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6th Street

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    Prosecuzione della scena Grande Buio.



    Una birra offerta, una birra accettata. E birra dunque fu, quando dal frigorifero su cui lettere d'inchiostro erano appiccicate come calamite, una seconda fresca lattina s'aggiunse a quella che Luna aveva sventolato in direzione del suo nuovo ospite, stretta nella stessa mano che trasportò entrambe al tavolo tondo innanzi al sofà su cui il corvo s'era lasciato crollare, esausto quanto ed anche più di lei.
    Breve ed intensa, la definizione migliore per la caccia che assieme avevano appena vissuto, partorita dall'unica mente che le era concesso sbirciare ora che si trovavano nel vuoto che separa i mondi. Per lui una vicenda simile a tante altre, avrebbe dovuto esserla anche per Luna, ma aveva preferito le nipoti che aveva dovuto uccidere quando erano state rabbiose o dissennate, o piuttosto almeno mute. Piuttosto che capaci di rivolgerle contro armi più efficaci di qualsiasi defunto burattino, e qualsiasi tanica di combustibile pronta ad esplodere, perchè se di tutto ciò ella non portava segni se non pochi graffi e qualche livido, e macchie annerite sul marmo del suo braccio sinistro, le parole che la defunta le aveva scagliato contro bruciavano ancora, in luoghi del suo animo che prima d'aver finito quella birra e forse anche un altro paio, era certa di non essere ancora pronta ad esplorare.

    « Mi raccomando. Non dirlo ad Annie. »


    Lo disse, mentre dopo aver poggiato la lattina al desco lo fece scorrere verso il limitare, ove Mangiasogni s'era rintanato. Riferendosi al fatto che la Coppiera divina, presso il Ramo in cui era insediata, non vendeva e non serviva i propri alcolici in forme tanto inadeguate. Le lattine rovinavano l'aroma, rendevano il loro contenuto meno pregiato, in un sacco di maniere a cui Luna non era mai davvero stata interessata, perchè per quanto il suo palato avesse nel tempo sviluppato un gusto, era rimasto spartano a sufficienza da permetterle di apprezzare qualcosa che fosse solamente fresco, vagamente frizzante, e moderatamente alcolico.

    « Ed attento a non sporcare. »


    Proseguì subito dopo, scorgendo nei pensieri dell'altro il rischio che questo potesse avvenire, se solo avesse perso la presa sulla lancia che per questo fu costretto a reggere, anche accomodandosi sui morbidi cuscini di cui Luna aveva addobbato il proprio divano. Cedergli quello che era il suo posto preferito era un conto, e l'avrebbe sopportato volentieri. Trovarselo per questo arrossato da sangue demoniaco, qualcosa che al contrario era piuttosto certa di voler evitare.
    Prese posto innanzi a lui, sedendosi a gambe incrociate su una ben più scomoda sedia, aprendo la propria lattina con una mano sola, e traendone un generoso sorso. Solo dopo averlo fatto posò sul desco anche ciò che reggeva tra le altre dita, quelle appena meno bianche e più colorite del marmo con cui s'era lanciata dal terreno di Bludd, fino al Nido che aveva nascosto tra le sue nuvole.
    Thamaja, ridotta a poco più della propria impugnatura e della propria elsa. La lama monca, i suoi frammenti lasciati a terra, tranne quello che Mangiasogni aveva preso per se. Impiegò del tempo a riuscire a convincere le proprie dita a lasciarla andare, a far picchiettare sul tavolo ciò che rimaneva del suo cristallo. Fissandolo, sentì come al solito i silenti sussurri di ciò che aveva rinchiuso aldilà della sua superficie vitrea...ma più deboli, più distanti. Più flebili di quanto non avrebbero dovuto essere, e di quanto non le piacesse lasciarsene carezzare.

    « Ti spiace? »


    Era un buon modo per distrarsi, per pensare ad altro che non fossero le parole del mostro che assieme avevano abbattuto, forse senza averne alcun diritto. Qualcosa di necessario, dopotutto, perchè la nave su cui si trovavano era alimentata dalla non-energia che quella lama sapeva sprigionare, e senza ripararla sarebbero stati costretti a galleggiare nel nulla in cui Luna aveva proiettato entrambi per sempre, o finchè un crocevia casuale non li avesse travolti.
    Non specificò al corvo cosa stesse facendo, scordandosi come ogni tanto le capitava che non tutti erano capaci come lei di cogliere ogni sottinteso nelle frasi parole altrui. Si limitò a fissare ciò che rimaneva della sua spada, posando nuovamente la propria mano destra sulla sua impugnatura, e carezzandone il resto con la sinistra. Ricostruendo mentalmente ogni momento che avevano passato assieme, ogni vicenda vissuta l'una a fianco dell'altra. E così facendo anche la sua lama, che impercettibilmente ma inesorabilmente avrebbe cominciato a ricostituirsi, perchè in pochi sapevano e persino Luna a volte scordava, di come la vera Thamaja l'avesse persa ormai da tempo, sottratta a lei così come lei stessa l'aveva trafugata ad un altro.

    « Odio vederla in questo stato. »


    Nient'altro che ricordi, allora, compressi ed affilati come una spada. Nient'altro che lei stessa, spremuta fuori dal proprio ego e costretta a farsi lama. Per poter essere impugnata da se, in uno sciocco rituale che un tempo era servito a non farla sentire così sola. Ed invece in quell'istante, dopo ciò che aveva passato, le sottolineò ancor più crudelmente quanto in verità non fosse mai stata altro.




    Alliage - Creata dal suo cuore, in ricordo di un furto. Nessun acciaio nella lama di Thamaja, nessun martello l'ha mai toccata, nessuna fiamma a darle la forma, soltanto emozioni, piaceri, gioie, abbastanza forti, abbastanza affilati da farsi impugnare, da giungere fino al cuore di chi le si opponga e trovarvi un fodero. Esiste qualcosa, qualunque cosa, a cui Luna sia più legata di questa spada, figlia della sua carne? Impossibile, quando neanche il Cacciatore che le ha donato un nome può aspirare a tanto. E mai la Bambola potrebbe permettere all'arma di abbandonarla, di giacere spezzata, un cadavere da abbandonare mentre si avanza... perché dovrebbe, quando le basta ricostruirla come ha già fatto? E' un processo lento, impossibile da completare all'interno di una stessa scena, ma col giusto tempo nuovi ricordi temprati d'acciaio potranno scorrere tra le sue dita, nuove emozioni roventi potranno fare da stampo e Luna avrà di nuovo la sua compagna. Forse cambiata, non riparata ma replicata da nuovi ricordi, oppure semplicemente Cresciuta, ricomposta un nuovo tassello alla volta, così come la Bambola prova a ricomporre se stessa.
    [In caso la spada venisse distrutta in una qualunque scena, sarà possibile ripararla gratuitamente Off Gdr]




    Luna può ricostruire Thamaja, se rotta, tra una scena e l'altra. Sfrutterei l'occasione per mostrarne il processo c:
     
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    Mangiasogni chiuse gli occhi per un istante, lasciandosi cullare dal nulla che avvolgeva la nave di Luna.
    La caccia era conclusa, avevano vinto.
    Era sopravvissuto anche quella volta.
    Chissá quante altre cacce avrebbe potuto sopportare, quanti altri mostri avrebbe affrontato, prima che l'inevitabile accadesse.
    Prima che una sua preda fosse più rapida di lui, prima che delle anonime fauci uncinate si chiudessero per l'ultima volta sulla sua carne.
    Più di una volta era stato vicino alla fine, più di una volta era sopravvissuto più per caso che per abilità.
    Dietro le palpebre chiuse, le immagini delle mostruosità che si aggiravano nella rete fognaria della città del peccato fecero capolino, ondeggiando con oscenità le loro lunghe lingue. I corpi martoriati, appesi alle pareti, gli fecero l'occhiolino, mentre si staccavano dai loro ganci e si scagliavano contro di lui, con un impeto quasi suicida.
    E infine, la Preda, la marionettista che aveva mosso quei corpi come pupazzi.

    Mangiasogni non era mai stato in pericolo, ma solo perché in quella caccia avevano partecipato due Cacciatori, invece che uno.
    La prossima volta non avrebbe probabilmente potuto contare su quel lusso.

    Eccola, la vertigine.
    Ormai la conosceva bene, quel senso di precarietà, quel sapore dolciastro e metallico che gli solleticava le narici.
    Da qualche altra parte, una nuova Caccia cominciava.
    Avrebbe potuto scivolare, come ormai era abituato a fare. Lasciarsi trascinare dalla sua natura, e ritrovarsi in una nuova realtà, contro un nuovo Mostro.
    - I mostri devono moriiiiiire.

    C'erano stati momenti in cui aveva temuto quella sensazione.
    Altri, in cui l'aveva accolta.
    Ma in quel momento... in quel momento il Cacciatore volle ignorarla. Volle restare, anche solo per riposare per un attimo. Riprendersi dalle ferite. E forse, socializzare con quell'altra Cacciatrice conosciuta come solo i cacciatori sapevano fare: durante una caccia.

    Quando riaprì gli occhi, l'impulso a scivolare era sparito, e davanti a lui, sull'orlo del tavolino, c'era una ... oddio, cos'era quella cosa?

    Si era aspettato un boccale, simile a quelli che aveva visto al Ramo, o una bottiglia. Una borraccia. Quella...

    ... quella sembrava una arma.
    Ne aveva vista una simile, tanto tempo fa.
    Un esserino rosso e con un brutto brutto carattere ne aveva lanciata una ad un licantropo, trasformandolo dopo una violenta esplosione in un ammasso di carne fumante.
    - Mi fa ridere che tu sappia cos'é una GRANATA e non una lattina di birra. Tira quella linguetta E PER LE DIVINITA' NON LANCIARLA, o Luna ci uccide entrambi.

    Con un sospiro di sollievo, Mangiasogni cominciò a trafficare con la latta, cercando di piegare la linguetta in modo da riuscire ad aprirla. Provò a tirarla, provò a spingerla. Provò a piegarla. Provò perfino a guardarla male.
    Poi prese Ichor e con la punta d'argento della lancia praticò un foro in cima alla latta, ricavandone un apertura larga abbastanza per il suo becco.

    "Non dirlo ad Annie!" ripeté, mimando poi un improbabile cerniera attorno alla bocca, gettando poi un invisibile chiave.
    Nemmeno per lui era poi così importante la presunta qualità della bevanda, ne tantomeno l'annata delle botti di rovere dove avrebbero dovuto essere conservate.
    Aveva capito già da molto, molto tempo che gran parte del sapore di ciò che beveva e ciò che mangiava, dopo una caccia, era dovuto da come questa era andata.

    E quella birra, in quel momento, era ottima.

    Il corvo fece un occhiolino alla ragazza, alla sua seconda richiesta.
    Depose Ichor accanto al divano, avendo cura che un legamento di sangue tenesse il suo corpo in contatto con la lancia.
    In realtà non rischiava davvero di sporcare ne l'amato divano ne la nave in generale: anche fosse successo, avrebbe potuto riassorbire completamente ogni goccia di sangue demoniaco, ma poteva capire come la cosa potesse comunque risultare ... indigesta, alla proprietaria del suddetto divano e/o nave.
    Si sforzò di non pensare al vero motivo per cui non voleva perdere il contatto con la lancia, sperando che la telepate non lo sondasse dalla sua mente.

    Si accorse che non provava il normale disagio che avvertiva nelle sue seppur rare occasioni sociali. Non gli capitava spesso di restare a "fare quattro chiacchiere" e quando succedeva, si sentiva sempre molto impacciato.
    Il fatto che la ragazza fosse in grado di leggerli il casino che aveva in testa però facilitava di molto la conversazione.

    Mentre dava un altra avida sorsata alla lattina mezza squartata, il corvo si inclinò per osservare le operazioni di riparazione della spada.
    Questa volta avvertì distintamente Ingos ritrarsi. Cosa era successo, poco prima del crollo? Prima che perdesse i sensi, e si risvegliasse in fondo al pozzo con la schiena a pezzi?

    Si domandò se a Luna servisse anche il frammento che teneva nella bisaccia, quello raccolto nel punto in cui la loro preda era esplosa. Non glie lo aveva chiesto, ne prima ne ora.
    Mangiasogni si alzò, ormai irrimediabilmente curioso.
    Quando era stata integra, l'arma gli era parsa un naturale prolungamento del corpo di Luna. Una degna arma per una Cacciatrice.

    Ichor scintillò, dietro di lui.
    "Questa é la tua arma, Mangiasogni. Usala con giudizio, custodiscila come un tesoro." mormorò, con la voce della sua mentore, colei che lo aveva addestrato, che aveva forgiato per lui quella lancia, che gli aveva dato il Dono.
    Per lui, quella lancia era l'ultimo legame che aveva con Ingrid, con l'Ordine.
    "A quanto pare, abbiamo molto in comune" commentò con un mezzo sorriso, utilizzando la voce di Luna stessa.

    Quella spada lo incuriosiva. Era chiaro il legame che la legava alla padrona, e dietro la lama in frantumi c'era sicuramente una storia interessante.
    Tuttavia, il corvo si trattenne da esprimere qualsiasi domanda, per timore di essere un elemento di disturbo per ciò che Luna si apprestava a fare.

    E ad ogni modo, se la telepate avesse ascoltato i suoi pensieri, non avrebbe nemmeno dovuto chiedere.

     
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    Sorride, quando il corvo scambia la lattina per una granata. Lo fa ancor di più, le sue labbra così restie ad arricciarsi finalmente inclinate abbastanza da permettere anche ad altri, di riconoscere tale smorfia per ciò che è, quando per aprirla usa la lancia anzichè gli artigli.

    « Non preoccuparti. »


    Scorge i suoi pensieri, il sollievo a riguardo è condiviso. Fa abbastanza pena lei, nel comunicare con altri, da poter solo immaginare quanto futile sarebbe divenuto il loro scambio, non potesse andare oltre le limitate frasi che a Mangiasogni è consentito riprodurre. La sua mente non gli spiace, più confortevole di quanto lui stesso non si renda conto, adombrata dai pensieri della caccia e dal demone che ne abita i meandri...ma più cortese, più capace di pensieri altri, rispetto a molte di quelle che Luna è spesso costretta a sentire.
    E dopotutto, a lei, tutto ciò che riguarda la caccia. Le è stato insegnato ad apprezzarlo, da chi in tale arte era versato più di chiunque altro.

    « Non ho bisogno ne di quel frammento. Ne del silenzio. »


    Non del tutto vero, perchè della scheggia oscura che egli aveva recuperato davvero non aveva necessità, ma le distrazioni avrebbero certamente rallentato l'opera di ricostruzione di Thamaja, permettendole di concentrarsi meno di quanto avrebbe potuto altrimenti. Ma era lei ad averlo invitato nel proprio Nido, lei ad aver deciso di compiere quell'atto subito, anzichè rimandare a quando sarebbe stata sola, dopo averlo scaricato nel primo mondo avessero ritenuto valido per lui. E sempre lei quella che leggeva il pensiero, ma la cui mente era insondabile. E che per questo, poteva raccontare tutte le menzogne che voleva.
    La birra l'attendeva, invitante, ma si impose di non berne altra prima d'avere ricostruito la sua nera compagna. Imporvi le mani l'aiutava, non perchè le servisse contatto o vicinanza, ma perchè ancora più che con gli occhi o con le orecchie, era col loro tocco e la facoltà di sottrarre ad altri il cuore che Luna aveva imparato ad indagare, e conoscere il mondo.
    E perchè dopotutto, erano loro le parti del corpo che la conoscevano meglio. Che avevano passato tanto tempo ad impugnarla, a vibrarla. Contro chi lo meritava, contro chi la ostacolava. E forse anche contro chi era più innocente, di quanto Luna non fosse pronta ad ammettere.

    « Questo trucco...è uno dei primi che ho imparato. »


    Avrebbe dovuto chiederglielo, prima o poi. Per quanto anche nel magazzino in cui l'assassina s'era nascosta Mangiasogni avesse già espresso la sua opinione, anche se Luna era confusa e distratta a sufficienza da ricordare a malapena le sue parole. Cosa ne pensasse di ciò che assieme avevan fatto, in quale modo giustificasse a se stesso ciò che era un omicidio, aggravato dalla sua parte dal fatto d'appartenere alla stessa disgraziata stirpe della defunta, ed essere la causa del suo decadente, orrendo stato.
    Un mondo dato alle fiamme, più per spregio che per necessità. Infinite vittime, alcune di loro ancora vive ma ciò nonostante scottate, e per questo costrette alla fuga ed alla disperazione da colei che le cercava. L'empatia non era il suo forte, per quanto fosse assurdo pensarlo a causa di ciò di cui era capace. Forse solo perchè erano identiche a lei, o avrebbero dovuto esserlo, riusciva davvero a mettersi nei loro panni.

    « La vera spada mi fu sottratta tempo fa. Da un gigante, a cui io avevo rubato il cuore. »


    Rimandare non avrebbe reso il boccone meno amaro, eppure lo fece ugualmente. Seguendo il flusso dei pensieri altrui, parlando di armi e di lame, rivolgendo uno sguardo non a Mangiasogni ma piuttosto ad Ingos, quando quest'ultimo si ritrasse. Perchè anche lei aveva passato del tempo, racchiusa come poco più d'una coscienza informe in quella spada. Ed anche lei l'aveva temuta a lungo, prima d'imparare a riconoscerla nonostante la tinta nera, in cui tempo prima l'aveva affogata.
    Ricordò Zero, allora, la corazza ingombrante di cui l'aveva svestito uno dei molti ricordi che nella sua testa brillavano vividi abbastanza, da potersi fare cuori. La loro breve lotta, la maniera in cui era stata sconfitta, e per questo derubata di ciò che a sua volta aveva trafugato ad un altro viaggiatore. Si chiese per un solo attimo, dove l'originale Thamaja fosse in quel momento. Per poi concentrarsi piuttosto, nel domandarsi se quel gigante sarebbe riuscita a batterlo, ottenendo la propria vendetta, l'avesse incontrato di nuovo e di nuovo affrontato.

    « Da allora, è il suo ricordo ad accompagnarmi. »


    Lo stesso che rivive in quegli istanti, mentre il moncherino d'una spada s'allunga di millimetro in millimetro, riguadagnando qualcosa di simile alla sua forma originale. Se l'è chiesta, molte volte, quanto Thamaja sia cambiata per ogni volta che l'ha ricostruita. Lancelot l'ha aiutata a sapere che le incisioni con cui la marchiò, il giorno in cui ne scelse il nome, ci sono ancora e di tale certezza porta le tracce sul frigorifero nella stanza accanto, sottoforma di lettere d'inchiostro scuro. Ma la precisa forma della lama, la sua lunghezza, il suo peso, i suoi acuminati confini. Poteva ricordarli bene, meglio di qualsiasi altra cosa. Ma un disegno è sempre identico, anche se tracciato per un milione di volte da una mano che lo conosce? O i suoi bordi rischiano di confondersi, farsi sfumati, sovrapposti a linee di volta in volta leggermente, ma irrimediabilmente differenti?

    « Una memoria che posso rivivere, tutte le volte che voglio. »


    Parla di se stessa, è così raro che lo faccia. Non la smette, conscia di dove lei stessa porterà il discorso quando avrà esaurito le sciocchezze da propinare a Mangiasogni. Forse sarà lui ad aiutarla anche stavolta, a darle modo di svicolare ulteriormente dalla responsabilità da cui si sente oppressa. O magari sarà lui ad affondare la lama, nel petto di qualcuno che in quel momento non si sente così diverso dal mostro, che assieme hanno ucciso.
     
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    Mangiasogni, nonostante fosse un inetto patentato in termini di relazioni, non aveva già dimenticato le lacrime che avevano solcato il viso della ragazza dai capelli turchini.
    Sapeva riconoscere fin troppo bene chi prendeva tempo, rimandando qualcosa che gravava forte sul proprio animo.
    Lui stesso si lanciava a capofitto, una caccia dopo l'altra, per evitare di doversi confrontare con gli spettri del suo passato.
    La figlia del borgomastro di Barovia, gli orfani presi dalle megere.
    Rinn. Ingrid. I suoi fratelli dell'Ordine.

    Il corvo si riscosse, scuotendosi per scacciare quei pensieri. Il dolore saettante della sua schiena si risvegliò, aiutandolo a distrarsi ma facendogli sfuggire dal becco un gemito mal soffocato.

    Se Luna avesse voluto parlare di armi, avrebbero parlato di armi.
    Fino a quando si fossero ghiacciate le stelle, se necessario.

    Oltre a questo, il processo di ricostruzione di Thamaja lo affascinava.
    Osservava la sua lama ricostruirsi, frammento dopo frammento, sotto le mani imposte di Luna con un misto di curiosità e genuina ammirazione.
    Il corvo gettò un’occhiata alla sua lancia, lasciata accanto al divano e tutt'ora collegata al suo corpo da un legamento di sangue.

    Con uno schiocco, l'arma gli apparve in mano, rispondendo prontamente al suo richiamo.
    Senza di lei non avrebbe più potuto esercitare il suo controllo sul sangue demoniaco, e quel trucchetto gli aveva salvato la vita in più di un’occasione.
    L'occhio di Ichor saettò dal Cacciatore alla Cacciatrice, agitando pigramente i piccoli tentacoli che uscivano appena dalla guardia a croce dell'arma.

    Ichor. Uno dei figli del demone Cornuto, che sanguinando fece impazzire il mondo recitò, rubando come sempre le parole di chi gli aveva insegnato il mestiere.
    Ha colorato l'intero mondo di rosso, affogando gli altri colori nel suo sangue si interruppe, lasciando che le immagini di quella Caccia gli riempissero la mente come un fiume in piena.

    Era la prima volta che viaggiava in un altro mondo.
    Era la prima volta che cacciava.
    Mangiasogni era giovane, forse troppo.
    Troppo per vedere quel mondo devastato, affogato in un mare di sangue. Le strutture aliene, alti palazzi un tempo di acciaio e vetro, giacevano in rovine scomposte, mentre tutto bruciava e brulicava di demoni inferiori, che si aggiravano a caccia di sopravvissuti, il sangue che gli arrivava alle ginocchia.

    Poi alzò lo sguardo e lo vide.
    L'enorme occhio iniettato di sangue. I suoi tentacoli riempivano il cielo.
    I suoi artigli e i suoi uncini raschiavano la terra come un enorme aratro, pescando dal mare di sangue che aveva coperto tutto quel mondo.

    C'erano voluti dieci cacciatori per abbatterlo, e Mangiasogni era orgoglioso di poter essere stato fra quelli.

    Odio vederla in questo stato borbottò contrariato, passando le dita artigliate contro la guardia a croce, l'argento incrinato durante lo scontro nelle fogne.
    La prigione del demone allentata quel tanto che era bastato perché lui ne facesse uscire un tentacolo, provando a riottenere così la libertà.

    Osservando ancora Luna, il Cacciatore appoggiò la lancia al tavolo, ponendo le sue mani imitando la ragazza.
    Lui non possedeva capacità che gli permettessero di riparare l'argento della sua arma, e i forgiatori del suo Ordine erano dispersi, o morti, da anni.

    Tuttavia, se c'è qualcosa nel quale i kenku eccellono, è l'imitazione.
    Non ne sono sicuro, la mia magia ha...limiti. Ma forse potrei... mormorò con la voce di Lance, usata dall'uomo quando con il suo inchiostro aveva tentato di ridargli la voce.
    Le piume del suo braccio destro si colorarono di glifi rosso scuro, avviluppandogli l'avambraccio come le spire di un serpente.

    oddoɹʇ ᴉɐɹɐs oʅ oʇsǝɹꓒ ·oɹpɐꓶ ʻouᴉɔᴉʌ ᴉǝS
    ·nᴉd ᴉp ɐʇʅoʌ ɐun ouoɹɐɔuɐʅɐds ᴉs ᴉʅʅɐᴉɓ ᴉɥɔɔo ǝnp ʻɐʌɐʌoɹʇ ᴉs ɐunꓶ ᴉp opᴉN ʅᴉ ǝʅɐnb ɐʅʅǝu ɐʅʅǝnb ɐ ǝʅᴉɯᴉs oʇʅoɯ ɐʇᴉɹnɔso’un uᴉ Ǝ



    Non gli piaceva abusare di quella magia che non capiva fino in fondo, "rubata" a Lance grazie all'arte del corvo ad essere un eterno imitatore d'altri, senza mai poter essere qualcosa lui stesso.
    Quel potere gli dava sempre un senso di vertigine, di nausea latente. Come un prurito alla base della nuca, irraggiungibile per i suoi artigli.

    Tuttavia, riparare Ichor era imperativo, e Luna gli aveva fornito l'ispirazione necessaria.
    Con un sonoro rumore metallico, la guardia dell'arma si rinsaldò, e i movimenti dei tentacolini del demone si fecero meno erratici.
    L'occhio cremisi lo guardò con severità, senza dubbio risentito di quella doppia mandata fatta alla porta della sua cella.

    Soddisfatto, il Cacciatore passò un pollice sulla superficie immacolata dell'arma.
    Difficilmente sarebbe riuscito a ricostruirla da un misero moncherino di metallo, come invece stava facendo Luna, ma anche così il risultato lo soddisfò.
    Ammaccature, piccole crepe, segni di usura e cedimento.
    Era tutto sparito. L'arma splendeva come il giorno in cui l'aveva presa per la prima volta.

    Un gigante? domandò, riprendendo le parole di Luna modificandone appena l'inflessione.
    Aveva affrontato dei giganti, in passato.
    Alla Spina Dorsale del Mondo, dove la neve splendeva accecante al sole e non si scioglieva mai. Dove il vento era così forte, e così freddo, da poterti strappare le piume e la pelle di dosso senza fatica.

    Quelle enormi creature lo avevano strapazzato non poco, spaccandogli le ossa e incrinandogli il becco... ma erano lenti, perfino goffi... alla lunga, aveva vinto lui.
    Certo, i suoi giganti a stento riuscivano a mettere in fila due parole per esprimere un concetto, e le loro armi si riducevano a grossi tronchi strappati dalla nuda terra, usati come arieti, e le loro grosse mani per schiacciare i piccoli cacciatori che provavano a pungolarli con i loro bastoncini appuntiti.

    Qualcosa suggeriva a Mangiasogni che il gigante di cui parlava Luna sarebbe stato diverso.
    In cambio, ti concederò di cacciare con me propose comunque, offrendosi di aiutarla il giorno che avesse deciso di riconquistare la sua spada.
    In fondo, I Mostri devono Morire.




    Mangiasogni usa Rituali per prendersi dei simpatici danni mentali in cambio dell'abilità per riparare la sua lancia. Non so nemmeno se posso farlo, ma è una cosa al 100% scenica quindi la faccio lo stesso :P
     
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    Gentilezza, era quella la parola giusta. Il corvo, che dopo la caccia Luna aveva invitato nel proprio Nido, era gentile con lei, ed era così che stava strappandole uno dei sorrisi più duraturi che la bambola riuscisse a ricordare.
    Era stata amata, era stata temuta, era stata considerata amica, era stata odiata. Aveva ricoperto, durante la sua relativamente breve vita, un'innumerevole quantità di ruoli, aiutata dalle maschere che le era facile indossare una volta acquisiti i cuori altrui, e dalla volubilità dovuta ad un carattere ancora ben più giovane, di quanto non sarebbe stata a suo agio ad ammettere.
    Eppure raramente aveva visto menti tanto colme di quella premura, nei suoi confronti. Senza voler per questo nulla in cambio, senza starlo facendo per compassione o contrappasso, ma soltanto perchè tale era la natura delle azioni che avevano portato un cacciatore pennuto, ad essere ciò che era.

    « Se dovessi riaffrontarlo, sarebbe per testare la mia forza. Non per recuperare qualcosa, che non è più la mia Thamaja. »


    Osservò con piacere le cacce che Mangiasogni, consapevolmente o meno, condivise con lei. Scrutò i suoi giganti e concordò nel trovarli irrimediabilmente diversi dall'uomo a cui lei s'era riferita con tale epiteto, e tentò di spiegare come per lo strumento d'acciaio che quel giorno le era stato sottratto, non provasse più attaccamento alcuno: dare vita ad una nuova Thamaja, riforgiata non dal metallo ma dai suoi stessi ricordi, affilati e compattati a sufficienza da farne una funzionale arma...non era mai stato un ripiego, quanto piuttosto una conquista.
    Zero, in qualche modo, aveva contribuito alla sua crescita più di quanto non avrebbe mai potuto sospettare. Così come l'avevano fatto in molti, tanto coloro che l'avevano accudita ed istruita quanto quelli che invece l'avevano ferita, sconfitta, o umiliata.
    Accantonò presto quei pensieri, poco utili nella ricostruzione in cui si stava adoperando. Thamaja recuperava la propria forma frammento dopo frammento, granelli d'invisibile polvere ad unirsi ad infiniti altri fino a costituire un nuovo centimetro della sua lama d'un nero impossibile, e ciò a cui da sola si sarebbe dedicata con tutta la calma divenne invece un ostacolo, tra lei e ciò che avrebbe davvero voluto dire a Mangiasogni...e la birra che l'attendeva, e che se non consumata presto avrebbe perso la propria freschezza.

    « Le nostre armi...sono simili, in qualche modo. »


    Per questo si concentrò piuttosto su ciò che il corvo fece, imitandola in maniera bizzarra. Illuminandosi di sigilli sanguigni, lasciando che poteri altrui fluissero attraverso le sue piume, così che la prigione in cui il demone la cui sconfitta le aveva dato modo di sbirciare venisse riparata del tutto, raddoppiando la mandata dietro cui esso era rinchiuso.
    Ignorò la voce che per un attimo risuonò tra i pensieri più profondi del kenku, forse per non distrarsi nuovamente, forse piuttosto perchè chi più di lei poteva essere abituata ad influenze esterne, e cori discordanti. Concentrandosi piuttosto sul filo della lama in cui la lancia si concludeva, e su ciò che nel cerchio sulla sua sommità era rinchiuso, un occhio vivo e carico di risentimento...ben più vivace degli sguardi vaghi e defunti che di tanto in tanto le capitava di scorgere, se osservava Thamaja troppo a lungo.

    « Ciò che si agita in questo nero...è meno vivo del tuo Ichor, ma non meno affamato. »


    Parlò di loro, dunque, di ciò che lei stessa aveva ordinato ad un fabbro di rinchiudere nella sua lama, tradendola ed affogandola nelle lacrime e nel sangue di cui era giunta ad Hüb ricoperta, dopo aver contribuito ad abbattere la preda più spaventosa le fosse, e sarebbe mai capitato d'incrociare.
    Il ruggito silente del Leone Nero, i suoi artigli, il modo in cui le erano entrati dentro, incidendo non nella carne ma nel cuore e nell'anima, svuotandola più di quanto persino lei che s'era sempre considerata mancante ed empia si fosse mai sentita. Le bastò il ricordo di tutto questo per rabbrividire, per sentire freddo, e desiderare un calore che nessun contatto avrebbe mai potuto restituirle.

    « E viene a sua volta, da una grandiosa caccia. La peggiore a cui mi sia mai unita. »


    Eppure, Thamaja reagì a quel racconto. Perchè a comporla non era più acciaio, perchè la sua anima non era più metallica, e così come per Luna quei ricordi erano tra i più incisivi che conservasse, anche per lei era tra essi che era giunta la svolta più grande nella sua silente ed affilata esistenza.
    Il processo di ricostruzione accelerò, le mani che l'automa aveva posto a poca distanza dalla superficie presero a scorrere più rapidamente, e Luna si diede della sciocca per non averci mai pensato prima. Per non aver mai capito che tra tutti i momenti che lei e la sua arma avevano passato assieme, quelli che per puro caso aveva rimembrato fossero tra i più significativi. E dunque i più efficaci, nel riforgiare ciò che a causa dei suoi peccati s'era spezzato.

    « Vuoi vederla? »


    Decise dunque d'unire l'ultile al dilettevole, e per quanto non fosse certa che Mangiasogni avesse riflettuto a fondo su quelle antiche cacce per lei piuttosto che per il puro piacere di farlo, non si sentì in difetto a volerne ricambiare il favore.
    Così com'era già successo durante la partita di poker che aveva dato inizio alla loro collaborazione, Mangiasogni avrebbe sentito una spinta gentile premergli alle tempie: la coscienza di Luna chiedeva il permesso di entrare, e solo col suo esplicito via libera avrebbe potuto intrufolarsi nuovamente nelle sue sinapsi, più di quanto non facesse già naturalmente. Così da potervi proiettare i ricordi di cui nel frattempo stava scegliendo la collezione migliore, lasciando che chi aveva creduto che un demone di sangue fosse un vero mostro, ne scorgesse attraverso lei uno ben più spaventoso. E con esso tutto ciò che era stato necessario fare per abbatterlo. E con esso l'origine della tinta assurdamente nera che la spada di Luna poteva vantare.


    RÉSEAU


    Neanche il più grande dei cacciatori è invincibile, solo. Neanche il guerriero migliore, può vincere una guerra, senza un esercito alle sue spalle. Tra i molti insegnamenti sull'arte della battaglia di cui la bambola, ha fatto tesoro, questo è quello che ha ispirato un pensiero: se lei può sentire i pensieri altrui, altri possono arrivare ad udire i suoi? Serve sforzo, perchè non è per questa funzione che la mente le è sfuggita dal cranio. E dedizione, perchè udire cuori vicini senza volerli per se non è facile, per chi non ne ha uno in petto. Ma per tre turni, Luna può farlo: creare una rete, se stessa al centro, di comunicazione telepatica, tra se e chiunque lei consideri, un proprio alleato. La sua estensione è pari al Raggio d'Azione dell'abilità Blanc Mind, aumentato di un livello, l'adesione è volontaria ed è possibile condividere a piacimento pensieri, che siano verbali o visivi. Tutti posson sceglier cosa condividere, e cosa no, ed al centro v'è Luna, un tempo bambola. Ora, capitano della caccia. Utilizzi: 3 2.





    Penso non ci siano problemi per la riparazione di Ichor!
    Luna, dal canto suo, propone a Mangiasogni di darle nuovamente accesso ai suoi pensieri. Così da potergli narrare in maniera più diretta ciò che accadde durante la quest Long Live the King, dopo la quale Thamaja prese il suo ormai tipico colorito nero, e sostanzialmente tutti i suoi poteri.
     
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    Armi e Cacciatori, così indissolubilmente legati le une agli altri.
    Di tutti i suoi strumenti, di tutti i suoi poteri, Mangiasogni non si sarebbe nemmeno sentito un vero e proprio cacciatore, senza la sua lancia.
    Il peso dell'argento, così intimamente conosciuto. La lama della punta, affilata come la lama di un rasoio in maniera quasi maniacale.
    Perfino l'occhio di Ichor, che spesso lo fissava con risentito odio.
    Tutto in quell'arma era parte di lui stesso, tanto quanto lo erano i suoi artigli, le sue piume.
    Tanto quanto lo era Ingos.

    Lo stesso sembrava essere per Luna e la lama nera che stava forgiando; una lama fatta di ricordi, affilata non da una cote, ma dalla volontà stessa della ragazza dai capelli turchini. La perdita della sua controparte fisica non sembrava essere un peso per Luna, ma una conquista.
    Una vittoria.

    Peccato: a Mangiasogni avrebbe fatto piacere conoscere questo presunto Gigante, che era riuscito a suo tempo a disarmare la Cacciatrice... ma se la Via avesse in futuro portato la ragazza a scontrarsi con il suo vecchio nemico, lo avrebbe fatto per se stessa, e non per reclamare qualcosa di suo.
    Il Corvo questo lo poteva capire, perfino apprezzare.

    Si ritrovò dunque ad inclinare il capo di lato, assecondando quel sorriso che in qualche modo gli increspava il becco.
    In un istante fugace, con la mente fu di nuovo nelle profondità del suo Ordine, sotto la torre diroccata, dietro le pesanti porte di ferro battuto.
    La camera comune era adornata da antichi arazzi che ne tappezzavano le pareti, illustrando le grandi cacce del passato.
    Un enorme lampadario in osso era montato sul soffitto, la luce delle sue candele rischiarava la semi oscurità del salone sotterraneo.
    Sulle numerose panche di legno i Cacciatori del suo ordine si ritrovavano, quando la Via li riportava a casa, per scambiarsi storie, avventure, risate e a volte qualche lacrima.

    Il corvo diede un’altra sorsata dalla sua lattina squartata, con un sospiro leggero, mentre si costringeva a soffocare il pensiero.

    Aveva riso con loro, aveva pianto. Aveva condiviso le sue cacce, i suoi successi, le sue ferite. Per molti anni quella era stata la sua vita.
    Poi l'Ordine si era sciolto, poi tutto era cambiato.
    E per troppo, troppo tempo Mangiasogni aveva cacciato da solo.

    Quel giorno, in quel Nido sospeso nella nulla oscurità, il Corvo tornò a sperimentare in parte quell'emozionante familiarità ormai quasi dimenticata.
    La Via l'aveva portato a conoscere un’anima affine, qualcuno con cui parlare.
    E anche se custodiva come un tesoro l'amicizia e il cameratismo che aveva instaurato di recente con Lance e Sol, quello era un sentimento ancora diverso.

    Mangiasogni si costrinse a ridestarsi da quelle considerazioni, che forse lo avevano lasciato con un sorriso sognante stampato sul becco troppo a lungo.
    Sia mai che la telepate lo considerasse un mollaccione! Il Corvo aveva una onesta reputazione da Pg Edgy da difendere.
    - Lasciami il timoooooone, Piccolo Corvo si propose Ingos ti insegno iiiiiio come si corteggia una Cacciatrice.

    "Tsk" si stizzì Mangiasogni, affogando la sua controparte con un altro sorso di birra, lasciando che l'abusivo coinquilino della sua mente si perdesse nel fiume di alcol che lentamente stava perdendo il brivido refrigerante donato dal frigo.

    Poi tornò a sedersi sul divano, Ichor poggiata sul suo grembo nemmeno fosse un animale da compagnia, mentre annuiva entusiasta alla proposta.

    Nuove storie, nuove cacce.
    Sembrava quasi un appuntamento romantico!

    - MOVIE NIIIIIIIGHT! esclamò Ingos, mentre si metteva comodo anche lui ai margini della coscienza di Mangiasogni, tirando fuori un immaginario cesto di popcorn mentre il corvo accettava il collegamento mentale della ragazza.


     
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    Si distrasse ancora, quando Ingos si propose di far per Mangiasogni, ciò che neppure per un istante le era passato per la testa. Non indulgeva in atti simili da tempo, fin da quando non era stato Raksaka ad insegnarglieli, e nonostante le fossero piaciuti ai tempi non ne aveva mai sentito la mancanza: Bludd aveva solleticato quei sensi, perchè tale era la sua natura...ma Luna aveva scordato presto quei bollori, affogati prima dalla colpa che ancora la tormentava, e poi dal naturale gelo che viveva in lei e che si spandeva, anche ad atti simili.
    Lo trovò comunque divertente, abbastanza da strapparle il principio d'una risata. La stessa che annullò, nell'istante in cui Mangiasogni ed il suo demoniaco compare le garantirono l'accesso che aveva richiesto, perchè v'era poco d'ilare in ciò che s'era prestata a raccontare loro.
    Iniziò col caos, col sangue che a fiotti immensi aveva iniziato a scorrere bollente tra i mondi, e nelle vene e nelle menti di coloro che li abitavano, quando l'antico continente aveva cominciato a ribollire negli abissi in cui qualcuno, l'aveva nascosto e creduto sigillato.
    Il richiamo di quei moti, tamburi ad echeggiare nel petto di chiunque fosse mai stato figlio o compagno della violenza, della carneficina o della caccia, la marcia forzata a cui aveva costretto molti, perchè un simile faro era divenuto guida e trappola per coloro che come falene, non potevano far a meno di seguirlo.
    Cercò di ricordare la giungla in cui era giunta al meglio delle sue possibilità, ricreandone più che gli alberi ed il terreno sempre umido, sensazioni secondarie ma estremamente più incidenti: l'odore pregno come non ne aveva mai sentiti prima, intenso abbastanza da bruciare le narici; il calore opprimente, l'aria pesante che sapeva di sudore e di vino, e di sangue e di selvaggio. Il suono, perchè ogni fruscio era un passo, ogni sbuffo di vento un respiro altrui, soffiato attraverso le zanne da cui chiunque si sarebbe sentito minacciato, marciando in quel panorama tanto ricco, quanto brullo.
    E poi il tradimento. Poi l'ombra del Silenzio che si levava, al contempo enorme abbastanza da oscurare il sole, e sottile a sufficienza da tagliarlo. Poi la sua presenza, sufficiente a ridurre al mutismo chiunque la scorgesse. E poi la maschera bianca sul suo volto che si spezzava, e la sua prima risata che strideva come se il cosmo intero fosse una lavagna, e le sue inesistenti labbra uno stormo d'artigli frastagliati e dissonanti: i ricordi non potevano rendere giustizia, a ciò che solo essendoci sarebbe stato chiaro. Ad aiutarla giunsero gli incubi, perchè dal giorno in cui aveva udito quel suono impossibile, v'erano state poche notti in cui almeno per un istante, non avesse rischiato d'udirne l'eco.
    Non era lui la preda, ovviamente, perchè fosse stata sciocca abbastanza da credere di poter combattere una tale tenebra, Mangiasogni a quel tavolo da poker non avrebbe incontrato nessuno, perchè nessuno sarebbe rimasto. L'Uomo Nero se n'era andato, tuffandosi nel mare di quel sangue fermentato abbastanza a lungo, da essere divenuto ardente vino. Lasciando chi aveva assistito al suo ghigno solo, per pochi attimi. E donando poi al mondo un figlio, nato dal contatto tra la sua essenza e la fertile terra dell'Adrenalina.
    Il Leone Nero. La bestia più maestosa mai esistita...il degno erede di quella realtà nascosta e dimenticata, riportata a galla per motivi che ne Luna, ne forse nessun altro, aveva mai compreso appieno.
    Della lotta, Luna aveva memorie confuse e frammentarie. Ricordò d'aver provato, sciocca ed avida, a derubare quel nuovo selvaggio Dio, e d'essere stata punita per questo. Svuotandosi, smettendo d'essere una persona, divenendo un suo artiglio o forse uno dei tentacoli, della criniera che gli faceva da corona: era stao buio, era stato bollente, aveva ucciso perchè il Leone era neonato, e coloro che avevano assistito alla sua nascita avrebbero dovuto essere il suo primo pasto.
    Ma poi qualcosa, qualcuno, era riuscito a spogliarlo di quel potere. A strappargli di dosso il Silenzio di cui era intriso, rendendolo metà di ciò che avrebbe dovuto essere: completo era stato invincibile, inarrestabile, un gatto affamato gettato nel mezzo ad un mondo di topi. Ma una volta ferito, una volta mutilato. Da quegli stessi topi, era finito divorato.
    Luna aveva contribuito, perché l'etereo liquido che Zoe era riuscita a strappargli di dosso voleva tornar da lui, ed era stata la bambola con la sua spada fatta di memorie, a reciderne il ricordo della volontà di quel Silenzio patrigno che l'aveva generato, nell'atto stesso in cui l'abbandonava. Macchiando Thamaja, che al tempo scintillava ancora d'acciaio, delle lacrime nere da cui poi era stata affogata, divenendo la spada nera che Mangiasogni aveva conosciuto.
    E poi, quando la bestia sfregiata era stata abbattuta, quando il suo cuore giovane aveva pompato sangue per l'ultima, agonizzante volta. Luna donò a Mangiasogni anche i ricordi del banchetto che era seguito, perchè la carne dei caduti non può essere sprecata.
    Avevano divorato la sua carcassa, spinti da una fame che definita tale non avrebbe mai reso l'idea. Una pulsione primordiale, irresistibile. Un archetipo reso rombo dello stomaco, e così come il vero buio esisteva solo nel Pozzo, ed il vero oro lo si poteva veder risplendere solo oltre le nuvole della Gloria, e la vera disperazione la si poteva annusare solo lungo la strada per Caduta, la forma originale dell'appetito era esistita solo per quell'istante e solo per coloro che avevano contribuito ad abbattere il Re bestiale: la sua carne cruda, il suo sangue ancora caldo, che bruciavano in bocca ed in gola e ad ogni morso saziavano, più di quanto i pasti d'una vita intera avrebbero mai potuto fare...anche per quelli, Luna si rese conto di non poter davvero rendere l'idea.
    Infine riaprì gli occhi, senza nemmeno essersi accorta di averli chiusi. Rendendosi conto solo in quel momento d'aver pianto, forse per la nostalgia di qualcosa che sapeva non avrebbe mai potuto rivivere...forse per il terrore atavico, che ancora ogni singolo istante vissuto in quel delirio, riusciva a risvegliare in chi della paura non avrebbe mai dovuto conoscere ne il nome, ne il sapore.
    Eppure dopo che l'automa aveva rivissuto quell'esperienza, dopo averla narrata al meglio delle sue capacità, concentrandosi sui suoi flash più incisivi, sulle immagini che più l'avevano marchiata, ed ancor più sulle sensazioni da cui mai dopo d'allora s'era sentita del tutto lavata...Thamaja era di nuovo innanzi a lei, integra ed ancor più scura.
    Anche Mangiasogni l'avrebbe vista, la sua mente finalmente libera dalla narrazione con cui Luna l'aveva bombardata. Ed anche lui si sarebbe reso conto di ciò che la sua lama ospitava davvero, e di quanto buia e nera davvero fosse, e magari avrebbe addirittura visto qualcosa agitarsi al suo interno, sguardi ed ombre rincorrersi, in ciò che un tempo era stato acciaio ed ora era nulla, racchiuso da un sottile velo d'affilato cristallo: la sua padrona aveva impiegato tempo ad imparare a non temerla, a considerarla di nuovo una sorella, più spaventosa di quanto non fosse mai stata prima e diversa, ma non per questo meno meno legata a chi l'aveva rubata, e poi riforgiata, e poi intrisa di ciò che di concreto, aveva portato a casa dopo quell'esperienza.
    Mangiasogni, invece, che quel tempo per abituarsi all'idea di cosa davvero fosse non l'aveva avuto. Avrebbe potuto guardarla con gli stessi occhi? Reggerne con tanta facilità il frammento che aveva raccolto, sapendo da dov'è che veniva davvero?

    « Allora... »


    Luna stessa, la fanciulla che aveva segutio sulla scena di un massacro, per cui s'era preoccupato, assieme a cui aveva cacciato. La stessa che ora, nelle luci che sembravano più fioche e timide del suo Nido, perchè pensare al vero aspetto del Silenzio bastava a rendere gli occhi più ciechi, o forse a trasformare il cosmo in un luogo più buio, sorrideva innanzi a lui. E sui cui denti, mentre gli sorrideva, il corvo non avrebbe non potuto vedere tracce di quel sangue di cui s'era nutrita, e che ancora bruciava in lei, e rendeva la sua presenza ben più rovente, e ben più minacciosa, di quanto non avrebbe mai potuto saperla prima.
    Sarebbe stato ancora a suo agio, ad osservarla? Ad essere rinchiuso assieme a lei in quella tana, dopo aver scoperto durante il loro viaggio assieme, quanto assassina fosse divenuta e poi rimasta a seguito dell'unica caccia tra tutte quelle che il caos aveva vissuto da quando Adrenalina era stata nascosta, a poter essere considerata degna?

    « Piaciuto, questo film? »




    Ok, forse ci sono andata un po troppo pesante con la sboronaggine...libero di fare una grandissima pernacchia a Luna, che tenta di far la figa.
     
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    Mangiasogni aveva davvero creduto di poter tornare indietro, al tempo in cui i cacciatori del suo ordine si riunivano attorno al focolare per scambiarsi storie di sangue, di violenza, di morte.
    Aveva creduto di poter rispondere al racconto di Luna, qualsiasi esso fosse.
    Forte della sua esperienza nell'Ordine, indurito dagli anni successivi alla sua caduta, temprato dalle innumerevoli solitarie cacce che lo aveva segnato, volta dopo volta, fino a trasformarlo in quello che era ora... era tanto arrogante da pensare di non solo poter rispondere alla storia della ragazza, ma di poter anche rilanciare.

    Mangiasogni si era sbagliato spesso, in vita sua... ma raramente in maniera così spettacolare.

    Attraverso Luna, assistette alla nascita di qualcosa di bellissimo e terrificante.
    Sentì su di sé l'odore del sangue, della violenza, dell'istinto animale che era Adrenalina. La sentì esplodere in tutta la sua gloria selvaggia, ululando il suo richiamo accompagnata dal suono di corni e tamburi.

    Avvertì Ingos abbandonare qualsiasi scherzo, qualsiasi battuta.
    Sentì i suoi occhi dilatarsi fino a diventare neri come la pece, il fiato farsi corto, gli artigli serrarsi quasi involontariamente attorno al suo corpo.

    Se ci fosse stato un luogo dal quale la voce della Caccia poteva provenire, quello avrebbe dovuto essere Adrenalina... e Mangiasogni aveva appena udito i suoi primi vagiti.

    Non poté non pensare alla sua prima caccia.
    A quel mondo affogato nel sangue, i suoi alti palazzi anneriti dal fuoco che si stagliavano, scheletrici, come tante lapidi sbeccate contro l'orizzonte.
    Il cielo così rosso da confondersi con il mare di cremisi stagnante che aveva inondato ogni strada e affogato buona parte dell'umanità.
    Ricordò i Demoni del sangue che rastrellavano il fondale di quel nuovo oceano, pescando corpi straziati che venivano prontamente divorati.
    Ricordò quanto selvaggia era stata la Caccia, sua e di innumerevoli altri Cacciatori che come lui avevano risposto alla chiamata.
    Ricordò di quanto si fosse sentito vivo. Di quanto assuefacente fosse l'odore del sangue al quale i Bloodhunter consacravano la loro arte.
    Mai era stato così vicino alla morte, mai aveva sentito il richiamo - il grido! - della Caccia.

    Eppure, ora vedeva quelle scene, così importanti per lui, così intime... così formative.
    E capiva che altro non erano state che una semplice increspatura sulla superficie della trama.
    E che con ogni probabilità, la nascita di Adrenalina era stata il masso scagliato contro lo specchio della realtà che, come un sasso gettato in un lago, aveva generato queste increspature.

    Le artigliate mani di Ingos scesero a coprire le orecchie di Mangiasogni, per proteggerlo dall’urlo di Silenzio, perché alcune grida erano fatte solo per le orecchie di un mostro. Il corvo quasi non se ne accorse nemmeno.

    Poi cominciò la Caccia vera e propria.
    Vide la nascita del Leone Nero, lo vide ergersi possente dal pantano di sangue e animalesco istinto che era la neonata Adrenalina.
    Per un istante si dimenticò di non essere davvero li fisicamente, e di star vivendo il ricordo di un’altra persona.
    L'olezzo del sangue, il sudore che gli incollava le piume al corpo, il rumore incessante del cuore che gli martellava in petto.
    La Caccia urlava, esigeva il suo tributo. I suoi artigli si strinsero istintivamente sull'impugnatura di Ichor.

    Poi, anche il Leone si dimostrò preda, e non cacciatore.
    Strappato della sua immortalità, trafitto dalle volontà a lui opposte.
    La bestia cadde, e i suoi cacciatori si avventarono sulla sua carcassa come iene su una carogna. Luna con loro.

    Quello era un racconto di violenza, di sangue, di Caccia.
    Ma anche di rinascite.
    E Mangiasogni, dunque, assistette ad una terza rinascita, quella di Thamaja.
    La vide tingersi dello stesso nero che aveva ormai imparato a riconoscere (avvertì distintamente Ingos farsi indietro al ricordo della spada) e solo ora cominciava a intuirne la profondità. Il frammento custodito nella sua bisaccia bruciava ora di significato, e il corvo capiva soltanto adesso perché aveva catturato la sua attenzione, cosa lo aveva spinto a prenderlo per sé.

    Poi tutto finì.

    I polmoni cominciarono a bruciargli, reclamando a gran voce.
    A che punto del "racconto" aveva smesso di respirare?
    A che punto si era perso, rischiando di affogare nella corrente?
    La testa di Mangiasogni girava, mentre il corvo riprendeva contatto con la realtà.

    Si accorse solo allora che Luna era in attesa di una sua reazione, forse perfino di un giudizio.
    Senza muoversi dal divano, Mangiasogni fece un passo indietro, come a voler prendere le distanze.
    Dietro di sé trovò il grosso corpo di Ingos, a tagliargli qualsiasi via di uscita.
    - Non scappare, Piccolo Corvo. Non da questo.

    Il kenku chiuse gli occhi, le rosse immagini della Caccia ancora troppo vivide nella sua mente.
    Trasse un lungo respiro, intanto che la lucidità tornava a permearlo. Provò a dare un altro sorso dal contenitore squarciato, ma con sommo rammarico si accorse che la lattina era vuota.
    Poi tornò a guardare Luna.
    La stessa Luna con la quale aveva appena finito di combattere fianco a fianco, che aveva visto piangere per la tormentata sorte di un suo avversario.
    La stessa Luna che aveva appena visto, sentito, gettarsi sulla carcassa del Leone per divorarne le carni.

    La sua non era repulsione, né per lei né per il suo nero artiglio fatto di ricordi, ora nuovamente integro davanti ai suoi stessi occhi.
    No, il suo indietreggiare, anche se solo mentale, era dovuto ad un altro sentimento.
    Vergogna.
    Cocente e imbarazzante vergogna.

    Lui che si professava diverso da Ingos, lui che non si muoveva al comando del mero istinto, ma che aveva reso disciplina e addestramento un vero culto.
    Lui si vergognava, a invidiare in maniera così palese Luna.

    La invidiava per l'esperienza unica che aveva vissuto, assistere alla nascita (o riscoperta?) di Adrenalina.
    La invidiava per la Caccia al Leone Nero.
    La invidiava pure per il macabro banchetto al quale aveva partecipato, le invidiava ogni goccia di sangue che l'aveva lordata mentre affondava i denti nella carne del Mostro.

    Ma soprattutto, la invidiava perché era riuscita, in qualche modo, a tornare indietro.
    Lui non ci sarebbe riuscito.
    Ingos avrebbe preso definitivamente il sopravvento, e nell'euforia selvaggia di quel momento non ci sarebbe più stato posto per quel piccolo e spaventato corvo.
    - Una caccia senza fine, mio Piccolo Corvo. Dove tutto è rosso e oro, e l'unico ringhio nell'ombra è il nostro.

    Mangiasogni si premette sul divano, cercando di mascherare quelle emozioni.
    Uno sforzo inutile contro una telepate, ma che almeno gli risparmiava l'imbarazzo di dover formulare a parola quei pensieri, per risaltare quella che, nascosta dietro la vergogna e l'invidia, era genuina ammirazione.

    Ma se le parole lo tradivano, gli restavano almeno le azioni.

    Una mano si immerse nella piccola bisaccia che gli pendeva dal fianco, avendo ben cura di evitare di sfiorare il frammento nero.
    Ne venne fuori una figuretta intagliata nel legno: Mangiasogni si alzò finalmente dal divano per allungarla alla ragazza.

    Era una riproduzione del suo medaglione, l'Occhio di Skara.
    Il simbolo del suo ordine, intagliato e, come tutte le riproduzioni del kenku, identico all'originale se non nel materiale.
    Un tempo, simboli del genere venivano ceduti agli alleati dell'Ordine dei Cacciatori, in segno di stima, di riconoscimento, di alleanza.

    Non significavano più nulla.
    Qualsiasi autorità avesse avuto Ingrid Skara e il suo ordine di Cacciatori, era ormai stata mangiata dal tempo e della rovina. Le alleanze erano ormai dimenticate, le amicizie perdute.

    Eppure, Mangiasogni aveva già ceduto un token simile, in passato.
    Lo aveva lasciato a Lance, a simboleggiare la loro neonata amicizia. Quel cameratismo strano che era spuntato e cresciuto come un’erbaccia, e che cresceva ad ogni insulto scherzoso (o serio!) che i due si scambiavano.

    Non era questo però che significava, per Luna.
    "Hai cacciato bene. Cacciatrice."
    Non era un termine che Mangiasogni usava alla leggera.
    Il Corvo la considerava una sua pari, un membro della sua stessa specie.
    Un’anima dedita alla Caccia, dedita alla Via.
    Anche se non faceva parte di un Ordine, anche se nella sua vita c'era molto di più che essere trascinata di combattimento in combattimento, nella folle crociata dedita allo sterminio di Mostri... per Mangiasogni lei era una sua simile.
    In caso fosse servito, i suoi problemi sarebbero stati i problemi del Corvo, così come i suoi avversari e le sue battaglie.
    Quel piccolo frammento di legno intagliato significava quello, pressappoco.
    Una volta di più, Mangiasogni si maledisse per non poter esprimersi meglio a parole.


    O forse, cara Luna, Mangiasogni ti sta solo reclutando forzatamente nel suo ordine, e tu e Lance vi sveglierete un giorno con piccoli occhi d'argento al collo e che le vostre spade nere e mantelli demoniaci altro non erano che la riconferma che eravate destinati a essere Cacciatori.
    Un token di legno alla volta, verrete tutti reclutati.


     
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    Se ne accorse solamente nel momento, in cui Mangiasogni riuscì di nuovo ad aprire il becco.
    Nessuno si era mai congratulato con lei, per ciò che quel giorno era riuscita a compiere. Nessuno aveva mai sentito quel racconto, perchè mai prima d'ora s'era sentita di volerlo condividere. A lungo era stato a causa di Thamaja, del suo nuovo aspetto, del nero in cui l'aveva affogata e di cui aveva paura, ed a causa del quale rimpiangeva il proprio gesto, e la propria codardia.
    Successivamente, quando era infine giunta ad accettare quanto aveva compiuto, non ce n'era mai semplicemente stata occasione. Mangiasogni era il primo, a parte coloro che erano stati presenti allora, a sapere quanto Luna avesse compiuto...a cosa fosse sopravvissuta, ed a quale banchetto avesse partecipato.
    Sapendo più di lui, sarebbe stato facile intuire in che maniera avrebbe reagito. Eppure, nonostante tutti i suoi doni, la bambola ancora riusciva a stupirsi innanzi a ciò che non s'aspettava. Che il più delle volte, riguardava complimenti nei suoi confronti.

    « Grazie. »


    Accettò quella frase, e quel dono, ed il significato che il corvo vi impose, rendendo un occhio di legno ben più prezioso di qualsiasi gioiello, e qualsiasi tesoro. Non si giustificò, ne volle sminuirsi, tentando di ridimensionare ciò che attivamente aveva tentato di infondere in quel cacciatore, aspettandosi però risultati ben diversi perchè nonostante tutto, un'autostima nata nella consapevolezza d'appartenere ad una creatura rotta ed abbandonata non potrà mai brillare, per quanto nel tempo fosse diventata meno fosca di quanto non lo era stata al suo risveglio.
    Si crogiolò per qualche attimo in quella sensazione, consapevole del peso che nessun racconto per quanto buono, avrebbe potuto toglierle dalle spalle fin quando lei stessa non si fosse decisa a sputarlo, così che una volta fuori potesse capire se sarebbe stata in grado d'affrontarlo o se piuttosto, ne sarebbe rimasta divorata.
    Ma non era ancora il momento, forse non lo sarebbe stato mai. Forse quel che aveva condiviso con Mangiasogni ed il suo demone aveva esaurito ciò che in una giornata sola poteva condividere, o forse d'essere codarda non aveva mai davvero smesso.
    Scelse di non sforzarsi, scelse di attendere il momento giusto, se mai fosse arrivato. E di seguire istinti ben più viscerali, perchè una storia dal finale simile non la si raccontava, senza che lo stomaco brontolasse in memoria d'un banchetto come non ne avrebbe mai, e poi mai assaggiati ancora.

    « Raccontare...mi ha messo un certo appetito. »


    Guardò la coppia che innanzi a lei condivideva un solo corpo, col sorriso più affilato e gelido che il suo volto immobile, tanto poco abituato a ghignare, fosse capace di produrre. Mantenne quello scherzo, perchè tale era, il più a lungo possibile, e solo quando sentì di starlo per allargare in maniera ben poco minacciosa s'alzò dal tavolo improvvisamente, battendovi sopra la propria mano più solida e pesante.

    « Dunque. »


    E poi si voltò, diede loro la schiena, le spalle che sobbalzavano appena per un risolino trattenuto all'idea d'essere riuscita a far creder loro, di volersi nutrire di carne di volatile. Prese congedo senza chiedere, perchè dopotutto quella era casa sua, e il commento riguardo l'appetito era vero, sviato unicamente nel suo obbiettivo ma non nei grugniti che il suo addome mandava da quando aveva ricordato, che sapore avessero le carni di un dio.

    « Mentre voi mi aiutate a decidere dove quel monile, starebbe meglio appeso. »


    Indicò da lontano il simbolo di legno, il pegno che Mangiasogni le aveva donato e che lei aveva lasciato sul tavolo, mentre si dirigeva in cucina. Le due sale erano prossime, lo spazio nel Nido affatto sufficiente a render necessario neppure alzar la voce per continuare a parlar con loro, quando infine aprì il frigorifero e vi immerse il capo, cercando di decidere quale tra i diversi e variegati tagli di bestiali resti che custodiva li dentro, sarebbe riuscito a saziarla meglio.

    « Che ne dite se metto a cuocere qualcosa? »


    Avrebbe cucinato anche per loro, così come gli aveva offerto da bere, il debito nei loro confronti un motivo valido ma non quanto il semplice desiderio, di condividere la relativa pace di quel suo rifugio e dei confort di cui riusciva a colmarlo. Buon cibo, un letto in cui riposare, e poi souvenir dei suoi incontri più importanti, come quel token a forma d'iride che presto avrebbe trovato posto su una parete o in qualche angolo, a seconda di dove Mangiasogni ed Ingos l'avrebbero consigliata.
    E poi forse l'opportunità di riflettere, e confessar le proprie angustie. Ma solo quando finalmente sarebbe stata realmente certa di non rischiare di balzare al collo del suo ospite per azzannarlo e divorarlo, perchè certo, era stato soltanto uno scherzo. Ma più ci pensava, e più lo ricordava con chiarezza. Che il miglior condimento di quel pasto regale era stato il sangue ancora caldo che sgorgava da un cuore che batteva.
     
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    Mangiasogni chinò il capo, con fare quasi ritualistico.
    Come se quel ninnolo avesse conservato, almeno in parte, il suo significato originale. Come se da qualche parte ci potesse ancora essere un Ordine a poter riconoscere chi lo possedeva come un alleato, come un amico.

    In parte forse era vero.
    L'Ordine si era sciolto, la maggior parte dei suoi membri erano morti o dispersi per i Reami Dimenticati. Eppure, finché almeno un Cacciatore portava ancora l'occhio d'argento al collo, finché almeno un Bloodhunter percorreva la Via, non era forse vero che l'Ordine sopravviveva?

    - Nooooo, Piccolo Corvo. Sei soooooolo. Un Ordine di un solo membro non è nuuuuulla.

    Eppure, il corvo ancora ne seguiva i dogmi.
    Non tutti forse, non come avrebbe fatto un tempo... ma la maggior parte. Quelli importanti.

    E se Ingos avesse avuto ragione, e l'Ordine era ormai morto da tempo, che senso avevano le sue fatiche? Perché continuare a struggersi, caccia dopo caccia, mostro dopo mostro, con la morte sempre alle calcagna, in attesa di un suo errore?
    Bastava poco... davvero poco.
    Bastava non essere abbastanza veloce, abbastanza attento. Bastava mancare il bersaglio con la sua lancia una volta, una singola volta, perché le fauci del nemico si chiudessero sulle sue piume.

    - Questa è la tua viiiiiiita, Piccolo Corvo. La Caccia atteeeeeende...

    Con un mesto sorriso, Mangiasogni si ritrovò a sospirare.
    Del resto, per quanto Sol si fosse ostinata a dire il contrario, cacciare era l'unica cosa che sapesse fare...

    - Hai finito di piangerti addosso, corvetto? Qua qualcuno ha fame...

    Perso com'era nelle sue elucubrazioni, nate sicuramente da tutte queste inaspettate interazioni sociali, non si era reso conto del cambio di atmosfera nella stanza.
    Luna era davanti a lui, uno sguardo ... famelico in volto.

    Preso alla sprovvista, il corvo avvicinò lentamente la Lancia alla sua presa, accorciando il legame che lo legava all'arma, mentre deglutiva nervosamente.
    Era uno scherzo, lo era sicuramente.
    Non potevano aver combattuto assieme, affrontato le fogne del Bludd e demolito quel magazzino al solo scopo di attirare il kenku in quella trappola.

    Trappola dalla quale difficilmente sarebbe riuscito a scappare... Mangiasogni non sapeva aprire una lattina, figurarsi pilotare una nave.
    Figurarsi sopravvivere a uno scontro con Luna.


    Ingos gli scivolò addosso come un sudario, avvolgendolo di fredda determinazione e ghignante divertimento.

    Il suo corpo non mutò come era successo nelle fogne, lasciando che il Dono lo trasformasse in qualcosa di così simile a ciò che i due cacciavano abitualmente.
    Il ghigno diabolico che gli si dipinse in volto era però eloquente, tanto quanto la voce corale della creatura.

    "Anche nooooooi siamo molto affamati, Luna."
    e lo erano veramente.
    Anche se Mangiasogni non lo avrebbe ammesso mai a voce alta, ammesso e non concesso che avesse nel suo repertorio le parole giuste per farlo, la scena del banchetto che la ragazza aveva condiviso con loro gli aveva aperto una voragine nello stomaco. Una fame che, con il cibo, aveva ben poco a che fare.

    Un istante di tensione, quasi di sfida...

    poi lo scherzo finì con una mezza risata da parte di entrambi, quella di Luna mascherata dal suo voltarsi per dirigersi in cucina, quella di Ingos in piena vista.
    "Hai messo una fifa blu al Piccolo Corvo" ghignò crudelmente, mentre Mangiasogni gli tirava una gomitata mentale dal suo subconscio.

    E mentre la ragazza si adoperava nella scelta della cacciagione, Ingos prese fra due artigli il piccolo occhio di legno intagliato dal suo alter-ego più emotivo.
    Quanto significato voleva infilarci a forza Mangiasogni, in quel frammento di legno.
    Quanto inutile sentimentalismo.
    Ingos avrebbe avuto ghignarsela, come faceva sempre quando il suo Piccolo Corvo si comportava in maniera così irrazionale. Avrebbe voluto sfotterlo, ridicolizzare quel gesto riducendolo ad un patetico attaccarsi ad un passato.

    Non lo fece solo a causa dell'odio smisurato che provava verso ciò che quell'occhio significava.
    Solo guardarlo lo irritava, come anche saper di portare al collo lo stesso simbolo, fuso nell'argento.
    Come un collare.

    Le catene di Barovia che gli legavano l'anima erano ninnoli ben più confortevoli.

    Se avesse stretto gli artigli abbastanza forte, avrebbe potuto distruggere quel piccolo occhio. Sfregiarlo irrimediabilmente.
    Chissà se a Luna sarebbe importato.

    Mangiasogni gli azzannò le viscere, intimandogli di comportarsi bene.

    Ingos trasse un lungo sospiro rassegnato, e allentò la presa. Cosa non faceva, per il suo Piccolo Corvo...

    "Mangiasogni dice di portarselo dietro, o di farne un pendente" rispose alla ragazza, cominciando a giocherellare con l'occhio di legno, lanciandolo in aria e riprendendolo al volo.
    "O se preferisci lasciarlo in casa, di tenerlo orientato verso la porta d'ingresso." continuò, cercando con gli occhi un punto dopo poter mollare il ninnolo.
    Il Nido non aveva una vera porta d'ingresso, ma il portellone attraverso sia lui che Mangiasogni erano stati poco prima lanciati poteva andar bene.
    L'occhio doveva, per tradizione, proteggere l'ingresso della casa da mostruosi ospiti indesiderati... Ingos sorrise all'idea che Luna avesse bisogno della protezione di un inerte pezzo di legno.

    "Se vuoi la miiiiiiiia opinione, buttalo in un cassetto e dimeeeeeenticatene, Piccola Umana.
    È solo legno intagliato.
    "


     
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    Il loro battibeccare, il loro alternarsi, nel controllo di un corpo su cui entrambi vantavano pretese più, o meno legittime. Luna lo trovava divertente, un simpatico intrattenimento, e per un istante riuscì persino ad esserne gelosa, perchè anche lei raccoglieva più d'uno spirito in un solo involucro di carne sintetica; eppure ciò che ospitava in se erano ricordi ed impressioni, echi a cui la parola era stata tolta, e che solo per quel motivo avevano accettato le sue spoglie come ultima, finale casa.
    Si riscosse da quei pensieri, perchè di motivi per star male ne aveva a sufficienza. Aveva rimandato, aveva tergiversato, avrebbe continuato a farlo finchè non si fossero fatti pesanti abbastanza da costringerla a sputarli.
    O forse avrebbe retto, fin quando la caccia successiva non fosse iniziata. Così da poterli affogar nel sangue, nell'adrenalina. Ben conscia del fatto che laggiù sapessero respirare perfettamente, e che per questo una volta reclamata l'ennesima testa, avrebbe dovuto far i conti con versioni ancor peggiori e più incattivite di quei rimpianti.

    « Avete visto la mia spada. »


    Spinse la palla più in la, ancora una volta. Si concentrò su ciò che Ingos stava tentando di dirle, incapace di convincerla perchè ancor più di Mangiasogni la bambola era una fanatica di qualsiasi cosa avesse un valore personale, intimo, diverso da quello che chiunque altro le avrebbe dato.
    Era iniziato col nome che le era stato dato, era continuato con una lama rubata, e poi quasi tutto ciò che ancora possedeva. Il Nido stesso era tra le ultime acquisizione di quella catena di rituali che l'avevano portata a risvegliarsi, da automa a guerriera e donna.
    E come tale andava curato. Adorato. Ed addobbato a dovere.

    « Un tempo, era solamente un pezzo di ferro affilato. »


    Se la ricordava ancora. Lucente, perchè spendeva molto tempo a lucidarne la lama. Sempre affilata, non perchè di cristallo nero ed incorruttibile ma perchè le sue mani la rendevano tale, curandola come Raksaka le aveva insegnato si dovesse fare. Le scritte che lei stessa le aveva inciso addosso ancora visibili, senza dover scrutare troppo a lungo il nero che pur avendo infine accettato il suo nuovo aspetto, non aveva mai smesso di inquietarla a sufficienza da dissuaderla nel cercarle.
    Sul frigorifero che stava aprendo, blocchi d'inchiostro reso solido ricalcavano quelle lettere a memoria tanto loro, quanto dell'uomo che le aveva offerto quel pegno. Inutile per chiunque, ma non per lei.

    « Dunque, lo terrò. Anzi, fatemi il favore. Appendetelo, mentre cucino. »


    Non aggiunse altro, lasciando che la coppia di mostri cogliesse il sottotesto. Non spiegò, certa di non averne bisogno, chiedendosi per un istante se non stesse evitando di dir qualcosa di fondamentale a causa delle pessime abitudini comunicative che aveva sviluppato, da quando la sua mente s'era espansa, portandola troppo spesso a scordare di come altri non avessero la sua medesima capacità di comprendere oltre le frasi, e sapere aldilà delle parole.
    Lasciò perdere quel dubbio, non volendo insultar l'intelligenza dei suoi ospiti. Chiedendo loro piuttosto un favore, di cui era certa Ingos sarebbe stato scontento. E Mangiasogni, invece, grato.

    « Verso il portellone, come da tradizione. »


    Aveva dato seguito, come poteva, ad ogni tradizione Vihadah Raksaka le avesse mai insegnato dopotutto. Una in più, proveniente da qualcun altro, che male avrebbe potuto fare? Cacciatrice lo era comunque, tantovaleva esserlo sotto più protezioni possibili. E se era vero che dell'ordine che un tempo aveva forgiato in argento medagolioni simili non v'era rimasto altro membro che lo stesso corvo, altrettanta reale era la solitudine che attanagliava lei ripensando ai momenti passati col suo mentore e maestro.
    Soli lo erano rimasti entrambi. Magari, avrebbero potuto essere soli assieme.

    « Carne, immagino? »


    La fame ebbe la meglio, infine, il gorgogliare dello stomaco un richiamo a cui neppure chi a lungo era stata guidata da un appetito diveerso poteva sottrarsi. Propose senza riflettere, perchè era certa che almeno il demone avrebbe accettato volentieri un pasto proveniente da ciò che un tempo era vivo, ed anche perchè non aveva molto altro che resti macellati di carcasse da offrire.
    Tra i molti tagli di cui era fornita, selezionò il più grosso e succulento, una bistecca a dir poco enorme sviluppata attorno alla sezione dell'osso che vi sorgeva al centro, il cui midollo sarebbe stato un ottimo finale per quel pasto. Trasudava un liquido verdognolo, e Luna ricordava bene la bestia che era dovuta morire, affinchè lei potesse nutrirsi della sua carne.
    Successe all'improvviso. Mentre prendeva la pentola su cui l'avrebbe cotta, accendeva il fornello su cui la piazzò, attendendo che la superficie metallica fosse calda abbastanza da non lasciare che la bistecca vi aderisse troppo, nello scaldarsi.
    Una domanda, di quelle desiderate ed invadenti, a colpirla come un pugno allo stomaco. Facendole tutto il male che colei che aveva ucciso prima d'andarsene da Bludd non era riuscita a farle, mozzandole il fiato, lasciandola piegata e per qualche istante senza voce.
    Lei...per cosa era morta?

    « Una cacciatrice non dovrebbe aver rimorsi. »


    Fosse stata sola, sarebbe rimasta immobile in quella posa finchè non fosse passato. Avrebbe esplorato quel malessere, sviscerato quel dolore, vi si sarebbe tuffata ed avrebbe imparato a nuotarvi e riemergervi o sarebbe perita nel tentativo.
    Tante volte le era già successo, per motivi differenti...tante volte aveva avuto successo, ed era tornata se non più forte, perchè le ferite azzoppano e non rinvigoriscono, se non più saggia, perchè imparare era superfluo per chi si accontentava di semplicemente sopravvivere. Almeno più orgogliosa, almeno più soddisfatta, di quanto spessa la propria pelle fosse divenuta a drammi che un tempo l'avrebbero invalidata ben più a lungo, o forse completamente distrutta.
    Ma sola non lo era, per questo quando il fiato tornò lo costrinse a mutare prima in parola, e poi in domanda. Vaga, forse troppo, ma dovendo già ringraziare di riuscire a formularla non si dette pena nel renderla più comprensibile. Mangiasogni aveva già intuito stesse arrivando, Ingos probabilmente avrebbe riso nella sua incapacità di comprendere ciò che ad un demone non sarebbe mai toccato. L'avrebbe fatta infuriare, allora? La rabbia sarebbe stata meglio, di quell'ustionante e caustica colpa?

    « Allora perchè ne sono tormentata? »

     
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    Ingos continuò a giocherellare con il ninnolo intagliato, gettandolo in aria e riprendendolo al volo in punta d'artigli.
    Quasi con non curanza, quasi con noia.
    Come se bastasse la sua usuale strafottenza per fingere che non gli importasse, che quell'occhio non significasse nulla per lui.
    Ogni tiro, tuttavia, si caricava di un granello di rabbia in più.
    Rabbia per ciò che Mangiasogni non sapeva, per ciò che non ricordava.
    Per ciò che non poteva ricordare.

    Ma ad ogni tiro, il medaglione al suo collo si faceva più pesante, più severo.
    L'ordine era scomparso, non era rimasto più nessuno.
    Erano liberi... vero?

    Quando Luna nominò la sua spada, dalla profondità della cucina nella quale si era calata, Ingos quasi mancò la presa, rischiando di colpire l'occhio di legno con le le punte delle dita e farlo volare chissà dove.
    Riuscì a recuperare solo all'ultimo secondo, riagguantando il pegno e stringendolo forte, quasi per istinto.
    "Ricordiaaaaaaamo la tua spada, Piccola Umana" rispose il "demone", scrollandosi di dosso la sensazione di disagio che quella particolare arma era capace di forzare su di lui.
    "Non abbiamo apprezzaaaaaato il vederla da dentro."
    Una mezza verità.
    Ingos non aveva ricordi di cosa fosse successo, quando la Cacciatrice aveva strappato il Dono, e con esso Ingos, dal corpo del Piccolo Corvo.
    Ricordava solo il freddo, l'oscurità... e una voce, una voce che non sentiva da tanto, tanto tempo.
    Doveva aver sognato, un incubo del passato.
    Perché nessuno rimaneva dell'ordine, men che meno la proprietaria di quella voce.
    Non sapeva nemmeno cosa fosse successo a Mangiasogni, ma non doveva essere nulla di buono.
    Quando era rinvenuto, entrambi nuovamente integri, Ichor stava prendendo possesso del corpo del corvo, forse anche solo per salvarsi le pal...pebre.

    Tuttavia, tutto era finito per il meglio.
    Solo il demone di sangue racchiuso nella lancia sapeva quanto entrambi fossero andati vicini alla morte... e forse, era meglio così.

    Con evidente malavoglia, Ingos finì per acconsentire alla richiesta di Luna, posizionando il piccolo occhio di legno su una mensola, in modo che potesse scrutare verso il portellone d'ingresso.
    "Piccole, piccole creature, così sentimentaaaaali" si lamentò, a bassa voce, sicuro che Luna potesse in qualche modo sentirlo.

    Scoprì che, comunque, la cosa lo infastidiva meno di quanto avesse pensato.
    Mangiasogni, dal canto suo, stava letteralmente facendo le capriole nel suo stomaco.

    E a proposito di stomaco...
    "CAAAAAAAARNEEEEEEEE" esultò resistendo all'impulso di trasformarsi per la gioia (e ribaltare parte del mobilio della padrona di casa)
    Se c'era una cosa che accomunava entrambi, oltre alla Caccia, era la fame che immancabilmente se seguiva.
    E si, la scoperta del Ramo (e dei suoi manicaretti) aveva solo esacerbato il problema.
    Quello, unito alle sensazioni destate dai ricordi condivisi di Luna, portarono lo stomaco di Ingos a rumoreggiare con prepotenza, mentre la salivazione nel suo becco aumentava.

    Anche Mangiasogni confermò la sua preferenza.
    Nonostante il corvetto non disdegnasse le avventure culinarie del mondo vegetale, restava pur sempre una creatura carnivora.
    Carne di cacciagione? Ancora meglio.

    Forse nella sua sacca da viaggio aveva ancora del vino speziato?
    Con tutte le capriole che avevano fatto nelle fogne poco prima, il Cacciatore dubitava che qualsiasi cosa si fosse salvata, ma forse nella sua borraccia...

    Poi il clima nella nave cambiò, raffreddandosi in un istante.
    Ingos sospirò brevemente, lasciando che ogni emozione gli scivolasse addosso come acqua.
    Avrebbe voluto ridere delle domande di Luna, magari anche con una goccia di crudeltà. Chissà se quel suo finto cinismo avrebbe potuto aiutare la persona nell'altra stanza, magari a distrarla quel tanto che bastava a far passare quel momento.

    Quel momento che tutti i presenti - Ichor escluso - conoscevano fin troppo bene.

    Ma Ingos aveva intimato a Mangiasogni di non scappare davanti a Luna solo pochi attimi prima, e ora era lui al banco di prova.
    Un altro sospiro, poi si diresse in cucina, il più silenziosamente possibile.
    Non senza lanciare uno sguardo obliquo verso il frigorifero (Che ci facevi in questa cucina, Lancy? Se non fai il braaaavo facciamo la spia a Sol) il corvo si mise a sedere sul pavimento, rivolgendo le spalle all'elettrodomestico.
    Si portò le ginocchia al petto, forse per stare più comodo, forse perché si sentiva stranamente vulnerabile.

    "Non siamo mostri per gli artigli, per le corna o perché sputiamo fuoco" mormorò, ricordando antiche lezioni apprese a sue spese anni prima.
    "Siamo mostri quando smettiamo di avere rimpianti. Quando non abbiamo dubbi. Quando non temiamo più il vuoto."

    E lui? Quando mai Ingos aveva dimostrato di avere dubbi? Di aver paura?
    Ne aveva di rimpianti?

    No.
    Non ne aveva più da tanto tempo. Restava solo la Caccia.
    Loro avevano strappato ogni dubbio dal suo corpo, ogni complicazione. Ogni cosa che loro ritenessero una debolezza.
    Ma per quello c'era Mangiasogni, no?


    Si riscosse, ricacciando nell'oblio qualsiasi piagnisteo gli stesse germogliando dentro.
    Diede la colpa al piccolo corpo che stava utilizzando, così diverso da com'era quando era trasfigurato dal Dono. Più forte, più sicuro.
    Più libero.
    La voce corale di Ingos, così ciarliera e così pronta a tormentare il prossimo, decise per una volta di tacere, e lasciare tempo e modo a Luna, qual ora avesse voluto, di continuare.



     
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