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The Longest Night

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    sono arrabnbiata issima cont utt9i suojl rave à vkiposdhf

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    Scusa ma secondo te io mi fido di una spada? Per chi mi hai preso, Peter Pan dei poveri che non c'ha un soldo e si fida degli oggetti, ma ohhhhhh!
    Si raggomitolò con le gambe strette al petto, iniziò a dondolare un po' per calmarsi.

    PPfft. Non sei tu, è una brutta giornata.

    Chiedere scusa era fuori discussione, ma doveva spiegare perché si comportava come una stronzetta antipatica con l'unica persona che la stava aiutando. Era così sopraffatta, stufa di tutto quel casino incessante e pieno di cazzate inutili come tutte quelle birre e tutto quel cibo e tutti parlavano e che cazzo di fastidio.
    Chiuse gli occhi, sperando di addormentarsi presto, morire velocemente e non pensare mai più a quanto avrebbe odiato per sempre le taverne.
    Poi un genio fece un urlo disumano, tanto per cambiare.
    Pfft.

    Ad un certo punto Ginny smise di consolarla con le sue maniere strane che davvero non erano convincenti, come faceva a far sentire meglio le persone non se lo capacitava proprio cioé che vuol dire fidati della mia spada? Sembra un po', fidati del mio cazzo, e poi finisci con quattro malattie veneree ed un biglietto d'auguri ficcato nella borsa. Però poi vide dei piedi decisamente carini. Cercò di scrutare la persona misteriosa, finché non si rivolse a lei. Improvvisamente sentì i rumori abbassarsi, come se qualcuno avesse silenziato tutto quel casino infernale: wow. Avrebbe voluto quel potere immediatamente.

    Voglio farlo anch'io, cazzo.


    Ad ogni modo, eliminato il problema del fastidio costante, forse poteva provarci a stare a tavola e godersi un mezzo momento tranquillo nella vita. Forse.
    Cercò di tirarsi su senza picchiare la testa contro il legno massiccio più massiccio del massiccio della vita e si sistemò sulla sedia. Aveva i capelli arruffati e la faccia rossa, dimostrava tipo 5 anni in meno di quelli che mostrava di solito. Però non fu immune al fascino di quella tipa.
    Era gigante. Tipo Rad ma bianca e con i capelli rossi. Forse aveva le tette più grosse della sua fata, hmm

    Com'erano? HMMmmm, dai cerca di ricordare..



    C-ce l'hai un cupcake con le stelline sopra?
    Ovviamente sparò la prima cosa che le passò per la testa, chi era lei per perdere tempo a pensare davvero cosa le piacesse in quel momento. Che poi davvero hai i poteri che crei i dolcetti e finisce sempre che li compri, sei un po' scema, eh. Forse se prendevi il potere di stare zitta volevi fare la cantante.
    Rimase seduta ad aspettare il suo nuovo finto cibo preferito, quando le venne in mente una cosa.

    Ginny, come...come vanno le cose ultimamente?
     
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    Potente, si era sentita. Inebriata, persino, dalla capacità di intrecciare destini ed organizzare incontri, mettere faccia a faccia chi era certa si sarebbe piaciuto, piegare strade affinchè convergessero, ed un sacco di altre scemenze...che capitombolarono tutte assieme, nell'istante in cui Ginny le voltò le spalle.
    Ma...ma...
    Ignorando Jennyfer, ignorando la richiesta che la stella le aveva fatto. Dirigendosi verso la porta, la dove un nuovo arrivo la attrasse più di quanto non fosse riuscita a fare lei: non notò subito di chi si trattasse, troppo impegnata a voltare il capo tra una disinteressata Ginny ed un'evidentemente sofferente Jenn, tentando di trovare modi per salvare la situazione prima che la gigantessa ci restasse troppo male. Avesse acchiappato la mietitrice al volo, trasformandosi in luce o arricciando la strada che stava percorrendo, cambiando la disposizione del Ramo stesso, come aveva fatto per far cascare di culo il biondino la cui disgrazia, non era bastata a rendere Jenn felice. Ginny avrebbe accettato la sua imposizione, o se la sarebbe presa tirando fuori il suo sguardo più raggelante?
    Ma!!
    Poi però lo notò, chi cavolo era ad averla strappata a lei. Una zazzera di capelli biondi, vestiti che più rosa non si può...quella fastidiosa, irritante, petulante voce. Sapeva a chi apparteneva tutto questo. Sapeva il suo nome...e proprio perchè la conosceva non capì assolutamente, perchè la Vendetta avesse dato picche a loro, per dedicarsi piuttosto a lei!
    Nami, maledetta. Ancora sentiva i suoi passi ineguirla, per i meandri oscuri della foresta che assieme avevano solcato. Ancora la sentiva frignare e poi lamentarsi, poi tirare fuori grandi perle di saggezza cinica e l'attimo dopo lagnarsi ancora, erodendo a poco a poco uno spirito ed una pazienza che Solaire aveva sempre creduto di avere a pacchi...prima d'incontrarla, ed essere costretta a passare decisamente troppo tempo con lei.
    Ma guarda te quella...
    Forse prendersela non era la cosa giusta da fare. Forse avrebbe dovuto essere più matura, più ragionevole, notare il rivolo rosso che scorreva dal capo della bimba, ricordare che per quanto insopportabile anche lei era la benvenuta al Ramo e se voleva essere la buona cameriera, che s'era fissata di dover diventare, allora avrebbe dovuto superare il suo disprezzo ed aiutare Ginny ad accoglierla...
    Ma sarà che quando tutti si ubriacavano, finiva sempre per sentircisi un po anche lei brilla. Sarà che Annie le aveva detto e ripetuto che il suo aiuto era ben accetto, ma quella notte anche lei avrebbe dovuto pensare a divertirsi. O ancora il fatto che la coppiera stessa c'avesse pensato al posto suo, mentre lei ancora tentennava scossa dallo scandalo, apparendo vicina alla coppia di maledette traditrici...
    Ma decise di rifiutarsi, di rinnegare la parte di se che l'avrebbe voluta migliore, optando piuttosto per impettirsi e prendersela a morte. Avviarsi per questo verso Jenn, seguendola sul percorso che la avvicinò al Cavaliere, fermandosi un attimo al suo fianco per darle un abbraccio rapido e rivolgerle una consolazione a bassa voce...
    Mi spiace un sacco, bella.
    ...prima di prendere una sedia e piazzarla vicino a Lance, scrutando per un attimo la ragazzona che era svenuta di fronte a lui, ordinando al mobilio attorno a lei di sollevarla e portarla al galoppo verso i piani superiori, dove avrebbe potuto godersi un meritato e ristoratore riposo.
    E poi guardarlo negli occhi, tutta seria. Pronunciare il suo nome, così da guadagnarsi la sua attenzione.
    Lance.
    E poi allungare un dito verso il trio di fanciulle di cui due l'avevano offesa, una più di tutte le altre. L'indice non le comprendeva tutte e tre, ma puntava distintamente a Ginny, perchè Annie era la solita santa e Nami dopotutto era vittima della sua stessa natura di rompiscatole...ma la rossa, maledizione a lei, dopo tutto ciò che avevano passato assieme! Come s'era permessa di trattarla così, farle fare una brutta figura...spezzarle figurativamente il cuore, per quanto forse a riguardo stesse giusto un pelo esagerando?
    Tu la sapresti dare una lezione a quella la?
     
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    Certo che li ho! Iniziamo con quelli...ma poi ti toccherà mangiare qualcosa di vero.


    Annie si chinò appena, dando modo a Nami di sbirciare oltre i bordi della sua generosa scollatura. Tra i molti bisogni che un viandante poteva soddisfare al Ramo, quelli della carne erano gli unici che la coppiera lasciava alla sola fantasia. Per alcuni una madre, per altri la locandiera irraggiungibile con cui a tutti piace flirtare, ma che solo nelle leggende concede ad alcuni eroi i propri baci. Per Nami avrebbe potuto essere entrambe, perché il motivo di quel lascivo gesto fu il buffetto con cui il suo indice ed il naso della bambina si incontrarono per un attimo. Sufficiente a farla stare meglio, in maniera più genuina di quanto sorsate del sangue di Ginny avevano fatto poco prima. Ed a ripulirle il viso dal rosso che lo decorava, incrostato e secco, che sbiadì fino a divenire indistinguibile dalla sua pelle candida, arrossita forse solamente per il calore.

    Fate le brave, fino al mio ritorno.


    Girò i tacchi, con quella promessa e quella minaccia. Sfilò rapida per tavoli chiassosi che rimasero muti alle orecchie di Nami, ed a quelle di Ginny consegnavano soltanto i propri echi. Un tavolo soltanto per loro, che assieme ne avevano passate più di quante non sembrasse ad entrambe. E che sempre ne erano uscite senza conoscersi davvero, perché rapporti più stretti di sporadiche collaborazioni spaventavano entrambe.
    Mentirei, ti dicessi di non potermene lamentare.
    Ma il Ramo era il Ramo, e tra le sue mura nemmeno Ginny riuscì a trattenere le proprie labbra dal rivelare ciò che altrimenti avrebbero taciuto. L'aridità del suo animo non poteva davvero essere guarita, e con essa le ferite che avevano reso il suo spirito quel deserto asciutto di fiducia e confidenza. Percepiva la bambina come una propria simile, per questo riusciva a tollerarne la compagnia ben più di quanto non fosse capace di sostenere quella d'altri. Ma così come Nami avrebbe potuto dare la colpa all'influsso fertile della locanda in cui entrambe si erano trovate a passare la notte, lo stesso avrebbe potuto fare lei se mai le fosse stato chiesto perché ad una ragazzina riusciva a dare risposte più sincere di quelle che avrebbe rivolto a chiunque altro.
    Non solo quelle. Ma anche riflessi della genuina preoccupazione che l'aveva spinta a recidersi il braccio senza pensarci due volte pur di farla stare meglio, per quanto consapevole di come Annie avesse poteri ben più adatti a tale fine.
    Ma non sono io quella che è entrata ricoperta del proprio sangue.
    Pulita dalle macchie vermiglie, Nami appariva più simile a colei che aveva incontrato tra le strade di un sobborgo che a quella che assieme a lei era fuggita dal rifugio della custode di ogni segreto. Al suo fianco aveva appreso il motivo del suo aspetto infantile, per niente specchio dell'età che avrebbe dovuto dimostrare. Lei serviva la Morte, e l'eterna giovinezza avrebbe dovuto portarla ad essere nemica di colei che grazie ad un trauma sembrava averla guadagnata. Ma se tutto era iniziato ad andare male quando suo Padre aveva iniziato a fare eccezioni, impedendo a sua madre di varcare la soglia della rinascita e svanire, allora forse anche lei poteva permettersene una soltanto.
    Una volta ci son stata anch'io, al mercato della carne. Nemmeno la mia è stata una bella esperienza.
    Chiacchierona non lo era mai stata, una frase più del necessario era già grasso colato, a causarla il tepore con cui Annie aveva sfiorato anche lei. Aveva detto loro di essere brave, e Ginny credeva di intuire cosa questo significasse agli occhi di chi aveva scelto di passare l'eternità a servire altri, obnubilata dall'ombra del servizio che offriva anziché da quella del potere di cui era evidentemente a disposizione. Non le aveva chiesto cosa volesse, quale cibo l'avrebbe soddisfatta mentre Nami si sarebbe goduta i suoi decorati cupcake. Eppure era certa che avrebbe provveduto lo stesso, ed in cerca di giustificazioni cui aggrapparsi si disse che sarebbe stato in cambio di tale servizio che le avrebbe dato retta, proseguendo nel fare compagnia ad una bambina che non lo era davvero almeno finché le loro pietanze non sarebbero state pronte.
    Come sei finita con quei cacciatori alle calcagna?
    E se anche lei poteva mostrarsi infantile, perché per quanto antica non lo era quanto il pub in cui aveva scelto di rinchiudersi, allora l'avrebbe fatto chiedendo una storia della buonanotte. Una di quelle che piacevano a lei, colma di sangue e di violenza, e delle ombre scure che ogni bambino dovrebbe imparare di essere in grado di scacciare. Proprio come l'aveva fatto Nami, giungendo al rifugio più sicuro del cosmo senza conoscerne la posizione. E come lei stessa aveva sempre fallito, troppo desiderosa delle ginocchia di suo Padre per capire prima del tempo la portata della follia che dal giorno della sua nascita aveva iniziato a consumarlo.
     
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    Ringraziò mentalmente la locandiera per la visione paradisiaca che le aveva offerto. Non era in grado di rispondere veramente, ma apprezzò il gesto. Un paio di tettone fan sempre comodo quando sei giù di morale. E anche quando sei felice o sei triste o vuoi solo passare dal negozietto etnico per picchiare il figlio bastardo del proprietario. I bambini sono un fastidio, chiaro.
    Poi si sentì accarezzare il viso e in un attimo aveva la faccia ripulita. Di nuovo, non ebbe la forza di ringraziare, né di fare un sorriso. Si chiese come avrebbe ripagato tutta quella gentilezza e si ricordò che di soldi non ne aveva.

    Quand'è che mi sono lavata?
    Arghhhh, mi sa che sto così piena di peli che sembro un boschetto incendiato...



    Avrebbe pagato così, con la sua forma più naturale di tutte. Tanto ormai non si sconvolgeva nemmeno, sapeva che ogni tanto, quando non hai più soldi, devi usare le tue risorse, è così che gira il mondo. Sperava che almeno sarebbe andata con la locandiera e non con un vecchio o un uomo qualsiasi. Quelli puzzano sempre di tonno e si lamentano che non hanno una figa attorno! Meglio lasciarli marcire nei bagni delle taverne insieme al loro piscio.
    Si guardò i pantaloni e si accorse che anche quelli erano tutti sporchi, che cazzo di giornata.
    Si massaggiò la testa, convinta che peggio di così non si sarebbe mai presentata a nessuno. E ora era arrivata in una locanda a far finta che vada tutto bene e che non abbia una massa di stronzi grandi come quelli che riusciva a buttare fuori solo Rad alle calcagna, pronti a farla fuori.

    Ero ai confini dell'undercity, in un posto che chiamiamo l'Acquitrino...
    E' un posto pericoloso, ma credevo di aver studiato gli orari di tutti i bastardi che ci girano. E invece no, a quanto pare era un bel giorno per scuoiare una ragazzina.

    Nella borsa aveva ancora le pasticche per cui aveva intrapreso la missione, ormai erano diventate polvere. Ficcò la mano velocemente nel mucchio e tirò fuori un sacchettino di roba schiacciata e polverosa. Lo appoggiò sul tavolo, spingendolo verso Ginny.

    Mi metto sempre nei casini per colpa di questa. Sono stufa, è un lavoro di merda. Non ne vale la pena, mi pagano poco e devo girare armata come fossi una guardia. E poi quei ragazzini stronzi non fanno altro che sbagliare i colpi quando si tratta di investire su cose nuove...
    Era davvero agli sgoccioli. Da tempo ormai continuava a servire quei quattro sfigati, che odiava così tanto, ma non era un bel da fare. Forse da quando aveva conosciuto Rad si era illusa di poter avere di meglio e, forse, la sua presenza l'aveva spinta a diventare una cazzo di puritana che cerca la tranquillità. Ma da quando?! Era sempre stata la prima a buttarsi in mezzo al marciume, lo schifo, a prendere la siringa al volo e ficcarla con forza nelle vene del collo di quello che ormai non c'ha più mano una vena, figurati se gli dispiace crepare per l'ultima dose rimasta. E invece ora si trovava esausta, a cercare un attimo di calma in quel casino di consegne che odiava con tutta se stessa. Ma cosa avrebbe fatto, se no? Non aveva alternative, l'unica cosa che dava soldi era vendere le pasticche, felicità portatile che garantisce i bigliettoni subito. Forse l'amica conosceva alternative, magari che non fossero vendere l'anima al Dio della Morte o cacciare i demoni.

    Detto fra noi...Rad è sempre preoccupata quando esco per vendere, forse dovrei cambiare mestiere, ma non so cosa fare, i-io boh, che cazzo so fare a parte questo?
    Abbassò lo sguardo, colpevole di essersi mostrata un po' troppo.
     
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    dalla stella che brilla di meno...un BUCO NERO O_O

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    Come se il gatto non fosse bastato. Come se i suoi artigli, le sue zanne, la sua inenarrabile ferocia non avessero sfregiato abbastanza la gamba a cui s'era appeso e da cui nemmeno l'incredibile forza dell'asceso, divino Lance era riuscito a separarlo.
    Quando il dolore finì il Cavaliere aprì gli occhi che la sofferenza l'aveva costretto a chiudere nella vana speranza di svegliarsi nel Valhallah, circondato da Valchirie seminude pronte a porgergli corni colmi fino all'orlo d'idromele e massaggiargli la schiena e già che ci siamo tutto il resto, mentre altri bei guerrieri maschi grossi e villosi lo guadavano da lontano godendosi le proprie settantadue vergini e poi perché no lo raggiungevano per scambiarsi un po' di vero amore perché solo i bro più possenti e nerboruti sapevano davvero come rendersi felici a vicenda...
    Invece un'ombra, sempre più imponente innanzi a lui. Invece il muso oblungo d'una fiera, muscoli si gonfi ma anche un po' troppo coperti di pelliccia che tra l'amore per la virilità più folta e l'essere un furry la linea troppo spesso è sottile e lui era certamente un buffone, un idiota ed un molestatore di bambine, ma sicuramente non era una pornostar.
    Le donne c'erano però! Le conosceva entrambe bene, Sol nel ruolo della vergine non ci stava male anche se il suo body count superava di tre cifre quello dei marrani che Lance aveva slamato e Jenn come valchiria era perfetta se non per la sua pessima abitudine di trasformarsi in kaiju ogni volta che aveva fame. Eppure erano li e lo erano per lui, gli rivolsero parole che però il battito possente del suo cuore colmo di terrore sovrastò, e solo vedendone il dolce viso riuscì a trovare il coraggio di fare ciò che andava fatto.
    NON TEMERE DOLCE FANCIULLA!
    Si rialzò immantinente e barcollando solo poco, appoggiandosi a lei per non cadere SOTTO IL PESO DELLA PROPRIA INCREDIBILE STAZZA. Si strappò via la maglietta e la gettò in faccia a Jenn così che potesse trarre profitto dalla vendita del suo magnifico sudore, e perché no scoprire che odore aveva un vero maschio nel fiore della sua virtù. Esponendo così i vari tatuaggi che ne ricoprivano il corpo, testi d'inchiostro mutevoli ed in perenne moto che riprendevano i passaggi dei suoi libri preferiti ed andarono a concentrarsi sulle braccia avvolgendole come le spire di serpi nere mentre ripescava a memoria i passaggi in cui Ercole compiva le proprie imprese e quelli in cui Edward Cullen fermava camioncini a mani nude, traendone la forza bruta necessaria a fare ciò che era ovvio fosse necessario per liberarsi una volta per tutte di quel puzzolente mutaforma che aveva avuto l'ardire d'assaltarlo nel momento del suo massimo splendore.
    TI SALVERO' IO DAI SOPRUSI DI QUESTA BELVA!
    Certo di quello che aveva detto Sol non aveva capito proprio niente ma sicuramente era un suo qualche blaterare da FEMMINA, robe di smalti e trucchi e scarpe e bei vestiti e ricette da provare a cucinare una volta tornati a casa che sicuramente avrebbe potuto sbrigare da sola o in compagnia di un'altra delle poppemunite presenti mentre lui faceva quello che un vero UOMO fa quando l'incolumità della sua donna è messa in discussione da uno di quei maledetti che vengono da altrove per rubare lavoro e rapinare vecchiette ed impressionare le femmine altrui coi propri pettorali possenti.
    TI SFIDO, ORRIDO BRUTO!
    Ovvero sollevare di peso il tavolo di quercia più vicino incurante di chiunque ci fosse poggiato o di quante cibarie e bevande avrebbe rovesciato nel farlo, schiantarlo nello spazio che separava lui da quell'orso furry e poi acchiappare la sedia su cui D era intento a sbrodolarsi addosso facendolo volare all'altro capo della locanda così da potervi prendere posto di fronte e dopo averlo fatto piantare il proprio gomito sul desco col tonfo più cafone di cui fosse capace e ahia cazzo che male c'aveva picchiato proprio il nervo per poi far lo sguardo brutto in direzione dell'ominide villoso ed aprire la propria mano, flettendone le dita come un pistolero pronto ad estrarre la propria magnum, pretendendo che nonostante quella fosse una bestia senza cervello comprendesse la raffinata prova che lo stava sfidando ad affrontare.
    TI SFIDO DUE VOLTE, SE HAI IL CORAGGIO!
    Braccio di ferro. Uomo contro orso, chi vince prende tutto, su chi perde disonore eterno e tre quintali di letame fresco. Annie avrebbe approvato no? Un po' di cacca d'unicorno o roba simile la doveva pur tenere da qualche parte così da poterci gettare piantagrane e debitori giusto? Lancelot rimase li ad attendere il suo avversario, pronto a far valere il proprio onore e con esso tutto ciò che il suo Cavalierato rappresentava, perché ad averglielo assegnato era una bambina capricciosa che non ne aveva mai capito nulla e ciò nonostante non se lo sarebbe fatto arrubbare dal primo grasso grosso mammifero di passaggio...


    Tramite Folkskin Lance si piglia una Forza di Lv5 (pari alla sua abilità Fiabe del Male) e sfida Nailo a braccio di ferro u.u
     
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    Aveva risvegliato un bruttissimo umano pieno di sporco sulla pelle. BRUTTISSIMO. E poi aveva osato chiamarlo orrido, proprio a lui?! Forse non si era mai specchiato sulle rive di un fiume in primavera, ecco qual era il suo problema. Quella taverna era un posto terribile, terribile! La gente era fuori di testa, non sapeva controllarsi ed infatti il bruttissimo umano prese una delle creazioni demoniache su cui tutti poggiavano le braccia e la scaraventò per aria. Un tempo quel legno era vivo, parte di una foresta, una famiglia enorme che avrebbe accolto anche uno stupido come quello, perché non si nega una mano a chi viene supplicando, ma a lui avrebbe davvero negato qualsiasi cosa: era un'incivile.
    Poi fece qualcosa di assurdo: si sedette gridando e sembrava aspettarlo. Ma cosa voleva? Una sfida?
    ...

    Una sfida?



    Si battè la zampe sul petto, ululando alla luna degli orsi, cercando un conforto nel suono che per tante volte aveva accompagnato le sue giornate nell'erba fresca.

    Inspira, ricordati il profumo di quei sottilissimi fili attorcigliati, che si spezzano ad ogni passo della bestia che sei diventato.



    Si avvicinò a Lance, convinto a completare la sfida di cui si parlava, anche se non aveva capito di cosa si trattasse. L'uomo aveva un braccio mezzo sospeso e non era chiaro se volesse farsi battere un cinque (cosa che fanno sempre i folletti) o se volesse un grattino. Ma no, era una sfida. Un duello all'ultimo sangue. Si sedette con gli occhi iniettati di rabbia, deciso a distruggere quell'uomo odioso e orrido. Lui era orrido!
    Poi si rese conto che non aveva la minima idea di che duello fosse, ma forse chiedere era da deboli. Chi avrebbe osato domandare come si sconfigge il più vile degli umani? Nessuno, lui non sarebbe stato il primo certamente. Come poteva capire senza.....
    Hmmm
    Doveva essere più veloce, prenderlo alla sprovvista. Chi prima colpisce, ha colpito prima. Ecco. Una grande frase di un albero saggio.
    Socchiuse gli occhi, alzò il mento, prese un respiro profondo. E poi..

    UUUUAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAHHHHHHHH!!


    Aprì la bocca e una fiammata cercò di incenerire i capelli del cavaliere, che si aspettava un duello diverso, ma non aveva ancora conosciuto un mezzelfo che non capiva niente del mondo degli umani. Era stato veloce, intelligente, forse a quel punto i suoi genitori biologici sarebbero tornati per fargli i complimenti e poi tornare alla famiglia più simpatica di lui. Era stato grande, ma poi rimase in attesa della risposta in una calma zen che lo faceva sembrare uno psicopatico calcolatore di omicidi.
     
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    Nascono piangendo, l'istinto veloce a riconoscere la violenza del mondo a cui sono stati messi. Ginny dovrebbe smetterla di sorprendersi se anche una volta cresciuti, persone e non più infanti, dalle loro bocche non cessano mai di sputare lacrime su quanto è stato dato loro in prestito. La vita non è che una concessione temporanea, e ciò che è stato dato va prima o poi restituito. Questo dovrebbe bastare a rendere ogni mortale grato, riempirne ogni respiro della meraviglia concessa soltanto a chi sperimenta il mondo senza averlo conosciuto mai...ma è lecito chiedere ad un condannato di essere lieto di sapere che un giorno, la scure calerà per lui?
    La rossa non poteva biasimare Nami, non poteva farlo davvero. Perché all'esterno delle sbarre che una vita sa costruire attorno a chi la vive è sempre facile individuarne la serratura, dirsi che aprirla è tanto facile, che non farlo significa essere complici di ciò che le ha erette tanto strette da rendere difficile il respiro. Ma non è la mancanza di una via d'uscita a spaventare, e chi per lunghi lustri si era costretta a servire ancora il Padre che l'aveva rinnegata avrebbe dovuto saperlo bene, perché dalle sue prigioni neppure lei era mai del tutto evasa...perché l'ignoto è sempre più spaventoso di quello che si conosce, e se non si è mai vissuto un giorno lieto come immaginare che aldilà della propria cella possa esistere altro che forme di dolore mai sperimentate prima?
    Ginny bevve, mentre Nami raccontava. Ingollò un nuovo sorso di incendiario whisky apparso perché ne aveva bisogno, ed Annie sapeva sempre quando metter tra le mani dei propri figliocci l'alcol di cui tutti prima o poi hanno bisogno. Avrebbe anche fumato, concedendosi ad un vizio che corteggiava raramente, sfruttando il tempo impiegato dalla bambina a rimpiangere le proprie scelte per confezionarsi un buon cilindro del tabacco che portava sempre con se in un'apposita scatola di latta. L'avrebbe fatto, avesse avuto intenzione di trattarla come avrebbe trattato molti altri di fronte ai loro piagnistei.
    Non conosco questa Rad.
    Ma avevano affrontato molto assieme, o forse non era questo il vero motivo. Forse persino nel suo cuore arido Ginny si rendeva conto di non potere sempre abbandonare tutti, come per lungo tempo aveva fatto, punendoli per il tradimento di cui un corvo ed un coyote si erano macchiati il giorno in cui l'avevano tradita. E nonostante le catene che ancora la stringevano, costringendola ad essere simile a ciò che a lungo aveva desiderato diventare, quando da sola si era ritrovata a vagare nel deserto della propria perdizione...forse era tempo di smetterla, di predicare una solitudine che persino a lei era sempre andata stretta. E lasciare finalmente che lo spirito con cui Annie aveva tentato di infondere quella serata contagiasse anche lei, rendendola qualcosa di meno simile alla mortifera ombra da cui per molto tempo aveva creduto di non potersi dire differente...e di più tesa a ciò di cui qualcuno come Nami poteva avere bisogno, quando il mondo intero sembrava intenzionato a darle la netta impressione di non essere mai stata benvoluta.
    Dov'è, adesso?
    Si concentrò su quel nome, allora, sull'unica nota di luce che le era parso di intravedere nella lunga disamina delle sfortuna che le erano toccate, e dell'unica strada che era convinta le fosse mai stata concessa. Non stava a Ginny dirle come cambiare fosse più facile di quanto non sembrasse, e vivere lontana da buste simili a quella che estrasse innanzi a lei fosse tutto meno che impossibile, perché di certa v'è solo una cosa ed è che prima o poi ogni cosa diverrà un teschio, simile a quello che la Vendetta portava dipinto in viso.
    A lei soltanto il privilegio di ricordarle perché valesse la pena di svegliarsi ancora, o almeno tentare. Perché se quella Rad era per Nami qualcosa di simile a ciò che un paio di sbandati erano riusciti ad essere per Ginny, allora la sua sola menzione avrebbe dovuto bastare ad avvicinare la piccola all'alba che Annie sembrava voler tenere lontana da coloro che aveva accolto nella propria casa...almeno finché tutti loro non fossero stati pronti ad accoglierla, e benedire ognuno dei suoi raggi con la speranza con cui si dovrebbe guardare ad un nuovo giorno.
     
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    I-io credo...
    Era partita all'alba per delle consegne, quindi sì, probabilmente Rad era nel loro piccolo appartamento triste a cucinare qualcosa. Le piaceva così tanto preparare i dolci, quasi come fosse simpatico visto che lei aveva un cazzo di potere per crearli. Ma no, lei li faceva meglio. Era vero, però. Qualsiasi cosa passasse per le mani di quella donna diventava buonissimo, aveva un dono e Nami poteva solo che sfruttarla a suo piacimento, come avrebbe fatto chiunque.

    Rad sarà a casa, immagino. Lei è...forte.
    Però non doveva sapere quante ne avesse passate quel giorno o l'avrebbe costretta ad abbandonare l'unico lavoro che si fosse mai trovata da sola. Non poteva tornare e raccontare tutta la merda che aveva visto, non era giusto. Lei ogni giorno cercava di farle solo che del bene, mentre la biondina si ficcava in ogni situazione peggiore giusto perché non sapeva fare diversamente. Era stufa di vivere sempre allo stesso modo, sempre con gli stessi problemi irrisolti. E soprattutto non voleva continuare a nascondere una matassa di merda sotto al tappeto, prima o poi sarebbe diventata troppo grossa per ignorarla. Però come avrebbe fatto? Ciao Rad, avevi ragione e ora non so cosa fare. In qualche modo si era convinta che la loro relazione si basasse anche sul fatto che portava dei soldi per vivere, la fata passava le giornata nei manuali di magia nera e non è che guadagnasse molto nel farlo. Era lei quella che gestiva tutto e decidere di mollare quell'occupazione triste era un salto nel buio. Non era convinta. Ma era anche molto stanca di tutto l'ambiente tremendo che doveva frequentare.

    Secondo te...c'è qualcos'altro che posso fare?
    Intendo. Un altro lavoro, meno pericoloso.

    Abbassò lo sguardo, si sentì debole. Non sapeva se Ginny le avrebbe detto toh vai da quello stronzo che ti farà lavare i piatti o se le avrebbe riso in faccia, dopotutto chissenestrafrega. Era da tempo che pensava quelle cose e e forse era arrivato il momento di dirle ad alta voce.

    Vuoi davvero cambiare così tanto per lei?


    Beh, non che spacciare qualche grammo per dei marmocchi fosse la spiegazione della sua persona, credeva di essere qualcosa in più, certo non una strafiga potentissima, ma una che se la cavava insomma. Ne aveva passate tante, troppe per continuare con quella messinscena per sempre. Forse trovare il ramo era stata una buona idea, anche se lei non è che avesse avuto il tempo di pensare a dove andare, stava per morire sotto le bastonate di un gruppo di stronzi. Però poteva essere un'occasione, di solito si sarebbe bevuta una birra del cazzo per non sentire il dolore alle tempie e poi si sarebbe fatta un giro in arena per sfogare gli istinti che aveva dovuto reprimere. Ma ora...non dipendeva tutto da lei. Rad era preoccupata e lei ci aveva pensato per giorni. Ogni volta che un tizio le metteva un coltello alla gola, rivedeva il suo viso corrucciato che le diceva di smetterla, che insieme avrebbero trovato altro. Lei non ci aveva mai creduto, che cazzo ne sa lei di come si trova un lavoro? Nessuno lo sa, per questo viviamo in una città sotterranea dove neanche l'aria è più naturale. Si era incazzata spesso, perché la fata pretendeva di avere tutte le risposte alle sue domande, come se fosse così facile. Non è che un giorno vai li, dici basta, non lavoro più per voi: la gente vuole farti la pelle, vuole riprendersi tutto quello che secondo loro non gli hai dato. Vogliono farti il culo insomma, così li ripaghi di quello che hanno perso. Questo lei non lo capiva, per Rad era un mondo felice in cui dici no, grazie e la gente ti ascolta. Non era mai stato così, mai, nemmeno per lei stessa! Era assurdo, anche la fata aveva vissuto una vita di merda piena di gente del cazzo, eppure stava lì a sorridere, convinta che sarebbe andato tutto bene.


    Come cazzo fa, a far finta che non ci sia niente di male a cambiare?


    Andava tutto male. Si era rotta il cazzo di girare per i mondi solo perché doveva consegnare pasticche puzzolenti tagliate malissimo. Non aveva mai avuto neanche il tempo di fare un giro dove voleva, perché gen gne bisogna portarle a tutti, bisogna finire il giro. E intanto Rad aveva aspettato a casa da sola, bevendosi un té slavato perché si era dimenticata come si scalda l'acqua senza elettricità. Glielo diceva sempre lei, ma bastavano pochi minuti che erano al punto iniziale. Forse avere vicino una persona così stupidamente ottimista la spingeva a voler cambiare o forse era così una sottona di merda che aveva deciso di cambiare se stessa invece di prendere a pugni le cose, come aveva sempre fatto. Il fatto era che non ne poteva più di far finta che andasse tutto bene, non era vero niente. E nonostante tutto, era anche probabile che a Ginny non fregasse un cazzo. Avrebbe avuto ragione.
    Nami appoggiò la testa al tavolo, chiuse gli occhi e qualche lacrima calda iniziò a scendere. Gocciolavano sul legno una dopo l'altra, mentre la biondina si stringeva la testa con le mani e si liberava di un peso che non sapeva nemmeno di avere.
     
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    C'era qualcosa che non andava, se ne rendeva conto. Normalmente, di fronte a certe scene si sarebbe divertita un mondo, specialmente se il protagonista era il suo Lance, intento a far lo scemo anzichè restare tutto serio e composto come faceva il più delle volte...
    Ma forse quel briciolo di gelosia, che il bacio con D le aveva piantato in testa. Forse il fatto che stesse cercando di riparare all'orgoglio ferito di un'amica, rimasta ignorata a causa di quell'antipatica di Ginny, e quell'insopportabile di Nami. Forse perchè per preparare quella serata aveva accumulato tanta tensione, abbastanza da finire per incrinare il suo proverbiale buon umore, o forse perchè dopotutto anche la pazienza di una stella ha i suoi limiti, ed abituata com'era a stare volentieri al centro dell'attenzione non era poi così strano che non sopportasse, l'esser stata messa da parte per due volte di fila...
    E dunque insomma, si ritrovò a gonfiar le guance tutta imbronciata quando Lancy si mise a fare il buffone, anzichè rispondere alla sua domanda. Nessuna carità ne per lui ne per il gatto mutaforma con cui aveva attaccato briga, e neppure un briciolo di pazienza quando quei due si misero a giocare a chi era il più macho.
    Ma piantatela!
    Non lo fecero, finendo per sedersi ad un tavolo e sfidarsi a braccio di ferro...o a lanciarsi fiammate, perchè quello fu il vero risultato; in un momento di agitata lucidità, esasperata dai nervi a fior di pelle che già aveva, Solaire si ricordò di come il suo amato Cavaliere fosse pur sempre fatto di carta, o di qualcosa di molto simile...e per quanto fosse stato sciocco, per quanto fosse stato indisponente nei suoi confronti. Sia perchè al Ramo farsi del male era vietato, e lei era pur sempre una dipendente della Dea che era certa, stesse guardando quel battibecco con gli occhi al cielo, spazientita da comportamenti simili. Sia perchè quello era il suo uomo, e nessuno poteva abbrustolirlo se non lei quando era particolarmente arrabbiata...
    Ho. Detto.
    Strinse gli occhi, prese a brillare ancor più forte. Soffiò via la fiammata con un gesto, spegnendola come il soffio di un bambino spegne le candele su una torta, si alzò dalla sedia su cui era rimasta sgomenta e nervosa ad osservare quello spettacolo, mentre ogni luce diversa dalla sua all'interno del locale veniva offuscata, facendo risaltare il suo feroce lume ancor più del solito: non aveva mai usato a quella maniera, il potere che Annie le aveva dato sulla locanda, riflesso del controllo che lei stessa poteva esercitare su ogni suo asse, ogni sua bottiglia, ogni suo atomo e pensiero...
    PIANTATELA!E le piacque farlo, le piacque puntarsi addosso quel riflettore, ed essere per una volta qualcosa di più simile a ciò che la Coppiera sapeva diventare, quando qualcuno faceva il piantagrane nel suo pub: il timore d'essere sgridata svanì presto rispetto al prospetto di poter spadroneggiare per qualche attimo, e per quanto mettere in gabbia l'orsogatto cattivo che aveva distratto il suo Lance dal risponderle sembrasse un'ottima idea, Sol sapeva chi erano i veri responsabili di quel suo incaratteristico, spiacevole, ma inebriante scatto...
    E VOI DUE!Un dito puntato, e Ginny e Nami si sarebbero ritrovate a loro volta sotto un riflettore, più freddo della luce rovente che scaturiva dai capelli e dalla pelle della stella, perchè non meritavano il suo calore ma solamente il suo sdegno. Le fissò con occhi fiammanti, pronta ad esprimere il suo verdetto...che era semplice, diretto. Ma non avrebbe accettato omissioni, per quanto sospettava che entrambe avrebbero cercato di svicolare, non gradendo tutta quell'attenzione. Perchè erano tutti li riuniti per divertirsi, e col loro egoismo entrambe avevano soffocato, quello che per un'altra avrebbe potuto essere l'inizio di una bella serata in compagnia.
    SCUSATEVI SUBITO CON JENN!


    E lontano dal centro dell'azione, abbastanza per notare appena quei giochi di luce, e quelle urla che nella sua testa rimbombarono fastidiose, perchè come ogni cosa bella anche l'alcol chiede un prezzo, e Luna stava già iniziando a riscattare il grosso debito che aveva accumulato con lui. Un'automa rivolse ad una stella rumorosa poco più d'uno sguardo affranto, prima di sbuffare sconsolata, tornare a guardare l'uomo incappucciato che aveva di fronte, e che aveva davvero creduto potesse farle scordare il male che aveva provato entrando, ed aspettandosi l'impossibile come una stupida...
    E finì per accasciarsi sul tavolo, un braccio disteso, l'altro ancora stretto al boccale che non aveva alcuna intenzione di lasciar andare. Perchè non voleva perdere, perchè era il suo unico amico. Il mento poggiato al legno, lo sguardo basso per un bel po', prima che le parole di Jekt la smettessero di sgonfiarla, ed iniziassero a pesare.
    Perchè avrebbe potuto proseguire in ciò che stavano facendo, trovare nuove cattiverie affilate e caustiche da lanciargli contro, se solo anche lui avesse fatto lo stesso. Rivolta com'era a cercare di stare il meno possibile nella propria mente, e quanto più poteva in quella altrui, il cambio d'umore del rosso la scosse, sciogliendo la tensione che l'aveva portata a rivolgergli le parole peggiori fosse in grado di trovare, in una pozza ben meno solida e per questo, non più in grado di sostenerla al di sopra del dolore, che s'era convinta di poter riuscire ad evitare.

    « Stiamo rovinandoci la serata, Jekt. L'hai detto tu. »


    Lo guarda, occhi neri in occhi di fuoco, ricorda poche delle sue parole ma gli avvertimenti con cui ha tentato di impedirle di gettare via quell'occasione si, perchè anche nella sofferenza e nello sprezzo, chi almeno ci prova a prendersi cura di un cuore ferito lascia sempre qualcosa di buono.
    Avrebbe dovuto bere, avrebbe dovuto proseguire la sfida. Ma le era bastato davvero così poco, per perdere ogni volontà di farlo. Per sentirsi esausta, esaurita, spompata da tutta la fatica che aveva fatto per spalare disprezzo da se stessa, e gettarlo verso il primo bersaglio disponibile. Qualcuno che forse lo meritava davvero, che tanto avrebbe potuto bruciarlo, come faceva con qualsiasi altra cosa. Ma che nonostante tutto ciò, non avrebbe potuto farci i conti in vece sua.

    « Stiamo odiandoci. Nel tentativo di smettere di pensare. »


    Leggeva i suoi pensieri, o meglio avrebbe potuto, se ne avesse avuto bisogno. Ma lo sport in cui s'erano gettati era antico e comune, Luna l'aveva visto praticato ovunque fosse andata, dalle menti più disparate e nei mondi più distanti. Farsi del male era un'esperienza universale a quanto pare, e quasi nessuno era mai disposto a prendersi la responsabilità delle ferite procurate a se stesso. Forse perchè faceva sentire stupidi, forse perchè erano le uniche contro cui non ci fosse un bersaglio preciso, uno che se colpito non avrebbe portato ad ancor più dolore. Lei che ne sapeva, che un cuore ce l'aveva da così poco che se avesse voluto e fosse stata sobria, avrebbe potuto contare i giorni.
    Era facile, dopotutto, ricordare quand'era nato. Le sarebbe bastato ricordare, quand'era la prima volta che l'aveva visto.

    « Perchè questo non ci basta più. »


    L'uomo di cui non aveva pronunciato il nome, il cacciatore ed il guerriero che le aveva insegnato tutto, ed ora non c'era più. O forse si, dentro di lei, dove poteva darle forza e trasformarla in qualcosa di diverso da una bambola inerme, debole, inetta. Ma non dove lei avrebbe voluto, perchè la forza le piaceva, ma i suoi baci erano stati meglio. E la maniera in cui la stringeva, ed il suono della sua voce. Ed i suoi stupidi, zannuti sorrisi. Ed il coraggio, con cui aveva amato qualcosa che per l'amore non era stato fatto, e non l'aveva mai davvero capito se non quand'era stato troppo tardi.
    Una botta al boccale, nemmeno s'era accorta che la mano con cui lo reggeva era scivolata via dal manico che aveva impugnato tanto a lungo. Ed un ultimo commento, forse l'unico vero che aveva pronunciato da quando s'era seduta li. L'unico sincero, almeno, pronunciato non per far del male a qualcuno. Ma perchè a volte riconoscere un problema, può essere il primo passo per risolverlo.

    « O perchè siamo due idioti. »

     
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    E finché la notte più lunga di tutte continuerà a proseguire, i suoi partecipanti continueranno ad accumularne ricordi preziosi. Ergo, 2000 PR quest'anno a chiunque v'abbia partecipato: Frogga, Death, Luna, Beast, Liv, Rav e non ultimo me stesso medesimo u.u
     
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    Bella giacca.
    L'uomo che ha puntato non la guarda nel modo giusto. C'è appena un accenno di sorpresa nei suoi occhi, forse dovuta più al trovarsi dal nulla una sconosciuta in piedi sul suo tavolo, accovacciata sui talloni e con le braccia sulle ginocchia, ma nulla di più. Non c'è sospetto, non c'è paura, non c'è quel vago sentore di dubbio che assale chi non è certo di cosa stia guardando e se sia qualcosa alla quale ci si può avvicinare senza pericolo. Non c'è semplice e diretto desiderio, ma quello almeno sta arrivando, a giudicare dal mezzo respiro strozzato che butta fuori quando solleva gli occhi a specchiarli nei suoi. Nel complesso, la guarda come se non fosse una cosa strana, come se non ci fosse niente di poi così strano nel suo aspetto e come se non fosse altro che una donna qualunque che l'ha puntato.
    Shura non capisce perché questo la faccia solo incazzare di più.
    Il suo umore era già abbastanza storto però, non è vero? Fin dalla prima goccia di pioggia, fin da quando non si è rassegnata all'inevitabile cataclisma che sembra aver travolto ogni angolo del creato che possa raggiungere, fin quando non ha capito che non troverà nessun altro posto asciutto nell'intero universo al di fuori di questo. E lei odia l'acqua. Ma ecco una soluzione facile, giusto giusto a portata di chiunque voglia trovare riparo. Se soltanto il Ramo non le desse i brividi.
    Inspira a fondo, narici spalancate e labbra premute in una linea livida, ed eccolo ancora lì, quel profumo dolciastro che arriva tiepido fin nel cervello. Quella sensazione stordente di una nube calda, ma mai soffocante, che si pieghi attorno alla pelle in una stretta delicata. Quel sentirsi quasi sonnolenta, a malapena capace di tenere le palpebre alzate per il bisogno di raggomitolarsi in un angolo e dormire finalmente cento vite stretta sul pavimento più comodo che abbia mai camminato. La promessa, no, la Certezza, che nessun male le sarebbe mai potuto giungere, perché una Dea in persona custodiva quel santuario e camminava per i suoi tavoli, assicurando la sua protezione a chiunque vi mettesse piede, senza eccezione e senza scadenza. La totale, assoluta certezza di essere al Riparo, di essere Protetta e di essere al Sicuro.
    E interi mondi di idioti credono ad una tale stronzata.
    Nient'altro che stronzate, ovvio, come potrebbe essere diversamente? Non esiste alcun Dio, non uno che meriti quel nome, e tutti coloro che più si avvicinano a quel nome sono tutti coloro che più disprezzano e distruggono tutto ciò che incontrano. Lei lo sa. Lei li ha visti. Disprezzo feroce nascosto dietro ad una maschera di pacata rigidità, morte sparsa come semina nel vento sotto la falsità di una presunta perfezione da raggiungere. Per credere in un posto del genere dovrebbe credere negli Dei, dovrebbe credere nella loro Protezione e dovrebbe credere che esista un posto, uno qualunque, in una realtà qualunque, che sia al sicuro. Stronzate.
    La voglio. Toglila.
    Ed ecco perché si ritrova lì, nel luogo che più le da il voltastomaco in tutte le realtà, accovacciata sul tavolo di un povero idiota a cercare di strappargli una giacca nera che è sicura le starebbe perfettamente. Ecco perché il suo volto è una maschera rigida, fatta di occhi stretti e labbra piegate in una smorfia di disgusto. Ecco perché, quando l'idiota fraintende totalmente la situazione, il suo umore già nero precipita nell'abisso.
    Se vuoi metterci più comodi ho una camera sopr
    Lo interrompe il pugno in viso.
    Botta dorsale, nocche a impatto centrale, sente il naso spezzarsi in un crounch soddisfacente e il primo schizzo di sangue è abbastanza rapido da investirle le dita. In fondo, a malapena più di un ceffone, ma sufficiente a farlo cadere all'indietro, gambe a scalciare e ribaltare il tavolo su cui si trovava. Atterrare dritta è poco più di un cenno col piede.
    Ci stai mettendo troppo.
    No, non è vero.
    E' una bugia, la stessa sul fregargliene qualcosa, qualunque cosa, della giacca di quell'idiota. La stessa che rimbalza da una parte all'altra del suo cranio, proiettile in una traiettoria senza fine, a ripetere incessantemente che è il modo perfetto per sfogare la tensione. Che è esattamente ciò di cui ha bisogno per farsi passare il malumore. Che è proprio curiosa di vedere cosa si metterà a fare questa fantomatica Dea ora che c'è del sangue nel suo pavimento. Niente di tutto questo è vero.
    OH A PEZZ' E' ME' FI DI PU GRAN CROC GRAN FARABUT!
    Che fortuna, aveva degli amici. Abbastanza vicini da alzarsi di scatto prima che abbia tempo di sfilare la giacca al tizio svenuto, abbastanza ubriachi da non perdere tempo a domandarsi se intervenire o meno sia l'idea migliore, abbastanza numerosi da fare proprio al caso suo.
    Tutto quel che le basta fare è afferrare il primo di loro e lanciarselo alle spalle, una goccia, solo una, di Demone a riempirle le braccia, quel tanto che basta perché il volo lo porti a schiantarsi fino al tavolo poco distante dove una strana accoppiata rosso e azzurra non ha smesso di bere negli ultimi minuti. A sfondare anche il loro di tavolo, e a ritrovarsi abbastanza disorientato dalla botta da far volare un paio di calci anche a loro sicuramente.
    E poi è mischia. Sul secondo si avventa di faccia, la tentazione di mordere è forte, ma deve accontentarsi dell'impatto fronte contro naso con cui lo sbatte indietro, a travolgere un altro tavolo. E poi ancora, di spalla sul terzo. Finché le figure non smettono di essere ombre immobili e non si animano finalmente. Finché lo stesso fuoco che ha invaso lei non si diffonde a poco a poco, un pugno alla volta, inghiottendo quell'intero angolo di Ramo.
    Perché Riparo e Sicurezza e Rifugio non sono soltanto stronzate, ma sono incognite. No, non è al riparo che si sente al sicuro, non quando riparo è qualcosa che non ha mai provato, né è rifugio qualcosa che vuole abitare, non quando rifugio è un incognita ancora più grande, a inghiottirla con più ferocia di quanto possa fare persino la pioggia.
    Quello di cui aveva bisogno, per sentirsi Davvero al sicuro, è qualcosa di conosciuto e che potesse chiamare casa. Qualcosa nella quale non è mai stata Straniera, non è mai stata Altra e non è mai stata senza sapere che fare.
    E in mancanza di una Battaglia, dovrà accontentarsi almeno di una sana, vecchia, rissa.

    Ops.
    Beh, si parlava tanto di "sia mai che parta la rissa", ma ancora non avevo visto volare neanche una parola troppo cattiva, ho sentito il bisogno di rinvigorire la serata u.u Annie avrà un po' di pazienza finché il tono si mantiene civilmente sui pugni in bocca e gli schiaffoni nelle orecchie.
    Ah si, ciao Shura, benvenuta al Ramo. La mia donzella cerca e trova la rissa con un gruppo già abbastanza ciucco poco distante da Jekt e Luna e tenta di coinvolgere più tavoli possibile lanciandoci gente pestata, confusa e scalciante (incluso uno giusto a loro) appena prima di ficcarsi a forza nel mezzo di più gente possibile a tirare testate e spallate.
    E scaldiamoci un po' dal freddo alla vecchia maniera


    Edited by Beast ~ - 5/1/2024, 17:20
     
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    IIIIIIH!
    Eccola la gloriosa fine. Una morte ingiusta ed indegna, per mano di una fiera troppo spaventata e meschina per accettare un'onorevole sfida. Ah l'ingiustizia, ah il sommo disonore, ah la tauromachia! Lo sapeva che un giorno sarebbe divenuto cenere ma sperava che fosse su una barca lasciata andare sulle dolci acque dell'iperuranio, una freccia ad incendiarla nel funerale vichingo che ogni uomo sotto sotto sogna, non nella sua bettola preferita mentre un gattorso gli ruttava addosso una fiammata che sapeva di orribile vegano! E ciò nonostante già le immaginava le ballate sulla sua triste dipartita, già li sentiva i versi che avrebbero cantato del coraggio con cui s'era gettato tra le fiamme pur di salvare la sua amata e l'onore della Dea che stava ospitando tutti loro, accettandole sul petto e lasciandosene avviluppare perché mica s'era capottato a terra in posizione fetale urlando come una checca no ma va. E fu solo quando già virili lacrime minacciavano di macchiare il suo viso per l'ultima volta finendo così per evaporare innanzi alla vampa che l'avrebbe cancellato, quando in cuor suo si diceva di non avere nessun rimpianto e con una punta di curiosità si domandava se un uomo ubriaco brucia meglio di uno sobrio, che il vento tuonò e la luce parlò ed un'apparizione maestosa e iridescente spazzò via la minaccia e parlò in voce altisonante ed ubiqua, strappandolo al glorioso martirio per dargli finanche di meglio, spingendolo ad aprire gli occhi in meraviglia e battere le mani da steso a terra, perché nemmeno in cento vite avrebbe mai potuto confondere quel tono o non riconoscerne la fonte, quelle labbra che diciamocelo D se le poteva solo che sognare...
    HAHA, ECCOLA!
    Ed allora annunciò a pieni polmoni il proprio sostegno, anche se non è che avesse ben capito cosa stesse dicendo ne riuscisse a mettere a fuoco chiunque fosse ad averla fatta adirare a quella nuova, bellissima maniera. E allora con due dita in bocca lanciò un penetrante fischio d'incoraggiamento ed ammirazione e con le mani a coppa sfogò il proprio entusiasmo, galvanizzato dalla morte scampata e dal fatto che sesso arrabbiato con Sol l'aveva fatto solo circa una volta forse, quando lei era una vampira e si trovavano nel suo ego ed era tutto un casino che ciaone a ricordarselo in quel momento, però buttarglielo mentre lei lo mordeva a sangue non è che gli fosse dispiaciuto ed in quella forma da irosa dea del sole stava attizzandolo non poco...
    DIGLIELO, COSI'! UUUUUH!
    Ed alzarsi era aldilà delle sue possibilità ma mettersi a sedere invece no ed indicarla guardandosi attorno e cercando lo sguardo di chiunque volesse ancora starlo a sentire era un obbligo, perché aveva una comunicazione importante da lanciare nell'etere prima che nuovo caos e nuovi guai giungessero alle porte e toccasse a lui metterci una pezza.
    QUELLA E' LA MIA DONNA!
    Degli applausi per un acchiappo del genere se li meritava e dunque se li fece da solo e per un attimo pensò d'aver battuto le mani così forte d'averne guadagnato un miliardo di rimbombi, fu solo quando il dubbio lo assalì e guardando i propri palmi ormai fermi con fare interrogativo si rese conto che i PIM ed i PUM ed i BAM non s'interrompevano che alzò lo sguardo e s'accorse che dei marrani in un'area più distante del locale s'erano messi a guerreggiare in barba ad ognuna delle regole di convivenza che Annie aveva imposto ai propri ospiti: che cattivo gusto, che pessimo tempismo, che incredibile maledetta faccia tosta!
    NON PREOCCUPARTI TESORUCCIO, CI PENSA LANCY A SEDARE I FACINOROSI.
    Mica poteva permettere che rubassero la scena alla sua bella, anche se era lui a starlo facendo fin da quando s'era reso conto delle sue grida! E allora non ci pensò due volte a tirarsi in piedi e prendere la rincorsa verso il grande orso e balzargli sulla schiena, stringendo forte il pelo del suo petto per non cadere ed armandosi di asta e bandiera create con l'inchiostro con su scritto SOLLAIR TI AMO <3 e speronandogli i fianchi coi talloni perché le storie in cui la bestia ed il Cavaliere fanno amicizia dopo una buona scazzottata sono forti no? E lui si che voleva viverne una e guadagnarsi la sveltina con cazzotti che era certo Sol gli dovesse, e Nailo mica avrebbe avuto nulla da ridire ora che erano bro orsopillati contro il caos e le donne ne███ che facevano chiasso!
    ALLA CARICAAAA!



    Di quel forse non ce n'è bisogno.
    Luna aveva ragione, l'odio lo si costruisce in due. Per questo Jekt non ne era mai mancante, per questo non gli bastava che uno sguardo per provarne, perché lui duplice lo era sempre ed il demone che lo aveva sfigurato ed aveva fatto cenere dei suoi ricordi non era capace d'ispirare altro in chi doveva sostenerne il peso, la maledizione.
    Bruciarla, farla a pezzi, non l'avrebbe fatto stare meglio. C'aveva già provato, l'aveva già fatto, tanto con lei che con infiniti altri sfortunati bastardi e cosa mai s'era trovato in mano se non un pugno di polvere, se non ancor più voglia di punirsi ed incendiare il mondo e sperare che un giorno finalmente il fuoco prendesse anche lui?
    La sacralità di quella sfida era un'idiozia, briciole per ubriaconi che Annie scagliava in direzione di chi ne aveva più bisogno perché neppure lei era intenzionata a sfamarli davvero. La mancanza d'un vero premio, d'un vero scopo, quello era il punto e quello l'aveva turbato a sufficienza da concedere a Luna il momento di tregua che infine l'aveva fatta cedere, crollare. Che infine l'aveva portata ad arrendersi, concessione che il rosso non le permise di ritrattare e che sottolineò con un nuovo sorso al boccale che al suo contrario non abbandonò, ne avrebbe lasciato andare per il resto di quella serata. Tutti li attorno sembravano in compagnia d'amici vecchi e nuovi, dopotutto. Ed allora anche lui meritava la consolazione d'un sodale che tanto a lungo l'aveva accompagnato, e tanto a lungo l'aveva maledetto e compiaciuto.
    Ma hai perso, Luna.
    Sentenziò duro e greve, lasciando che per l'ennesima volta il calice picchiasse sul desco con violenza sufficiente a mettere a tacere i frignanti lamenti della fanciulla. La vittoria per abbandono era pur sempre una vittoria, e non v'era traccia nelle memorie del Ramo di Prove che avessero concesso agli sfidanti una pausa o qualcosa di diverso da boccali scolati uno dietro l'altro finché coma etilico non sopraggiunga.
    Avrebbe potuto deriderla, avrebbe potuto umiliarla, ma a che pro se già il ricordo d'una vecchia sconfitta avrebbe bruciato ora che nuovo sale era stato gettato su tali cicatrici. Ed in fin dei conti, benché lo spettro non potesse saperlo, la bambola innanzi a lui aveva pensato qualcosa di giusto. Ovvero che a volerla allontanare non era stato il Jekt solitario, il Jekt scontroso, l'uomo cupo che preferiva la solitudine alla compagnia. Ma ciò che in lui già prevedeva un finale simile, insoddisfatto e mesto per entrambi. E desiderava risparmiarlo all'unica della coppia che potesse sfuggirvi, lasciando che a prendersene cura fosse qualcuno di meno destinato a deluderla di lui.
    E quindi te ne devi andare.
    Per questo glielo disse ancora, per questo stavolta non avrebbe accettato obiezioni. Per questo i suoi occhi mandarono un nuovo lampo e le sue membra una vampa di minaccioso calore, sufficiente ad innalzare brevi rivoli di fumo dal tavolo che era un miracolo non fosse ancora bruciato durante i suoi frequenti eccessi d'ira.
    Per questo accolse con un sorriso, nascosto dall'ombra del cappuccio scarlatto, l'arrivo dello sventurato che si schiantò su quello stesso desco rischiando di travolgere chi ci si era steso. Augurandosi che assieme alle parole che aveva appena pronunciato potesse essere un invito convincente a sufficienza per Luna a trovar davvero qualcosa d'altro da fare, che sprecare altro tempo con un relitto come lui.
    Hai di meglio da fare.
     
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    « Hmpf. »


    Quel modo di sbuffare...le labbra serrate, l'aria costretta a passare dal naso con una spinta secca, decisa.
    Gliel'aveva visto fare tante volte...altrettante, l'aveva sentito nei suoi pensieri, quando s'era trattenuto consapevole di farlo anche davvero troppo spesso.
    Sorrise, nel farlo. Nell'imitarlo anche in quello, quando le sue parole la colpirono con la spinta giusta non ad affossarla, ma da sollevarla da li dove s'era lasciata crollare, per un dispiacere che finalmente a rifletterci, riusciva a considerare stupido...
    Certo che Raksaka non c'era. Certo che non ci sarebbe mai più stato, non così, non innanzi a lei. Ma era esistito, ne portava prova nel suo petto. Le aveva lasciato tanto, prima ricordi e poi baci, poi lezioni e poi tutto ciò, di cui ancora non aveva imparato il nome...
    Era meglio di quanti altri ricevessero mai, più di quanto lei stessa non avesse visto altre, identiche a se, ottenere da vite brevi conclusesi nelle fiamme, o nei meandri dei cunicoli più dimenticati di tutto il caos.
    Sentirsi a quella maniera...era normale, forse giusto, ma non avrebbe portato a nulla. Niente, se non un disonore che Raksaka non si sarebbe mai permesso...perchè aveva braccia forti, ed un cuore di puro tuono. E se davvero avesse voluto qualcosa, anche di impossibile, non avrebbe perso tempo a piangere perchè non ce l'aveva. Ma avrebbe afferratoi il mondo per le spalle, l'avrebbe tempestato di pugni, morsi e testate. Fino a che non gli avesse dato ragione, o a spezzarsi sarebbe stato piuttosto lui.
    Jekt non lo sapeva...o forse si. Non era quello l'importante, quanto piuttosto la sua volontà di restare solo, che dopotutto era davvero per il bene di tutti gli altri. Luna l'aveva infastidito già abbastanza a lungo, abusando della sua impossibilità di ustionarla come altrove avrebbe certamente fatto immantinente...e non avrebbe mai ottenuto più di così, dalla tristezza della sua carcassa. Non che tutto ciò fosse poco. O indegno di ciò che si costrinse a pronunciare, a bassa voce, sorridendo mentre finalmente accennava ad alzarsi, prima d'essere investita dal peso di un ubriaco.

    « Gra...?! »


    Luna si rovesciò a terra, la sua sedia anche, il tavolo...forse? Non avvertiva dolore, non poteva farlo, ma scomodità e disagio ancora si, così come l'opprimente sensazione d'avere le vie respiratorie tappate. L'idea di restare a terra, lasciarsi cullare da quelle tenebre, addormentarsi e spegnere le proprie sinapsi fino al giungere della nuova alba la tentò, e forse avrebbe persino vinto, non fosse stato per il puzzo dell'alito di quell'ignoto individuo.
    Che l'attimo dopo le venne tolto di dosso, non da forze esterne ma da quella del suo stesso pugno di marmo, che si levò dritto verso il soffitto del Ramo trascinando con se anche il suo mento. Subito prima che anche il resto di lei s'alzasse, levandosi dal terreno con un ghigno che non era suo, come quasi tutto ciò che possedeva. Ma apparteneva all'uomo che in fondo non sarebbe mai morto, ne avesse conservato il ricordo. E vi avesse fatto onore, rifiutando d'essere da meno, di ciò che sarebbe stato lui.

    « Dammi fuoco a questa. »


    Acchiappò la sedia allora, individuò nei pensieri doloranti di quel poveraccio con la mascella fratturata la responsabile di quell'interruzione. Allungò il seggio verso Jekt, ed ancora prima che egli le negasse il proprio assenso a rendere incendiario tale dardo, lo scagiò a tutta forza verso la donna scura che aveva appena fatto l'errore, di risvegliare in lei un tipo diverso di sbronza: depressa lo era già stata. Quello era il momento, di divenire molesta.
     
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    Così va meglio. Così riesce a respirare ancora.
    C'era un peso sul petto, uno immateriale, che non riusciva ad artigliare né azzannare, uno che la stava poco a poco trascinando in basso e che non la smetteva di premere e scavare. Una cappa sotto la quale non era ancora riuscita a prendere un respiro come si deve, non col costante plicplicplic a rimbombare nella testa e nel petto. E chiudersi in gabbia non aveva migliorato la situazione.
    Perché è di questo che si tratta, no? Questo fantomatico "porto sicuro" in cui passare la notte e aspettare che la tempesta finisca. Un unico, piccolissimo pezzo di terra con un tetto e circondato da quattro mura, al di fuori di esso pioggia a non finire. Impossibile uscire, impossibile andarsene, non mentre la tempesta continua senza sosta da anni. Che cosa allora dovrebbe distinguere questo rifugio da una prigione?
    L'odore dell'alcol pizzica le narici, quello del cibo stuzzica le labbra. Ah già, una prigione in cui si viene nutriti, davvero splendido, perfetto quasi. Si chiede perché mai non dovrebbe passarci tutta la vita.
    Idioti, tutti idioti. Tutti perdutamente idioti.
    Piega appena la testa, una grossa mano che puzza di alcol anche più del resto le sfiora la guancia, l'inerzia di chi ha scagliato il pugno è sufficiente a farglielo precipitare addosso, mano serrata ad affondare nello stomaco dell'ubriacone. Ancora, movimento basso, lo intravede appena ma l'istinto di alzare la gamba è corretto e sente il calcio mancarle la caviglia, appena prima di inchiodare quella gamba con un colpo di tallone e ascoltarle il grido inferocito. Finalmente, Shura respira.
    Dio se siete lenti.
    Certo, potrebbe almeno far finta di esserne felice.
    Ma sfogarsi non è rilassarsi, sopravvivere non è vivere e tutto quel che le è riuscito dal montare su questo casino è che adesso Riesce a Respirare. Wow, sensazionale, invidiabile, certamente una condizione non troppo diversa da quella dei più potenti tra coloro nel Ritratto di Dio. Centinaia di filosofi e pensatori a sprecare tempo ed energie per comprendere cosa voglia dire nel profondo quel concetto di Dio a cui tutti loro aspiravano, ed ecco aver risolto brillantemente qualunque dubbio sul senso della vita e sulla soddisfazione ultima dell'esistenza.
    "Ehi, sono riuscita a respirare", incredibile, insuperabile. "Voglio dire, odio ancora tutto ciò da cui provengo e che mi abbia degenerata e qualunque concetto me lo ricordi anche solo lontanamente, e sogno ogni notte di far bruciare anche il ricordo di tutto ciò che sia mai stata aspirazione al Divino. Ah si e odio le persone, sono bugiarde, quasi quanto la sicurezza, niente è più bugiardo della sicurezza, la sola idea di essere al sicuro mi da i brividi e ho iniziato a dormire meglio solo da quando ho scoperto che mi escono delle spade dal petto, ma ehi, Respiro" Fantastico.
    Ah già, la rissa. Quasi si dimenticava.
    O meglio, quel che ne rimane. Che sia per fortuna o sfortuna, il tavolo che ha scelto era pieno di buone intenzioni ma totalmente privo di guerrieri - Ovviamente. Figurati se poteva essere perché sono fenomenale io - e tutto quel che ne resta è un mucchio di ubriaconi sparsi per terra, braccia e gambe intrecciate in un mucchio dolorante, e il tizio con la giacca che aveva puntato svenuto su un altro tavolo.
    Lo stesso da cui le arriva una sedia in faccia.
    Hissssss.
    Ok, questa l'ha sentita.
    Fiato nero la avvolge, una vampata gelida che dal petto le scorre fino al collo e nel tempo di un respiro le copre il viso. Quando la sedia si infrange, il volto del Demone ha incassa di zanne e l'impatto è un colpo di frusta sul collo. Innocuo ma doloroso, abbastanza da sentirla finalmente soffiare di fastidio invece che noia.
    Sbatte gli occhi, il volto del Demone si dissolve in uno sbuffo di fumo, e può intravedere la disturbatrice tra le spire di nero. Pelle bianca, ciocche azzurre, un braccio strano e nessun senso dell'equilibrio. Oh ma guarda, a quanto pare cercare di tirare in mezzo gli altri tavoli ha funzionato.
    Sul serio, Celestina?
    Certo, ha funzionato nel procurarle qualcuno che sembra più sul punto di svenire che di prenderla a cazzotti, ma ehi, cosa non si fa per respirare.
    Se vuoi tira qualche calcio a quell'idiota svenuto, mi sembra più a portata.
    E talvolta si fa talmente tanto da andare a stuzzicare il vespaio più sbagliato possibile.
    Ma non rovinargli la giacca, la voglio.

    LUNA, amica mia, compagna di mille avventure, sorella di mille fratelli e cugina di mille cugine. Tu sola sai quanto io ti abbia sempre ammirata, quanto affetto ho nel cuore per te, la tua pg è come una figlia per me.
    Quindi se per favore non mi ammazzassi Shura e mostrassi comprensione per il suo essere una Povera Deficiente che non ha idea di quel che Fa o di quel che Dice, te ne sarei molto grato.
     
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