compagna, la ragazzina che ha visto solo a malapena sulla spiaggia e a cui adesso ha rivolto solo uno sguardo dolorante.
    A farle la domanda giusta, al momento giusto.
    Stanno bene.
    Perché è questo il punto, in fondo. Perché non ha fallito, neanche sta volta, non importa quanta morte e dolore le facciano ingoiare a forza giù per la gola. Non importa quante volte possano ucciderli tutti e riportarla al punto di partenza. Tutto quel che deve fare è vincere ognuna di quelle volte.
    Cj... era con la donna, la Maschera.
    Perde un unico, preziosissimo istante, a domandarsi come lo conosca, prima di sentire lo schioccare metallico della stanza accanto. Prima che il suono le rimbombi dentro con un riverbero che sa di luce liquida e calore cristallizzato. Poi, qualunque pensiero ed esitazione si dissolvono in quell'oceano dorato.
    Tratteneteli.
    Si avventa. A malapena si aspetta di sentire l'impatto con la porta, non con tutta la forza del suo corpo racchiusa in quel salto, né donna né mortale ma valanga di muscoli e determinazione, a travolgere qualunque ostacolo. Nessun dubbio a trattenerla, nessuna esitazione a rallentarla. Qualunque cosa muova passi oltre la baracca e prenda il nome di Guardia, che venga pure. Le serve un istante, uno soltanto, lo stesso che loro impiegano per spalancare la porta, per lei è abbastanza per trapassarla da parte a parte.
    Per la sua arma. Per la sua luce. Per tutto ciò di cui ha bisogno per vincere di nuovo.

    Cercavo una rappresentazione accurata della cazzimma con cui Eden si lancia a palla di cannone oltre la porta della stanza con la sua spada, ma non trovo niente che trasmetta con giustizia il "la radiamo al suolo questa merda di casa", quindi mi dovrò accontentare
     
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