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The Longest Night

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    La Cerva, La Dea Rossa, Dea della guerra e della furia, Dea dell'ebbrezza e della follia, Vincitrice del Rave Cocktail Contest da diecimila edizioni e tanti ma taaaaaanti altri titoli!

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    Il Caos Scarlatto

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    La porta cigola mentre lentamente Annie la apre. L'ha sempre fatto, e quante volte s'è ripetuta che dovrebbe oliarne i cardini? Il tempo manca quando ti prendi la responsabilità di dare un tetto a tutti i trovatelli dell'universo, mantenerli al caldo fino al giorno in cui troveranno la propria via.
    Gli ultimi raggi del sole sono morti da poco e la Coppiera li ha salutati con un lungo bacio, conscia del tempo che sarebbe dovuto passare prima di sentirne ancora la carezza sulla pelle. Alle sue spalle il caminetto crepita stizzito a ricordarle che è sempre stato lui, e non quel gran pallone gonfiato svanito oltre l'orizzonte, ad aver tenuto al caldo lei e tutti coloro che di una casa a cui tornare son rimasti orfani.
    Risponde sorridendo, perché farlo è un buon modo per iniziare la serata. Un buon modo per ignorare la sua mano che trema appena, e non per il vento gelido che soffia dall'esterno senza davvero riuscire a raggiungerla.
    Il corvo innevato manda un CRAA d'incoraggiamento dall'insegna in cui l'ha rinchiuso, e quasi si pente di non aver portato del becchime da lanciargli un'ultima volta prima di chiudersi dietro il muro di cinta del bancone, a sostenere l'assalto a cui lei stessa sta aprendo le porte. Le sue truppe son pronte, in forma di botti ricolme d'ogni tipo di liquore poste appena oltre la portata degli avventori e piatti caldi pronti a comparire ad uno schiocco delle sue dita. I tavoli già illuminati da lanterne e candele, carte da gioco dai bordi lisi e dadi d'ogni foggia ad addobbarne alcuni, nella speranza che sfogarsi con giochi simili ritardi il più possibile la prima inevitabile rissa. O che forse possano essere proprio loro a scatenarla, perché non c'è guerrafondaio peggiore d'un ubriaco che perde una scommessa e se la serata finisse senza qualche sgabello rotto ed un paio di commozioni cerebrali saprebbe d'aver fallito nel suo ruolo di locandiera del caos?
    Quando la prima ombra s'avvicina i suoi passi la colgono di sorpresa, e non è qualcosa che capita spesso. Le nuvole sempre più nere che all'orizzonte non smettono d'accalcarsi l'hanno distratta quanto basta ed è rispolverando la sua vecchia, focosa indole, che Annie decide d'avervi dedicato la sua ultima preoccupazione. Niente più pensieri funesti, non prima che l'alba torni a bagnare il mondo con la luce dell'ennesimo giorno. Un'idea consolante, se formulata all'inizio della Notte Più Lunga. Stringendosi a tale rinnovata fede, è con gioia e cuore palpitante che Annie si scansa lasciando al primo giunto lo spazio per entrare.

    Ciao, viandante. Entra, che aspetti? Fa freddo li fuori.


     
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    Comecomecome?
    Appena prima che il primo avventore, potesse varcare la calda soglia del Ramo, tirato a lucido per l'occasione.
    Appena prima che l'ombra sulla soglia, che Annie aveva accolto con la sua voce gentile, muovesse i primi passi all'interno del locale, finendo probabilmente per inzaccherare il pavimento che Solaire, s'era impegnata tanto a pulire.
    Una voce giunse, non dall'esterno ma dalle spalle della locandiera. Il tono agitato e frettoloso, perchè era passato del tempo ormai dal giorno, in cui Annie l'aveva eletta a sua assistente, dandole una scintilla della sua fiamma inestinguibile, e briciole di potere su quel Ramo che entrambe amavano tanto. E mai come prima della notte che stava per svolgersi, la stella aveva preso la propria carica sul serio: dopotutto, se Annie aveva bisogno d'aiuto...chi meglio di lei poteva darglielo!
    Da quanto tempo rassettava, cucinava, spillava? Da quanto tempo non si dava pace, scoprendo che per un simile evento le cose da fare non finivano mai, e poi mai e poi mai? La coppiera sembrava sapere il fatto suo, probabilmente aveva già fatto qualcosa del genere, quando Sol era ancora una stella come tante altre senza gambe o braccia per aiutarla, o altro che raggi con cui osservare da lontano...o forse addirittura quando il suo primo, nucleare abbraccio non era ancora avvenuto e di lei, non esisteva che polvere cosmica dissolta in una colorata ma fredda nebulosa!
    Per Solaire invece era una prima volta, e per quanto le piacesse sperimentare cose nuove, assaggiare sapori mai gustati e fare esperienza di eventi a cui ancora non aveva assistito, il peso di condividere anche solo una piccola, minuscola parte della responsabilità della riuscita di quella nottata...la stava evidentemente mandando ai matti, com'era evidente dal suo sguardo stralunato e dagli occhi fuori dalle orbite, che rivolse alla porta quando Annie si rivolse a chiunque vi fosse al suo esterno.
    Molti, lei compresa, si sarebbero aspettati di vederla elegante ad un evento del genere. Prenderlo come una serata di gala, nonostante l'ambiente informale del Ramo, sarebbe stato uno sbaglio in cui avrebbe finito per cadere volentieri...non fosse stata impicciata nelle cucine, fino a pochi attimi prima. La verità della situazione era ben diversa: i capelli raccolti in una coda spettinata, ciuffi selvaggi ad esser fuggiti all'elastico che v'aveva stretto a causa del vapore e della fretta. Presine di due taglie troppo grosse sulle sue mani, mentre a fatica trasportava un pentolone con sopra un vassoio, con sopra (ed in precario bilico) bottiglie di liquore e pinte già ricolme...a fasciarla pantaloni da battaglia ed una delle sue solite magliette dai colori accesi e dai motivi solari, il tutto sovrastato dal più deliziosamente antiestetico dei grembiuli.
    I vestiti erano solo addobbi dopotutto, ciò che era importante era quel che si nascondeva al loro interno...e dentro quelli c'era una stella spaurita e col cuore a mille, del tutto impreparata all'evenienza che degli ospiti fossero già in arrivo!
    AAAAAAAAAA devo fare ancora un sacco di coseeeeee!
    Corse via trotterellando, lasciando il suo ingombrante carico sul bancone (non dopo avervi fatto apparire un vassoio, così che il calore del pentolone non ne bruciasse il legno), per poi svanire di nuovo nelle cucine, da dove avrebbe salutato il primo giunto con lo sferragliare di pentole e vettovaglie gettate le une sulle altre, dal panico indotto da un arrivo giunto prima di quanto non avesse preventivato. Ah, quanto avrebbe dato per avere un orologio in grado di star dietro al fuso orario sconclusionato del rave!
     
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    Certo, Annie.
    Neve fresca sulle sue spalle. Non aveva un mantello con cui coprirsi l'ultima volta che è giunto zuppo alle porte del Ramo, ed alla disperazione della pioggia preferisce di gran lunga il soffice, tagliente gelo di quei candidi fiocchi.
    Lancelot è il primo ad arrivare ed il sorriso con cui risponde all'accoglienza di Annie è in gran parte dovuto a quello. Ha cavalcato veloce per raggiungere quell'uscio il prima possibile, dopo aver udito il richiamo della locandiera a cui deve la salvezza da un oblio a cui non ha intenzione di ripensare. Persino Banshee, tempestosa e veloce come il tuono, è scomparsa col respiro pesante nel momento in cui il Cavaliere le ha riaperto il rifugio che le ha scavato nel proprio petto. Pagine di storie vissute in compagnia di viaggiatori che spera di rivedere e poter accogliere, scritte solamente grazie alla luce che in quel fatale giorno scorse e raggiunse oltre nuvole troppo dense per essere spazzate via da qualcuno che di forza non ne aveva più alcuna. Un debito che non potrà mai ripagare, ma che non smetterà mai di tentar di saldare. Annie più d'una volta ha contato sul suo braccio e sulla sua spada, ma in una notte come quella che si prospetta nessuna delle due sarà richiesta o necessaria. Per questo giunge disarmato, per questo è con un rapido abbraccio che saluta la coppiera, sfiorandole brevemente la guancia con un bacio.
    Splendida come sempre.
    Non era sola, la notte in cui Lancelot raggiunse il suo rifugio. Si sarebbe asciugato prima o poi grazie al calore che la sua presenza spargeva in ogni angolo del Ramo, ma se farlo è stato tanto rapido e piacevole è anche merito di qualcuno di cui il Cavaliere ode l'agitata voce. Da bonario il suo ghigno si fa più malizioso mentre supera l'ingresso, togliendosi il mantello e lasciando che Gerione s'involi da solo verso l'attaccapanni più vicino, rivelandosi nella camicia candida acquistata per l'occasione abbinata a jeans scuri a sufficienza da non rompere la bicromia che lo caratterizza. Una rapida occhiata per constatare che il Ramo sia il solito, quello che l'ha sempre atteso alla fine d'ogni sua avventura, se non per i tavoli sgombri e l'assenza di voci tonanti d'ubriachi molesti ed avventori assetati. Torna a volgere lo sguardo ad Annie solo per avere conferma d'una domanda di cui conosce già la risposta.
    Lei è di la?
    Alla dea basta annuire per allargare il suo sorriso, accelerare il suo passo così che il bancone lo separi presto dall'area che alle sue spalle gli è sempre stata proibita. In pochi nel cosmo si son mai guadagnati il privilegio di varcarne il confine, addentrandosi nelle misteriose cucine e potendo toccare i boccali che hanno riempito d'alcolici e speranze infinite generazioni di viandanti. Pochi, e di loro Lance ne conosce bene una solamente.
    E' per lei che alza la voce, una volta accomodatosi su uno degli alti sgabelli che costeggiano la muraglia di legno tirato a lucido. E' per lei che picchietta la mano sulla liscia superficie su cui poggia i gomiti, allungando lo sguardo per sbirciare ed anticiparne l'arrivo, divertito dall'idea di disturbarla mentre con tanta foga si mostra indaffarata in preparativi che sa essere già conclusi da un pezzo.
    Allora...chi devo baciare per inaugurare la serata con un drink?
    Il primo di molti, il primo del resto che ne ingurgiterà per quanto gli rimane da vivere, perché se le intenzioni di Annie gli son chiare quella serata avrebbe potuto durare abbastanza a lungo d'avvelenarlo o togliergli il desiderio di vederne una sola altra goccia per il resto dei suoi giorni. Pensieri blasfemi, che spera Annie non colga nel suo impegno a tenere l'uscio aperto affinché tutti possano raggiungere la sua cattedrale. Pensieri che lo scaldano, nella consapevolezza del tempo che avrà da passare senza più l'obbligo d'interpretare il ruolo che il mondo gli ha cucito addosso, perché in una locanda come quella non c'è spazio per eroi ma solamente amici, stretti attorno ai boccali ed alle storie che grazie ad essi potranno vivere e raccontarsi. Una notte più lunga d'ogni altra, questo gli è stato promesso. Più di chiunque altro, Lancelot spera che l'unica Dea in cui abbia mai creduto sia stata sincera a riguardo e renda quel buio degno del nome che gli ha dato.
     
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    Le forze del bene hanno cannato e andare tutti a farvi fottere.

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    La pioggia iniziava a picchiare più forte, e presto avrebbe frustato le finestre del Ramo come una mistress che fa gli straordinari. Abbarbicato al suo tavolo D osservava il salone che si espandeva fin dove gli occhi potevano cercare, ed era abbastanza sicuro di vedere al suo interno tutti i cazzo di abitanti di Hüb. Erano lì che baaallavano… hic… e che si sdoppiavano per via di qualche blasfemo rituale o che ne sapeva lui. Nessuno vedeva, nessuno sapeva. E probabilmente a nessuno interessava.
    Nell’angolo a destra c’erano i pescatori. Vecchiacci con le reti in spalla che mostravano a Annie le prede della giornata. E come si intratteneva lei, a parlare di teste di pesce e stufati e dei trecento modi in cui avrebbe potuto cucinarli e lo sapete che il salmone si può cuocere in un forno a legna mettendolo a indurire sotto le braci? Così facendo viene sopra una crosticina deliziosa, poi basta aggiungere un po’ di erbe, il sangue di qualche dio minore et voilà, il palato è felice e hai raggiunto l’eterna giovinezza. Al sesto bourbon la maggior parte della popolazione mondiale gli stava già sulle palle. Prendi quelli un po’ più al bancone lì, quell’angolino dove sedevano gli orrori antichi e innominabili e l’abisso che quando lo scruti scruta te a sua volta, che cazzo aveva da guardare?
    D si succhiò il labbro e schioccò la lingua irritato, e sarebbe già andato lì a vedere se il vuoto è veramente vuoto e nel caso quanti proiettili ci vorrebbero in linea teorica per riempirlo. Non fosse che le sue pistole erano a righe verdi e bianche come un dolcetto natalizio e non potevano nuocere a nessuno. E poi uno si chiedeva perché ce l’avesse con tutto e tutti quella sera. D era un uomo capace di essere felice in qualsiasi circostanza, ma ogni sorriso ha il suo segreto di bellezza e quello del pistolero era la possibilità di riempire il prossimo di piombo a seconda di quel che dicevano le stelle. Che ci vuole poco a parlare di buonumore, ma dal punto di vista degli altri era facile: nessuna Dea gli aveva messo nei caricatori delle munizioni alle stelle filanti. Uno dice Beh D, tu hai svariati precedenti di fuoco aperto sulla folla... Ma scusate, allora come si disperdono i cortei studenteschi???
    Hnf.
    Quindi Annie non gli lasciava altra scelta che ubriacarsi. Ah, ma non gliela avrebbe resa facile! Si sarebbe preso la sbronza più triste e arrabbiata che il Ramo avesse mai ricordato, avrebbe rovinato la festa a tutti.
    Hic...
    Avrebbe…
    Cheppalleeeeeee...
    Le guance scottavano, la testa girava. Aveva provato con l’intenzione di alzarsi e salutare un paio di avventori tra un sorriso e una coltellata – ma si, una cosa goliardica, riuscendo solo a piegarsi sul tavolo. Guarda come ti riducono male l’alcol e il non dormire da dodici anni. In notti come quelle l’unica speranza del pistolero era stordirsi abbastanza da arrivare al domani mattina dopo una inconsapevole parentesi di buio. Ci sperava sempre, ma non succedeva mai. C’era sempre quella sinapsi stronza che non smetteva mai di lavorare, che lo teneva costantemente sveglio. Anche nel mezzo di una tentata sbronza, quella cosa dentro la sua testa gli impediva di chiudere gli occhi. E il pensiero rallentava e diventava confuso, si, ma mai abbastanza. Quante volte però si era convinto che quella volta sarebbe stato diverso, che forse prendendo qualcosa di più forte sarebbe riuscito a scordarsi il proprio nome e non pensare per qualche ora? Abbastanza per darsi dell’idiota. Non abbastanza da smettere di provarci. Secondo un tipo con dei capelli moicani da paura, quella era la definizione di follia. Allora finiva sempre nello stesso modo. Non c’era niente che si potesse fare, quindi D si metteva ad osservare quello che aveva attorno. A studiare chi entrava, chi usciva. Raramente ci si annoiava, a sbirciare tra i Viaggiatori.
    Annie aveva appena aperto a qualcuno. E parlando di Viaggiatori, finalmente D vide qualcosa di interessante.
    CITAZIONE

    Allora...chi devo baciare per inaugurare la serata con un drink?


    GNANNIEEEEEEEE!
    Allora urlò il nome della Dea, con la stessa voce impastata e il tono che userebbe un vecchio demente per chiamare la sua badante. Forse per cambiargli il pannolone, forse per succhiargli il cazzo. Non sapeva di preciso come funzionasse il lavoro di badante, ma ne avesse mai avuta una la fellatio ci sarebbe di sicuro stata nel colloquio di lavoro.
    E tanto lui lo sapeva che la Dea gli leggeva nel pensiero, la stronza, mica per niente mentre lo diceva si immaginava le più degradanti scene dei porno casalinghi che aveva visto in vita sua così che lei si sentisse più a disagio possibile. La sua vendetta. Iniziava Ora.
    Solo che lei mica gli dava soddisfazione, fosse mai, nono. Roteando gli occhi e sospirando si limitò a indicare a Lancelot il tavolo del pistolero. Brava, piegati agli ordini. L’avrebbe lentamente resa una sua creatura.
    Se proprio lo vuoi queshto bashio...
    No dai, poteva parlare meglio di così. Non era messo così male. Non ancora. Raddrizza la schiena, braaavo… si masticò un grumo appiccicoso e lo sputò a terra. Le labbra erano secche, pessime sia per poggiarle sul bordo di un bicchiere che per regalare una serata fantastica all’uomo dei suoi sogni. Nulla di irrimediabile con una bella bevuta.
    … il drink deve essere doppio.

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    Edited by r a v - 31/1/2022, 14:55
     
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    Cosa???
    Voci dall'esterno delle cucine, un intero villaggio di pescatori ed al loro fianco uno stuolo di concetti astratti dai gusti difficili e sofisticati. E lei doveva preparare il pesce, le patate e lo sgnorgoboz assieme, ed anche potendo ordinare al Ramo cosa fare con uno stimolo neurale, come diavolo ci riusciva Annie a sembrare sempre così preparata e pronta a tutto, quando le sue cucine erano un tale irrimediabile caos!
    Come se non bastasse, una voce al bancone. Non una qualsiasi, ma quella di qualcuno che sapeva esattamente quanto agitata fosse per la serata che si sarebbe tramutata in notte, e che non sarebbe mai più divenuta mattina. Non era certo la prima viaggiatrice a riscuotere le simpatie di Annie, a farsi stringere un grembiule al collo e darle una mano, anche se forse l'unica per cui non c'era stato bisogno che la locandiera facesse nulla per schiavizzarla, perchè la società delle stelle non prevedeva ne la propriatà privata, ne pagamenti in cambio di simili prestazioni.
    Ma era sicuramente colei che se ne stava preoccupando di più, consapevolezza data dalla semplice constatazione che a lottare con pentole senzienti e forchettoni con la passione per l'impalamento, in quella cucina c'era solamente lei!
    E Lancelot si permetteva di fare battute e prenderla in giro, quando sapeva bene quanto importante per lei fosse la buona riuscita di quella notte? Oh, un periodo così lungo al Ramo, dove tutti sarebbero stati costretti da Annie ad andare d'amore e d'accordo, festeggiare assieme e divertirsi, magari picchiandosi si, ma sempre con spirito amichevole e senza rancore...
    Sol aveva ormai accettato quando buio fosse necessario ingoiare, in quel mondo terreno, per incontrare una singola scintilla di luce. Aveva imparato come fare ad avvertirlo meno amaro, e come far perdurare più a lungo il gusto di una singola vittoria, così che la sua eco aiutasse anche nei momenti peggiori...
    Ma un evento del genere. Una nottata del genere! Senza la possibilità di ricorrere alla violenza quanti modi restavano al caos, per stordirla e buttarla a terra? Annie era la migliore guardiana della pace che le potesse venire in mente, e sotto il suo sguardo vigile ed attento...quanta bellezza, sarebbe potuta nascere.
    E lei sarebbe stata parte di quella bellezza. A costo di perdersela tutta quanta, rinchiusa nelle cucine affinché tutti gli altri avessero di cosa mangiare e bere!
    Oooh non pensarci nemmeno, stasera ho da lavora...
    Emerse dalla misteriosa porta, oltre la quale in pochissimi avevano mai messo piede, reggendo un forchettone assassino che aveva acciuffato al volo in una mano, un pollo di gomma nell'altra, circondata da una nube di densissimo vapore dall'odore indefinibile ma delizioso che le rese gonfi e freschi i capelli. Sventolò l'arma improvvisata con fare minaccioso, verso un Cavaliere così irrispettoso da non meritare affatto il suo titolo, scrutandolo con occhi di fuoco...quando un figuro ben più losco, imbruttito e malmostoso si fece avanti, rispondendo alla maliziosa domanda retorica posta da Lancelot.
    Il primo istinto, fu quello di infilzare anche lui. Qualcuno dei molti avventori che dovevano ancora giungere avrebbe pur gradito carne umana con contorno di libro arrosto, no?
    Ma poi, a ripensare più attentamente al significato delle sue parole...il broncio di Solaire si deformò in un sorriso da Grinch, ed in men che non si dica si ritrovò poggiata al tavolo con i gomiti, gli occhi a cuoricino mentre osservava mordendosi le labbra la nuova coppia.
    Forse era troppo sensibile all'argomento. Forse per mantenere i ritmi necessari a far andare avanti quelle cucine, s'era già scolata tre botti di bourbon? Sbattè le ciglia lentamente fissando prima Lancelot, poi D...sfidando implicitamente il Cavaliere a fare del proprio peggio, ma con le labbra di qualcun altro. Quello, o col potere che Annie le aveva concesso, gli avrebbe impedito di ingoiare una singola goccia d'alcol per il resto di quella lunga nottata!
    Heheh. L'hai sentito, no?
     
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    Farla arrabbiare era sempre un piacere. Vederla uscire dalle cucine imbronciata, rubiconda ed armata strappò al Cavaliere una risata ben più sonora di quella che avrebbe dovuto concedersi e che si sarebbe permesso altrove, in luoghi ove sarebbe stato meno ragionevolmente certo che il punteruolo agitato tra le sue mani non sarebbe davvero finito infilato tra le sue costole: che una rissa si scatenasse prima o poi in quella che era una nottata ai suoi albori non era questione di se ma di quando e Lancelot non aveva dubbi sul fatto che ci si sarebbe lanciato più che volentieri, ma le armi erano pur sempre vietate dal patto di non belligeranza che tutti siglavano forzatamente con l'onnipotente padrona di casa, no?
    Certo, forse per Solaire avrebbe fatto un'eccezione, cavillando sul fatto che quello impugnato dalla stella fosse in effetti non uno strumento d'offesa ma una semplice vettovaglia appuntita, e nel caso non si sarebbe nemmeno sentito in diritto di darle torto. Come non cedere a quel bel faccino in fin dei conti?
    Ma farla infuriare era solo parte del divertimento. L'altra metà consisteva nel riuscire a farsi perdonare nonostante tutto, strappandole una risata con cui sgonfiare le sue belle guance piene di risentimento. Ed il destino volle, o molto più probabilmente fu Annie a farlo, che il metodo perfetto per riuscirci si palesasse spontaneamente, senza neppure dare al Cavaliere il tempo per ingegnarsi nel trovarne uno.
    Oh...D.
    Che anche il pistolero fosse tra i presenti non era una sorpresa, così come non lo era il fatto che fosse già sbronzo o che stesse impegnandosi con tutto se stesso per rendersi sgradevole a tutti, compreso se stesso. In un altro momento Lance si sarebbe preso la briga di sedersi al tavolo con lui, ordinare a sua volta qualcosa da bere e sentire quale stupido motivo si fosse inventato questa volta per rovinarsi la nottata...ma Sol s'era pronunciata ed il Cavaliere era più che certo si sarebbe dimostrata di parola, nel consegnargli la pinta cui agognava solamente nel caso in cui l'assurda condizione richiesta dall'albino fosse stata soddisfatta.
    C'era molto che Lancelot avrebbe potuto sopportare, sacrifici che si sarebbe dimostrato più che disposto a compiere in nome di qualsiasi causa avesse ritenuto nobile o valevole a sufficienza da dargli modo di gonfiare il proprio ego con la pretesa d'aver fatto ciò che riteneva giusto. Ma nelle molte privazioni che si sarebbe volentieri imposto, la sobrietà non era listata.
    Vieni qua.
    S'avviò a passi lunghi verso lo sbronzo compagno d'avventure, contraddicendo quanto appena detto perché consapevole che ridotto in quello stato D non sarebbe riuscito a muovere più di tre passi in linea retta prima di barcollare o vomitare. Quell'ultima prospettiva in particolare era poco piacevole e visto che il momento in cui lo stomaco del pistolero avrebbe alzato bandiera bianca, arrendendosi senza condizioni alle peggiori conseguenze d'una sbronza, sbrigarsi nel fare ciò che doveva divenne un'impellenza a cui sottrarsi non avrebbe fatto altro che peggiorare le cose: raggiungerlo fu questione di pochi istanti, prendere il coraggio necessario a macchiare la neonata notte con il primo del presumibilmente infinito elenco di peccati che si sarebbero consumati tra le Mura del Ramo, gli richiese nient'altro che un profondo respiro.
    La sua mano scivolò dolcemente lungo la nuca dell'amico che stava per divenire qualcosa di più, e dopo una rapida carezza l'afferrò con più vigore stringendosi tra i candidi capelli e sollevando il suo capo abbastanza perché per guardarlo negli occhi, Lance si dovesse chinarsi appena. I respiri dei due uomini si mescolarono l'un l'altro per un istante infinito, in cui il Cavaliere si perse negli occhi di ghiaccio del pistolero...avrebbe potuto concludere in quel momento, ma voltò il capo un'ultima volta per rivolgere un'occhiolino ad Annie, Solaire e chiunque altro stesse attendendo il primo atto d'amore che si sarebbe consumato in quelle sale.
    Godetevi lo spettacolo.
    E poi lo fece. Si voltò di scatto e chiuse gli occhi nel momento in cui le sue labbra si posarono su quelle di D, dischiudendosi per lasciar passare una lingua che avrebbe danzato sulle note d'una passione mai espressa se solo il suo compagno di ballo gli avesse concesso l'ingresso. In fin dei conti ad Alice gli yaoi non erano mai spiaciuti, e dopo una vita intera passata a corteggiare principesse e ricever solo pugnalate e dolore in cambio, non era forse ora che Lance esplorasse nuovi orizzonti? Aveva sofferto a lungo, portato sulle spalle il peso d'un regno intero solo per vederselo crollare addosso...forse, stretto tra braccia più forti, avrebbe avuto meno freddo. Forse vicino a qualcuno pronto a stare al suo fianco, anziché volerlo nascosto dalla propria ombra, avrebbe scoperto di poter amare ancora?


    Colonna sonora consigliata: <3
     
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    Se l'era perso, affondando la lama di Molly nel petto dell'ultimo per cui era stata chiamata, le orecchie troppo colme di un familiare canto affidato al vento per riuscire a cogliere dell'altro. Ma un annuncio come quello di Annie, neppure un sordo avrebbe potuto perderselo.
    Successe poi, quando domandò ad altri viaggiatori come lei cosa fosse quella notte, di cui tutti stavano parlando. Quando le venne spiegato, Ginny sbuffò. Le chiesero di unirsi a loro, perché il cosmo intero ci stava andando. Al che, la mietitrice rispose nella maniera che suo padre le aveva insegnato.
    La Vendetta non si concede pause.


    Non era la prima volta che mentiva, e non sarebbe stata l'ultima. Dire il falso era necessario per svolgere una mansione come quella di cui si sentiva ancora investita, nonostante il suo datore di lavoro fosse un folle, che l'avrebbe volentieri punita per ciò che gli aveva fatto l'ultima volta che aveva timbrato il cartellino. Le menzogne che ci si racconta quando nessun altro può ascoltare sono le più facili, perché nessuno è un giudice impietoso di se stesso.
    E ciò nonostante riuscì a sentirsi in colpa, mentre varcava la soglia che in molti prima di lei avevano già attraversato. Rifugio tanto per i santi quanto per i disagiati, il Ramo le aveva dato una casa quando non ne aveva avuta più nessuna permettendole di conoscere, il tepore di un focolare che Morte non avrebbe mai acceso nella sua caverna. Le anime dei morti hanno bisogno del buio, perché un solo raggio del sole che sono destinate a non vedere mai più sarebbe sufficiente a riempirli di una nostalgia che è veleno, per il delicato suolo del Giardino. Una bambina ha bisogni differenti da quelli di un trapassato, ma Morte questo non l'aveva mai capito. Ginny vedeva bene al buio perché nelle tenebre era cresciuta, giocando in maniere che nessun suo coetaneo avrebbe mai considerato un divertimento. E come ogni creatura notturna, dalla luce era in egual misura affascinata ed intimorita.
    Ma era stanca, e lo era da più di quanto un uomo avrebbe potuto esserlo senza presentarsi alla soglia di cui lei aveva rubato la chiave. Poteva dirsi immune alle debolezze di una razza cui apparteneva solamente per metà, convincersi che gli immortali non abbiano bisogno di riposare. Ma nessuna delle sue bugie avrebbe reso i suoi piedi meno pesanti, o il suo capo meno chino.
    Pare sia arrivata al momento giusto.
    Non è comune che le cose vadano proprio come è stato sperato facciano. Nessuno maledirebbe il nome di Dio, se ogni preghiera venisse puntualmente ascoltata ed esaudita. Che fosse per negligenza o sordità che il cielo restava muto di fronte alle richieste che chiunque vivesse sotto la sua volta gli rivolgeva, Ginny non l'aveva mai capito. Ciò che sapeva, era quanto prezioso fosse l'istante in cui una simile regola trovava la sua eccezione, e quanto grata essere alle persone che spesso senza volerlo, prendevano parte ad un simile miracolo.
    Lancelot e D, li aveva conosciuti in una giornata torrida a sufficienza da aver seccato ogni sua morente speranza. Le avevano donato un riso ingenuo e spontaneo, curvando le sue labbra ad angoli che aveva quasi scordato potessero assumere.
    Era merito loro, se da allora Ginny aveva scelto di cedere alle lusinghe della compagnia durante i suoi viaggi ed i suoi lavori. Qualcuno l'avrebbe considerata una colpa, perché è difficile che il cammino al fianco della Morte non sia fosco e costellato di trappole, poste da coloro che desideravano giocare il fato che il tribunale dei corvi aveva deciso per i mortali. Ma non lei.
    Qualsiasi cosa abbiano preso loro...
    Che in coppia fossero capaci di ripetere un simile miracolo, fu al contempo una sorpresa e la più ovvia delle constatazioni. Osservarne l'appassionato bacio illuminò il volto della Vendetta di un ghigno diverso, da quello che assumeva nell'esecuzione del suo compito, l'attimo prima di sparare il colpo letale. Non li interruppe, perché dell'amore sapeva poco, ma non così poco. Si diresse invece al bancone, alle cui spalle ad attenderla non c'era la rossa Coppiera la cui voce aveva rischiato di ignorare, ma la stella al cui fianco aveva compiuto una delle poche imprese di cui si sarebbe definita fiera.
    ...io prendo qualcos'altro.
    Un alto sgabello su cui rannicchiarsi, stendendo il busto sul bancone come una randagia che ha finalmente trovato un rifugio sicuro per la notte, non avrebbe chiesto altro. Ma ciò che altrove era avidità al Ramo era buon costume, e per questo un bicchiere colmo del veleno che le avrebbe permesso di mettere a tacere le voci che neppure in quel momento il vento smetteva di portare alle sue orecchie, non l'avrebbe di certo rifiutato.
    Una sola notte di riposo, non era una richiesta così assurda. Furba come Jhonny e Molly le avevano insegnato ad essere, Ginny aveva solo scelto che la sua sarebbe stata la più lunga di tutte.
     
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    IIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIHH!!
    Un verso insensato, perchè insensato fu il turbinio d'emozioni che travolse Solaire, quando le labbra di Lancelot si posarono veramente, su quelle dell'uomo a cui Annie aveva sequestrato le pistole. Occhi a cuoricino e fuori dalle orbite, capelli ed incarnato luminosi come raramente prima di quel momento, i colori che cambiavano come quelli, di una luce stroboscopica su di giri: le guance rosse d'imbarazzo ed eccitazione, i capelli rosa di lussuria, ma poi...anche scarlatti di rabbia, per un attimo persino verdi di pura invidia. Sol era...gelosa?! Mai ne aveva capito il senso prima, e neppure mentre provava quel sentimento sconosciuto fu in realtà capace di comprenderne la natura, perchè una stella ama tutto il creato e D non faceva eccezione, aprendo con la consapevolezza che il Cavaliere fosse disposto a baciarlo per sfida, una pletora di possibilità che avrebbero distratto la fanciulla stellare per tutta la serata e finchè, non fosse riuscita a testarne almeno una dozzina. L'eco delle notti passate, nascosti da un baldacchino oltre i confini del mondo, assieme a Lancelot riverberò nel suo piccolo cuore eccitato e confuso, ricordandole quanto in quei momenti fosse giunta a pensare, che il Cavaliere dovesse essere suo, e solo suo...
    Ma da quando in qua questo avrebbe dovuto significare, che non potesse essere anche di qualcun altro?
    Forse era solo una sciocca, e si stava agitando per niente, come troppo spesso le capitava di fare, perchè quella era una sfida e pochi altri sapevano bene quanto lei come all'uomo in bianco e nero piacesse poco perdere, ed invece molto mostrarsi capace di ogni impresa. Eppure, eppure, eppure...iiiiiiiiiiiiiih ed ancora iiiiiiiiih!!
    A salvarla dall'impressione d'una teiera che aveva accumulato troppo vapore, un viso noto e come sempre stanco. L'entrata di Ginny interessò le labbra della stella che dal mordicchiarsele con furia, passò all'inarcarle in uno splendido sorriso, perchè la bella ed inquietante rossa portava nella sua scia i ricordi, della magica notte che avevano vissuto assieme. Avevano già ballato per festeggiare, d'avere assieme riportato la luna nel cielo che le apparteneva, ma una simile e splendente vittoria non la si festeggia mai, davvero abbastanza. Restare a fissare le interazioni tra i novelli amanti avrebbe potuto intrattenerla per sempre ed anche di più, la sua vecchia indole da stella guardona, mortalmente interessata dalle vicende degli umani che da sempre l'affascinavano tanto, riemersa grazie ad un inaspettato bacio...ma proprio come allora i suoi occhi erano lunghi e potevano giungere, ovunque arrivassero i raggi dell'ormai splendente luce che emetteva.
    Ben arrivata splendore ☼
    Raggiante era sempre stato un ottimo aggettivo per descriverla, ed in poche altre occasioni simili a quel momento era stata più adatta a farlo: quando Ginny si accasciò sul bancone innanzi a lei Solaire vi si posò di fronte, contemplandola per lunghi istanti, assaporando gli argentati ricordi che assieme erano riuscite a creare...prima di scattare in piedi, ricordandosi d'essere li per lavorare e che quello della barista, fosse il ruolo che s'era scelta: flirtare con i clienti era parte del contratto ma prima, doveva pur sempre assicurarsi che i loro ordini fossero sulla strada per giungere tra le loro mani e giù nei loro stomaci!
    Oh, tranquilla...lascia che ci pensi io.
    Annie le aveva insegnato molto, da quando per la prima volta aveva indossato un grembiule mettendosi in testa, d'aiutarla anzichè ubriacarsi assieme a tutti gli altri. Spesso le due cose coincidevano, perchè le notti migliori al Ramo le si passava sbronzi e rapiti dai fumi, di cui la sua proprietaria s'assicurava che tutti fossero inebriati...ma prima di lasciarsi andare Sol voleva perlomeno aiutarla davvero con quei primi, bellissimi arrivi.
    Come spillare una birra, come portare più piatti in una volta, come sedare una rissa o aprire una botola che avrebbe portato i suoi partecipanti nell'arena nascosta sotto il locale, dove i loro tafferugli avrebbero potuto risolversi senza che chi desiderava solo di bere e divertirsi rischiasse d'essere colpito da fulmini, proiettili vaganti o malefici. E poi l'abilità che a Solaire piaceva più di tutte, quella di creare cocktail basandosi non su vetuste ricette ma sul proprio istinto e ciò che di vero si nascondeva, oltre gli occhi di ogni viaggiatore, così che la bevanda proposta fosse personalizzata e come le carezze della locandiera andasse a raggiungerli li dove il loro cuore batteva.
    Per Ginny...la stella ci pensò un attimo ma fu semplice capire cosa fare, e quali ingredienti evocare dalle cucine e dalla cantina con uno scintillante schiocco di dita: un calice apparve dal nulla, tondo e capiente perchè la notte era appena iniziata e se alla mietitrice la sua ricetta fosse piaciuta, avrebbe potuto farsene accompagnare fino a quando il sole non sarebbe tornato a splendere. Al suo interno, Solaire versò ingredienti che mescolati con meno maestria di quella che aveva appreso avrebbero avuto poco senso, assieme: la prima fu la cioccolata, perchè per quanto Ginny lo nascondesse dietro a teschi e lame, e polvere da sparo, di dolcezza aveva bisogno. Poi qualcosa di rosso, crema di formaggio dolce che bene si amalgamasse alla bevanda calda abbastanza da scaldare il suo cuore gelato, e le desse grazie ad un colorante il tocco di colore che Solaire voleva imporgli così che nel berla, colei che si faceva chiamare volto di morte non perdesse la faccia. Già rassomigliante ad un fumante, vampiresco bicchiere di sangue di sangue appena estratto, l'ultima aggiunta fu la più importante...rum, perchè per legge divina nulla di ciò che veniva servito tra quelle mura poteva essere al di sotto dei trenta gradi etilici, e la sua essenza rese l'illusione sanguigna ancor più lucida e credibile.
    Soddisfatta dalla sua creazione Solaire tornò a voltarsi verso colei che l'aveva ispirata, allungandole il bicchiere con tanto di sottobicchiere con un bel teschio stampato sopra. Le sorrise, e facendole l'occhiolino parlò, attendendo in fibrillazione che la bella tenebrosa assaggiasse la sua opera e le dicesse, quanto fosse o non fosse deliziosa.
    Ecco qua! Il primo giro lo offre la casa.
     
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    dalla stella che brilla di meno...un BUCO NERO O_O

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    Nessuno lo accoglie, e va bene così. Lui ha scelto d'intrufolarsi nell'ombra di qualcun altro. Lui ha scelto di scivolare silenziosamente verso un tavolo lontano, perché è l'unico a sapere davvero di casa.
    Del lungo tempo passato al Ramo ha un ricordo confuso. Diavolo, tutti i suoi ricordi lo sono, le fiamme ghiotte di ciò che ha vissuto quanto troppo a lungo le lascia a digiuno di ciò che è destinato a servire loro. Eppure i buchi che la sua mente associa allo strano calore provato tra quelle mura hanno un sapore distintivo, identico a quello del liquore nella boccetta che porta sempre con se e che ora posa sul tavolo e stappa, in attesa d'un bicchiere.
    Annie prima o poi giungerà a servirlo, l'ha sempre fatto. Per ultimo perché attendere non gli dispiaceva, per ultimo perché forse neppure lei poteva trattenersi dal detestare ciò che era, per quanto i sorrisi che gli rivolgeva non gli fossero mai apparsi come falsi.
    Le voci sono vivaci, è facile perdervisi. Gli avvenimenti molti, e tutti contemporanei, è semplice lasciarsene trasportare. In un luogo dove non può fare del male a nessuno Jekt non può stare bene, un demone affamato nel suo cuore ad impedirglielo. Ma nemmeno male come quando l'uomo che è stato fa capolino tra le ceneri che l'hanno reso una brace ma mai ucciso, dopo essersi lasciato andare ad un nuovo massacro.
    Sa perché ha abbandonato quelle mura. Sa quanto la loro consolazione non sia che una trappola e perdere se stesso non sia sufficiente a trascinare con se anche il fuoco che in ogni istante brucia la sua anima. Non ha mai creduto di potervi trovare una cura, gli anni incessanti troppo pesanti sulle sue spalle perché potessero reggere ancora l'insostenibile macigno di qualche grammo di speranza. Ha inseguito un sogno, ma non l'unico che l'avrebbe reso davvero libero.
    Capelli neri, labbra rosse, pelle candida ed un volto che non gli è mai dato vedere. L'ha sognata per la prima volta in una camera che Annie ha dovuto abbattere, i solchi carbonizzati troppo profondi per essere sostituiti, e da allora non ha mai smesso di cercarla all'ombra di una Torre che forse non è mai davvero esistita.
    Uno scopo, stupido forse più di tanti altri. Un motivo per tornare a camminare tra i mondi degli uomini, lasciandosi dietro una scia di cenere sempre più lunga, invisibile ad occhi che finalmente anziché voltarsi e struggersi nell'osservarla hanno un orizzonte da scrutare alla ricerca di qualcosa che probabilmente, mai vi scorgeranno.
    Chissà, forse Annie centrava qualcosa con tutto questo. Forse era stanca di vederlo seduto a quel tavolo, stufa delle bruciature che il Rosso individua facilmente ricordando d'averle incise nel legno del desco su cui poggia i gomiti, in attesa d'un bentornato che sa suonerà fin troppo dolce alle sue orecchie.
    Una notte, una soltanto. Ha i piedi stanchi per il troppo camminare e per quanto il suo demone gli abbia sempre impedito di patire il freddo, poter dormire con un tetto sopra la testa è un lusso che non si permette da quando è partito con nient'altro che una fiaschetta e l'ombra di un sogno con se.
    Una sola, lo spettro d'un amore mai esistito potrà attenderlo ai piedi del Grattacielo qualche ora in più. Sa cos'ha detto Annie, sa cosa s'aspettano tutti ma non è li per restare, ma solo lasciare il proprio saluto.
    Qualche goccia e poi se ne andrà, lasciando quei viaggiatori ad una festa che con lui non potrebbe che farsi più cupa. Ricorda una notte, mentre li osserva ridere tra loro, scorgendo volti che conosce e molti che non ha visto mai. Ne ricorda una più luminosa di altre, dove per la prima volta ha conosciuto i primi di cui ha iniziato a ricordare il nome. Uno non c'è più, l'altra è rimasta scottata dal suo fuoco, l'ultimo è quasi certo non verrà. Eppure i loro spettri bastano, incompleti ed offuscati perché i suoi occhi non riescono a distinguere ciò che è perso in un passato dai bordi pericolosamente prossimi all'orlo delle fiamme, eppure chiari come le migliori allucinazioni l'alcol gli abbia mai dato. Non lo faranno per sempre ma solo un po' basta, solo un po' va bene. C'è qualcuno da cercare, uno scopo da perseguire, non può fermarsi per sempre. Nella notte più lunga, Jekt desidera solamente affacciarsi. Ricordarsi di tempi che non definirebbe felici, ma che lo stesso non riesce a non avvolgere d'una certa nostalgia. E poi sparire di nuovo tra le ombre, dove la sua fiamma avrebbe potuto ardere più intensa.

    Arriva pure Jekt e si mette in disparte a farsi i cazzi suoi u.u
     
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    Non è mai finita bene, quando ha bevuto.
    L'alcol l'ha sempre resa molesta, aggressiva. Più affamata, come se qualcosa di caldo nello stomaco potesse dilatarlo, con un appetito che solo cuori e violenza sono mai riusciti a saziare davvero. Sa che solamente uno di quegli stimoli, appartiene a lei. All'automa risvegliatosi solo, su un mondo solitario, pronta a divenire cibo per vermi a cui non si sarebbe opposta, non fosse stato per lui.
    Da lui, viene il richiamo ad uno stile di vita più attivo, più predatorio, nei confronti delle gioie che le ha insegnato ad apprezzare. L'arena sotto il Ramo niente più che un palliativo, perchè è il sapore del sangue a connetterla più saldamente con il suo fantasma, e non può saziarsene la dove versarlo è vietato.
    Annie ha invitato tutti, perchè possano godere delle tenebre nell'unico rifugio dove non osano addentrarsi. Si sentirebbe in colpa, la bambola che attraversa la soglia della locanda portando con se il vento gelido dell'esterno, ad averne un frammento al fianco, racchiuso da un fodero incapace di occultarne davvero, l'inquietante presenza...non fosse consumata da uno dei pochi sentimenti che, ora che è capace di provarne, rinnegherebbe volentieri in cambio del doloroso vuoto, di cui era stata inerme vittima per tanto tempo.
    Annie ha invitato tutti, e lei scioccamente c'ha sperato. Lontana dalla pace del Ramo, dal calore della sala in cui tante volte è passata con lui, è sempre riuscita a mettere a tacere la voce, che le sussurra quanto sarebbe bello averlo ancora accanto. Senza passato, incapace di pena e risentimento, non è stata creata per provare nostalgia. Raksaka le ha lasciato molti doni, ed altrettante maledizioni. I ricordi dei momenti passati assieme oscillano tra i due estremi, ma il pendolo si ferma nel momento in cui Luna commette l'errore, di allungare lo sguardo e la mente aspettandosi di trovare gli unici, che vorrebbe davvero incrociare.
    Le sue labbra si piegano appena verso il basso, chiunque non la conosca neppure noterebbe quella minuscola inflessione. Per lei, è l'equivalente di un grido. I passi con cui attraversa la sala sono ampi, pesanti, anche se non vorrebbe attirare l'attenzione. In molti si stanno divertendo, allietati da uno spettacolo a cui lei non potrebbe neppure fingere, d'interessarsi. Il dolore è una cosa privata, non ha intenzione di condividerlo, quanto piuttosto di affogarlo. Giunta perchè attirata da un'illusione che è stata lei stessa a tendersi, non ha nessuno da biasimare, nessuno con cui prendersela. Ma se non può cancellare quell'emozione, può almeno ubriacarsi abbastanza da scordare d'esserne colpevole.

    « Credo di doverti un drink. »


    Ricorda quell'uomo, ricorda le sue spade con la nitida chiarezza dei tagli incandescenti che aprirono sul suo petto. Ricorda l'alcol che v'aveva versato sopra, così che Annie sapesse dove trovarla e si prendesse cura di lei, ricucendola e tenendola al caldo ed al sicuro, finchè più furiosa di prima non era stata capace di rialzarsi, gettarsi nuovamente a caccia di sfide grandi abbastanza, da farle scordare la sua ritrovata solitudine.
    Non si siede al suo tavolo per sdebitarsi, di qualcosa per cui non si sentirebbe mai in credito. Lo fa perchè tra molte menti riverberanti del pacifico tepore della locanda, la sua è l'unica abbastanza oscura da risuonare con ciò che di peggio lei ha dentro ed ha scelto di nutrire.
    Non chiede, e se disturba non le importa. Impone la sua presenza, così come ricordi indesiderati hanno imposto a lei la propria, sedendosi pesantemente di fronte a lui, osservando con insistenza il buio aldilà del cappuccio scarlatto. Uccidere altri, anzichè il suo cuore, s'è dimostrato un metodo efficacie per contrastare i sintomi, di una malattia rimasta però intoccata. Se la notte è lunga come Annie l'ha promessa, allora forse avrà tempo a sufficienza. Per scoprirne l'origine, trovare le sue radici. Ed estirparle una volta per tutte, così che brucino nel camino di cui scorge le fiamme danzanti, ed in esso diventino la polvere di un passato, buono solo per essere calpestato dalle sue scarpe.


    Per bilanciare l'eccessivo ed eccitato ottimismo di Sol, ecco una Luna scazzata e malmostosa, unirsi all'angolo antipatici.
     
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    In poche cose Ginny si sentiva fortunata. Erede di un potere che a molti faceva gola, ma solo perché ignari dei molti prezzi che reggerne il gravo portava a dover saldare, Vendetta in nome di altri ma mai per se stessa. Ma persino nell'ombra di una vita generata al buio, e destinata a concludersi nella medesima ombra, la luce aveva trovato crepe in cui germogliare. Ginny non osava ammirarla troppo a lungo, preoccupata che il suo sguardo potesse sciuparla, perché nulla dura a lungo se c'è la fine di ogni cosa a fissarla negli occhi. Si diceva che suo padre potesse fermare un cuore con un pensiero, che ogni anima mietuta dai suoi sottoposti fosse lui a coglierla davvero, strappandola al morso di chi ancora troppo umano non avrebbe resistito al canto d'un sapore tanto pieno. Lei aveva visto cosa accadeva ai suoi colleghi quando se ne rimpinzavano e tra l'orrore della mortalità e la consapevolezza d'essere un mostro, aveva scelto la prima.
    Forse per questo, poteva ancora godere dei raggi di una stella senza esserne bruciata. Forse per questo al suo fianco aveva potuto liberare la Luna dalla palude in cui era stata fatta sprofondare, senza restare ustionata dai suoi dolci raggi argentei.
    Sembra magnifico.
    Vederla indaffarata era un piacere forse migliore dell'osservare vecchi amici scambiarsi esagerate effusioni, perché se della malizia Ginny non conosceva il linguaggio era stata Solaire ad introdurlo a quello della dolcezza. Muta a tal riguardo, aveva smesso d'esserne sorda grazie a lei e per questo gradì la serenata che la stella le dedicò offrendole un bicchiere di ciò che era troppo denso, e scuro per essere sangue. Ma che avrebbe gradito molto più d'ogni stilla scarlatta che la sua lama avrebbe potuto spillare.
    Raddrizzarsi sul bancone fu faticoso, e nel grugnire Ginny avvertì il frullio d'ali che accompagnava i ricordi che Molly aveva lasciato per tormentarla, il giorno in cui suo padre era giunto a reclamare servitori fuggiti ai termini del loro contratto.
    Quante volte, aveva cercato di insegnarglielo. Quante volte le aveva detto come una signora avrebbe dovuto comportarsi, aggiungendo storie di come farlo le aveva permesso meglio d'ingannare chi nel sesso opposto vedeva qualcosa di debole e vulnerabile.
    Jhonny rideva, latrando i propri acidi commenti in versi di cui Ginny non conosceva la traduzione ma che ciò nonostante, erano chiari nel loro senso quanto lo erano per Molly. L'aveva quasi baciato una volta, sfiorandone le labbra con un lungo becco nero. Solo per mordergli il naso e volare via, prima che le sue dita raggiungessero il revolver che ora pendeva al fianco dell'unica figlia la coppia avesse mai avuto.
    Ma bere da sola porta male.
    Un brindisi a loro, Ginny sapeva di doverglielo. Quello e molto altro, ma se era troppo pavida per affrontare un padre dalla cui ombra non sarebbe mai potuta uscire lo era anche abbastanza da non voler offendere Solaire, temendo nuovi danzanti obblighi avanzati nei suoi confronti. Non avrebbe affrontato una notte che si annunciava come la più lunga da sobria, e farlo era una pena che non avrebbe augurato neppure al peggiore dei propri nemici. E' quando il buio cala che gli unici veri fantasmi, quelli di un passato impossibile da scordare, abbandonano le proprie lapidi e si mettono alla ricerca del giusto cuore da far tremare. Solo l'alcol scalda abbastanza da proteggere da tali brividi, quello ed abbracci a cui Ginny sapeva di non potersi concedere prima del giorno del giudizio. Ma se il sole era destinato a non risorgere mai, il tempo non poteva avanzare. Ed in quel limbo la mietitrice sarebbe stata libera di ricordare chiunque lo meritasse, senza dover temere il tocco gelido dei suoi sussurri più crudeli.
     
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    sono arrabnbiata issima cont utt9i suojl rave à vkiposdhf

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    Nailo
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    aveva appena finito di chiacchierare con Han, un corvo che in teoria era suo amico, ma che nella realtà gli aveva dato dei consigli strani misti al nuovo appellativo di “stupido idiota”. Era abituato a gesti di questo tipo, ma in genere non si ripetevano, anche i corvi avevano da fare durante le giornate.
    CRAAAA, CRAAAA!
    Gli parve strano risentire quel suono lamentoso, si rivolse verso l’alto con il suo muso felino e non trovò Han, ma neanche altri corvi.
    Strano, starò uscendo di testa…
    Eppure attorno a lui stava calando la sera e nel villaggio degli umani ognuno stava tornando alle proprie tende. Vide una strana capanna, sembrava molto robusta ed aveva un’insegna con qualcosa di ehm, disegnato? Nailo non comprendeva quelle parole, ma si accorse che proprio lì sopra c’era un corvo che gracchiava. Decise di avvicinarsi per scrutarlo meglio, in fondo si era già addentrato in un territorio nemico senza alcuna protezione, cosa sarà mai andare esattamente dove indica un corvo molto strano?
    Dobbiamo dirlo, Nailo non aveva un’intelligenza spiccata. Nella foresta da cui proveniva le capacità richieste erano molto pratiche e istintive, spesso si trasformava in animali che potenziavano le sue caratteristiche, ma lui ancora non ne aveva compreso il motivo, credeva che la foresta gli desse dei compiti speciali, degli aiuti insomma. Il mezzelfo sapeva ben poco della sua natura come del suo passato: era stato abbandonato poco dopo la nascita in questa foresta ricca di magia, che lo aveva accolto come un frutto della terra che nessuno si degna di raccogliere. Era cresciuto correndo con le puzzole e lanciando le pigne addosso agli scoiattoli, dunque non era avvezzo alle idee fondamentali degli umani. Casa per lui era un rifugio rubato o condiviso con un orso, non conosceva concetti come “taverna” e nemmeno l’idea di dover pagare con del denaro. Sarà divertente, quindi.

    Il corvo lo aveva invitato ad entrare, ma poteva fidarsi di un posto del genere? Era spuntato dal nulla e gli umani sembravano non averci fatto caso. Che fosse una trappola? Lo credevano davvero così stupido? Certamente era più furbo di loro e quindi controllò il proprio pelo e le zampe per ricordarsi quale animale fosse al momento. Peccato che fosse buio e sì, poté percepire un pelo morbido e dei piccoli artigli ai termini delle zampe, ma non aveva capito di che colore fosse.
    Ah, ma certo, sono piccolo e prima degli umani mi accarezzavano perché tremavo! Dovrei essere una specie di gatto, ecco. Questa forma dovrebbe essermi utile (sempre che non scompaia da un momento all’altro).
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    D’istinto Nailo si trovò con una zampa alzata sulla porta d’ingresso, che grattava il legno, le altre ben salde sul terreno e lo sguardo implorante rivolto verso l’alto. Decise che avrebbe voluto impietosire chiunque si fosse trovato davanti, e quindi…
    MEEEEOOOOWWWW, MEEEEOWWWWW, MEEEEEE-
    Fu interrotto da una signora che da lì sotto pareva altissima ed enorme, aveva due seni che il mezzelfo non aveva mai visto in vita sua, ma non era spaventato, sembrava amichevole. Gli rivolse un sorriso e lo invitò ad entrare. Subito si sentì coccolato da un tepore divino, un brivido di gioia scintillò lungo la sua schiena e dietro di lui si richiuse la porta. Prrr, prrr, prrr. Si ritrovò a tremare di nuovo, leccava la caviglia di quella donna gentile e per un attimo si rese conto che forse non era uguale agli umani, forse era più simile a lui. Era abbastanza confuso dai suoi stessi gesti: era forse un desiderio passionale o un'istinto felino? Questi pensieri svanirono presto, perché le sue narici furono indondante dai profumi maestosi delle portate e le sue orecchie precise vennero prese d’assalto dal rumore del chiacchiericcio generale. C’erano delle cose che...oh, oh no. Nailo non credeva a quello che vedeva, c’erano dei pezzi d’alberi tranciati, smembrati e messi assieme in delle forme strane. Poteva percepire il suono di quelle anime spezzate e rubate al tempo, si intristì perché credeva che anche quel luogo fosse stato creato dagli umani che godono nel distruggere le creature della foresta. Abbassò lo sguardo e smise di tremare, aveva gli occhi umidi e voleva solo andarsene da quell’esposizione di cadaveri. Il mondo era terribile fuori dalla foresta, voleva solo che nessuno lo avesse mai spinto fuori dai suoi territori, stava così bene laggiù con i folletti! Si girò verso la porta d’ingresso, era sempre più deluso da tutto, era stato mandato a scoprire qualcosa, ma ad ogni suo passo trovava degli amici che erano stati uccisi e i loro resti sfruttati per qualche idiota.
    Proprio in quel momento la porta si aprì di scatto ed entrò un’altra donna dai capelli rossi, sembrava molto stanca e si sedette davanti ad un’altra costruzione orrenda. Il frastuono era sempre più forte e Nailo, in quella forma, non ne poteva più di tutto quel casino. Prese una rincorsa e si nascose sotto ad uno strano ammasso di legno, su cui gli altri posavano degli oggetti bizzarri. Era in un punto isolato, nessuno pareva averlo notato se non la tizia gentile che lo aveva accolto e questo lo tranquillizzò. Era stufo di avere i sensi così acuti, voleva anche godersi un po’ di riposo; eppure la sua forma non cambiò, neanche dopo gli sbuffi e il nervosismo. Si lasciò cullare dal tepore di quel luogo così misterioso e poco a poco i suoi teneri occhi felini si chiudevano, lasciando spazio ad un mare ignoto di sogni.
     
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    Le forze del bene hanno cannato e andare tutti a farvi fottere.

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    Aha.
    Ah, e quindi rideva. Bene, e per cosa? I sensi di D erano un po’ ottenebrati, ma quando mai avrebbe perso contro di lui. Se Lance rideva lui avrebbe riso più forte!
    HAHA!
    Notando troppo tardi l’attenzione della cameriera – una giovine brillante che al momento l’alcool rendeva difficile da riconoscere però aspetta un attimo quella tipa era mica...! – e in realtà… l’attenzione di un sacco di gente ora che ci pensava oh, ma che cazzo avevano da guardare? Ah sì, che stava per limonarsi un tipo, scemo lui, dove aveva la testa. Se ne rese conto solo un istante prima che la mano del Cavaliere lo afferrasse per la coda di cavallo.
    Ci shono, ci son…
    Schermata blu della morte nel cervello.
    D era un uomo dalle numerose esperienze col gentil sesso. Che stupido negarlo, c'era stato un tempo in cui aveva un bel viso e di certo mai si era tirato indietro quando la faccenda e un altro paio di cose si facevano dure. Ma era stato colto completamente alla sprovvista, insomma, lui si aspettava qualche altra battuta del cazzo nel solito gioco di frecciatine tra lui e il Cavaliere e...
    L'istinto da soldato aveva le cose ben più chiare di lui e il suo cervello appesantito si accorse troppo tardi di star... Rispondendo? Entrambe le mani artigliarono la collottola del suo amante costringendolo a seguirlo più in basso, mentre D raddrizzava la schiena e premeva con più forza con la sua bocca. Lance era... Bravo? Sicuramente aiutava l'alcool in circolo, figurati se non aiutava la sorpresa, per non parlare di ehy un attimo, Perché sentiva la voce di Celine Dion adesso?
    La parte migliore veniva ovviamente dopo, quando si staccarono e restarono a guardarsi un po’ così, con la ciucca che rendeva difficile al pistolero processare quanto appena successo. Sentiva Annie sghignazzare in un angolo della nebbia alcolica.
    "Mh."
    Sul tavolo c’era un bicchiere di bourbon whiskey. Doppio. Ogni promessa è debito.
    Diavolo, se solo lo avesse saputo si sarebbe acchitato meglio. Tipo usando un po’ di collutorio, la sua bocca doveva sapere di bile acida e delusione. Ma fosse mai che rendesse le cose facili a quell'idiota di Lancelot. Si sfiorò le labbra. Avevano ancora il suo sapore.
    "Ah. Basci con gli occhi chiusi."
    Sputacchió, riprese posto, e bevve il suo bicchiere.
    Indicò la sedia libera al Cavaliere, mentre intanto pensava: quindi è questo che provano le donne. La maggior parte almeno. Non era la prima volta che faceva certe cose con un altro uomo, intendiamoci. Ma fu la prima in cui D si trovò a soffermarsi su una mano più grande della sua, a sentire la forza di qualcuno più massiccio di lui. Piccolo e debole umano, essere anche il piccolo e debole in una coppia non faceva bene ai suoi complessi.
    "Cosha sei, una ragazzina?"
    E quindi era meglio mettere le cose in chiaro. Soprattutto se l'altro era Lance. Forse quella leggera sensazione di rodimento era per non ammettere che tutto sommato il bacio gli era piaciuto? Insomma, QUELLO era il tipo di bacio che piaceva a lui, almeno così credeva abituato com’era a dover assecondare le voglie del padrone di turno oh cazzo, ci stava riflettendo davvero. Urgeva fare qualcosa di testosteronico, subito! Spaccarsi di alcool contava? Perché D alzò due dita nell'aria e non riuscì a fare di più, prima di dimenticarsi quale fosse il suo piano. Restò a guardare allora. Lance. E chi se lo aspettava.
    Lance era molto più alto di lui, ma Johan lo superava quasi di tutta la testa.
    E a proposito di Johan.
    "Non ho. Parole."
    Era proprio lui, il tizio gigantesco che li guardava dal desco di Annie?
    "Uno si allontana per una confidenza con gli ospiti e ti ritrova... così?"
    Le labbra lucide a sigillare una bocca gonfia, in un volto delicato che a stento riusciva a trattenere il divertimento. Il Dio se ne stava adagiato sulla schiena, i gomiti sopra il bancone.
    "Johan..." D si coprì il viso con una mano. Se in quel momento avesse potuto scavare una buca e sparirci dentro, beh lo avrebbe fatto.
    Shtai… zitta…
    "Assolutamente, qui nessuno sta fiatando. E chi se lo perde lo spettacolo."
    La voce liscia e musicale di un cantore, portata col tono molle e lezioso di una matrona.
    "Vero ragazze?"
    Si voltò divertito verso le due donne vicino a lui, quella col viso da teschio e quella che a momenti sarebbe esplosa come una supernova.
    La pelle che nascondeva una luminosità soffusa, ma che che non perdeva occasione di scappare all’esterno dove l’incarnato si faceva più sottile tra le dita, dietro le orbite. Sotto l’incavo del collo. Bianco con un accenno di rosato chiarissimo, dalla punta dei capelli alle unghie curate con cui stava grattando il legno del bancone. E lucido di oli profumati, le candele del Ramo si riflettevano tremolanti sul profilo dei muscoli. I gioielli d'oro al collo e alle braccia sembravano quasi opachi, a confronto. Il corpo nudo sembrava sul ciglio di scivolare fuori, tanto era lassa la scura toga che aveva deciso di indossare quella sera.
    Beh?” chiese allora, accavallando le gambe. Un fascio di seta pregiata in mezzo alle cosce, a pendere pigramente verso terra. Ai piedi dell'androgino, anche le dita indossavano anelli.
    Non ci presenti?
    I suoi occhi erano gialli e azzurri, come pietre vulcaniche intagliate e messe a riempire le orbite. Quanto doveva essere bello, vivere nei suoi panni.


    Edited by r a v - 31/3/2022, 16:02
     
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    L'adrenalina che un bacio a cui le sue labbra non avevano nemmeno partecipato le aveva buttato in circolo, la rendeva ancora supercarburata e su di giri, i sensi all'erta come se di fronte a qualcosa d'eccitante, o ad un pericolo. E poi c'era Ginny, con la sua voce così profonda ed il suo tono suadente, l'invito a bere assieme a lei invitante quasi quanto il ricordo dei balli che avevano condiviso, dopo aver assieme liberato la luna dalla gabbia in cui era stata rinchiusa. E poi ancora quel nuovo belloccio seminudo, ad incantarla con i suoi pettorali scolpiti e tutto quell'oro luccicante, che così bene s'abbinava ad un incarnato come il suo, che l'aveva fatto risplendere. E poi ancora un nuobo ingresso, un nuovo arrivo, che avvertiva senza riuscire a vedere, come se ad esser giunto fosse un fantasma capace di sfuggire ai suoi sensi ed...aaaaaaaaaaaaaaaaaaaah!
    Agitata fin da prima che Lancelot mettesse il suo piedone sul suolo della locanda, segnando l'inizio di quell'infinita nottata, travolta da un maremoto d'eventi che d'istante in istante sembrava aumentare sempre di più, Solaire si ritirò di un passo dal bancone non sapendo bene dove rivolgere il proprio sguardo, mentre la sua mente s'inceppava nel cercar di realizzare come rispondere a tutti contemporaneamente, fare tutto quello che avrebbe voluto allo stesso momento, impedendosi di dare priorità differenti a ciò che le sembrava ugualmente ed assolutamente importante. Come diavolo faceva Annie?
    Le bastò pensarlo perchè la locandiera apparisse nel suo campo visivo, mentre lontana serviva i tavoli dei pescatori del villaggio di Hüb. E da tutt'altra parte spillava birra, e da un'altra parte ancora spazzava a terra, e via così in una miriade di sagome che per un attimo brillarono nei suoi occhi come le fiamme di piccole ma luminose candele: imbrogliava, ecco come faceva!
    Non che non l'avesse mai saputo, non che nessuno se ne fosse mai lamentato: il servizio al Ramo era ciò che di meglio si poteva sognare, ed anche lei in quanto sua dipendente aveva ricevuto in dono, scampoli del potere con cui la coppiera degli dei era capace di fare del proprio reame, ciò che voleva.
    A sdoppiarsi però, non c'era ancora arrivata. Era questione di attitudine, perchè in quanto stella aveva passato troppi eoni sola ed isolata, interagendo con le sue sorelle solamente tramite i canti della gravità e le carezze lievi dei reciprochi raggi? Forse immaginandosi come un sistema binario, o addirittura una galassia avrebbe potuto riuscirci, o era un effettivo limite della scintilla che Annie le aveva concesso?
    Il silenzio imbarazzante s'allungava, rimandare oltre la decisione si faceva di secondo in secondo meno accettabile: se non poteva imitarne le meraviglie poteva comunque usarla come ispirazione, e fu con un sorriso che faceva eco a quello che sempre piegava le labbra della Dea, che Solaire si chinò a schioccare un rapido bacio sulla fronte pallida di Ginny, mentre con rapidi gesti delle mani ordinava ad un bicchiere e vari alcolici di andare a prepararle un cocktail, qualcosa di tropicale e coloratissimo, che avrebbe bevuto assieme a lei nonappena fosse tornata.
    Hai ragione cara, dammi un attimo e torno subito da te.
    Sussurrò così che solo lei potesse sentire, prima di dedicarle un occhiolino e poi rivolgere lo sguardo al bell'imbusto appena appostatosi al loro fianco. Il fatto che fosse contenta di vederla, non significava che l'avesse perdonata per tutti i modi in cui l'aveva trattata male, nella loro corsa alla Luna...e darle un po fastidio sarebbe stato un modo innocuo per vendicarsi un pochino, no? Dopotutto, chi meglio di lei avrebbe potuto capirla!
    Nel frattempo maciste, perchè non ci pensi tu a tenerle compagnia?
    Lo disse mentre a passo svelto sfilava via da dietro il bancone, dirigendosi alla svelta verso l'unico compito cui sentiva di doversi dedicare davvero: concentrarsi le era stato sufficiente a capire dove fosse finito l'ultimo giunto nel locale, individuare il tavolo sotto il quale s'era messo a ronfare. Ogni cliente è uguale tra le mura della locanda alla fine del mondo, ma Annie aveva sempre avuto un occhio di riguardo per i nuovi arrivi, e Solaire non avrebbe certo disatteso quella vecchia tradizione. Sembrava un gatto, ma sapeva che nascondeva molto altro sotto quella palla di pelo fulvo, abbacchiata ed assonnata. Ed aveva la maniera perfetta per accoglierlo, e farlo sentire a casa!
    Se altri l'avessero seguita, l'avrebbero vista passare dietro una delle colonne che sostenevano il soffitto e le candele che v'erano posate, e poi sparire. La verità è che le bastò il ricordo di ciò che aveva vissuto, quando Adrenalina era emersa dalle viscere del caos per ricordare la consapevolezza, che il suo viaggio le aveva dato rispetto la vera natura che si nasconde nella parte animale, di ognuno di noi...per trasformarsi nell'ombra, cosmica e costellata da nebulose vivaci e galassie vorticanti, di una sottile gatta nera. Occhi come stelle ardenti s'aprirono sul suo piccolo musetto, ed un veloce zampettare la portò presto di fronte al novello intruso. Dormire, al proprio primo arrivo al Ramo? Dormire, durante l'alba di quella lunga notte? Non pensava proprio!
    Sollevò una zampa, andando a colpire con i suoi leggeri gommini l'orecchio di quell'impareggiabile pigrone. E l'avrebbe fatto ancora, ancora ed ancora se necessario, finché quello non si fosse deciso ad alzarsi e svegliarsi, interagire e giocare con lei. Ed a tutti gli altri, a cui Solaire sperava di tornare presto, il terrore di perdersi qualcosa di magnifico come quanto già accaduto ad accelerare il suo cuore, e farle mettere più enfasi di quanto non avrebbe voluto in quelle ripetute zampate.
     
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    Si vedeva fiero, con le spalle allargate e il respiro sempre più profondo. Gli occhi chiusi, il cuore teso a percepire l’essenza di quel luogo magico. Sentiva il profumo del fiume che accarezzava le sue narici, poteva visualizzare il corso d’acqua con le solite rane puzzolenti, i pesci coloratissimi che decidevano di nascondere sempre a lui le loro squame meravigliose. Mentre i suoi sensi vagavano alla ricerca di una qualche verità che gli era ancora ignota, il mezzelfo sentì dei colpi alla testa. Eh? Aprì gli occhi di scatto e si guardò attorno. Nessuno, neanche uno scoiattolo. Stavolta non erano stati i folletti a fare i soliti scherzi, perché ricordava bene dove li aveva lasciati (o forse intrappolati, dipende dai punti di vista).
    Di nuovo dei colpetti alle orecchie. Ma cosa diavolo? Qualcuno si era reso invisibile e si divertiva a dargli fastidio? E poi, perché sempre a me? Ci sono mille creature in sta foresta, è possibile che tutti devono venire da me?
    Istintivamente iniziò a correre verso i pini più vicini, la foresta gli avrebbe dato le risposte.
    E invece no, altri colpetti che diventavano sempre più insistenti.
    Si era accovacciato su una roccia, ma non così bene perché un attimo dopo era già caduto con la faccia nella terra. Si aspettava di alzare lo sguardo e rivedere i pini, respirare il profumo dell’acqua ed ascoltare le bestemmie dei corvi. Desiderava tanto che quello fosse stato un momento strano da dimenticare, in un attimo i pini lo avrebbero cullato con le loro danze e lui sarebbe stato a casa.
    Invece, alzò la testa e si trovò in un luogo assurdo. Gli alberi mozzati e impilati in forme strane, il rumore di risate sguaiate, il tepore che coccolava il suo pelo...ahhhhh, ma certo quella era la capanna misteriosa in cui era entrato poco tempo prima. Mise a fuoco ciò che gli stava davanti e finalmente trovò la fonte di quei fastidiosi picchiettii. EH? Che ci fa un gatto nella forest.. ah no, nella capanna, sì, nella capanna degli umani che però gli umani non frequentavano molto. Ok, il pensiero aveva fatto i suoi collegamenti, anche se i suoi occhi rimanevano socchiusi e aveva la bocca impastata. Gli faceva male il mento, forse si era addormentato ed aveva sbattuto a terra, mah.
    Mmmh?
    Piegò di lato la testa per cercare di capire perché quel gatto fosse così strano. Sia chiaro, anche Nailo era strano, ma lui si percepiva come il gatto migliore del mondo, anche se quello era il suo primo giorno in forma felina. Quello lì luccicava, brillava, cioé aveva luce propria, oddio! Si ricordò che anche lui, forse, aveva una luce particolare, dovuta al fatto che non era un gatto naturale. Come un lampo gli tornò in mente che era stato proprio lui o lei a colpirlo così tante volte e si paralizzò.
    Si schiacciò di peso contro la gamba del tavolo, deciso a non muoversi più. Tutto quel rumore, quel fastidioso toccacciare chi se ne stava finalmente in un luogo tranquillo! Nailo era diffidente, non conosceva nessuno e, se si fosse sforzato di ricordare, avrebbe capito che si trovava ancora in un territorio nemico. Poi, placati gli istinti felini che lo allontanavano dalla socialità, credette che avrebbe potuto fare un tentativo, dopotutto non gli capitava spesso di interagire con altri animali quando era trasformato e quello non sembrava avere intenzioni pericolose. Era un animale, no? Uno come lui, forse, che veniva da posti simili al suo, magari conosceva la sua foresta, ecco. Che male poteva fare un gatto luccicante? Ovviamente, Nailo era spesso così ingenuo e per questo si cacciava in situazioni di pericolo.
    Ad ogni modo sperava che quel gatto non lo avrebbe trovato strano, beh dopotutto era lui o lei ad essergli venuto incontro, quindi doveva aspettarselo. E poi era anche carino con tutte quelle lucine, pareva un ammasso di lucciole del fiume, quelle che negli ultimi tempi avevano migrato dopo gli scherzi dei folletti.
    Abbassò lo sguardo, prese un respiro profondo e sputò tutto d’un fiato: CIAOSONONAILOSONOUNGATTOANCHETUSEIUNGATTOMICAPISCIPARLILAMIALINGUA?
    Probabilmente non aveva più respirato da quando la frase era iniziata e si accorse che la punta della sua coda pelosa si muoveva molto più del dovuto. Cercò di calmarla, ma peggiorò la situazione, perché iniziò anche ad ansimare un po’. E’ possibile che nella foresta avesse avuto l’ansia da prestazione per una semplice chiacchierata? Non se lo ricordava bene, ma non era nemmeno certo di poter controllare a fondo la sua forma animale, dopotutto era il suo primo giorno come gatto. Era colpa della forma nuova, sì, eh non la sapeva gestire bene, mica come quando diventava un orso, lì avrebbe fatto un discorso degno dell’attenzione di tutte le creature. Così Nailo si convinse di aver maneggiato la situazione al meglio e rimase per un attimo ancora a scrutare quel gatto, con le pupille che si dilatavano sempre di più.
     
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